L’élite del potere globale, governanti, banchieri e Ceo assortiti, riunita a Davos per discutere lo stato delle cose dell’economia del mondo, aveva come obiettivo principale dell’annuale Forum quello di rilanciare la fiducia nella crescita, quanto mai minacciata dai focolai di crisi che si moltiplicano per il pianeta. Il problema, però, è che la cronaca per il momento non offre grandi spunti di ottimismo, anzi.

La settimana, per dire, si è aperta con la notizia che il Qatar ha sospeso le partenze di tutte le navi che trasportano gas liquefatto, il Gnl. C’è il rischio che nel loro tragitto verso il canale di Suez vengano colpite da missili lanciati dagli Houthi nella parte meridionale del mar Rosso. Lo stop deciso dall’emirato complica le forniture dirette in Europa e gli stati più colpiti sarebbero Italia e Germania, i due maggiori acquirenti del gas qatarino. Si è parlato anche di questo nell’incontro che si è svolto ieri pomeriggio a Palazzo Chigi tra i ministri Antonio Tajani (esteri) e Guido Crosetto (Difesa) con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano convocato per discutere della crisi in Medio Oriente.

Al momento però queste tensioni non si riflettono sulle quotazioni. Anzi, ieri sul mercato Ttf il gas ha toccato nuovi minimi dall’estate scorsa e secondo gli analisti il calo riflette le attese di prossimi rialzi delle temperature che innescherebbero un calo della domanda. Certo, se le difficoltà per la navigazione nel mar Rosso dovessero prolungarsi, lo scenario potrebbe cambiare. Lo stesso vale per tutte le altre merci, che per l’Italia valgono circa il 40 per cento dell’import totale, che seguono la rotta verso il canale di Suez.

Rischio inflazione

Le crescenti difficoltà nelle consegne e l’aumento dei costi dei noli marittimi a lungo termine sarebbero destinate a innescare aumenti nei prezzi, gonfiati anche dalle solite manovre speculative. Ecco perché molti analisti arrivano a temere che la tendenza al ribasso dell’inflazione, evidente già da alcuni mesi sulle due sponde dell’Atlantico, rischia di subire un rallentamento nei prossimi mesi. Uno scenario come quello appena descritto ridarebbe fiato ai falchi che nel Consiglio direttivo della Banca centrale europea predicano prudenza prima di dare un taglio ai tassi d’interesse. In altre parole, le pressioni inflazionistiche potrebbero pesare ancora sulla crescita, frenata dal costo del denaro.

Mar Rosso a parte, le prospettive sembrano tutt’altro che incoraggianti. La scorsa settimana, la Banca mondiale ha pubblicato le sue previsioni per il 2024 che vedono l’Europa in preda a un’economia stagnante, con un Pil che nell’area dell’euro dovrebbe aumentare solo dello 0,7 per cento, mentre a livello globale non dovrebbe andare oltre il 2,4 per cento, in diminuzione rispetto al 2,6 per cento del 2023. L’Europa è frenata soprattutto dalla crisi tedesca. Una crisi confermata dal dato reso noto ieri sul Pil di Berlino del 2023, in calo dello 0,3 per cento sul 2022.

L’Eurozona soffre

Più preoccupanti ancora, però, sono le statistiche, anche queste appena pubblicate, sulla produzione industriale che secondo Eurostat, a novembre del 2023 nell’area dell’euro è diminuita del 6,8 per cento rispetto allo stesso mese del 2022. Anche qui pesa molto il rallentamento di quella che fu la locomotiva tedesca, che fa registrare un meno 4,9 per cento su base annuale. Anche il dato italiano è molto negativo: meno 3,1 per cento. Se poi si considera l’andamento della sola attività manifatturiera la diminuzione arriva al 3,5 per cento

Questi numeri sembrano confermare le critiche di chi ritiene irrealistiche le previsioni del governo, che per quest’anno stima un Pil in crescita addirittura dell’1,2 per cento. Per centrare l’obiettivo sarebbe necessaria una scossa che al momento non si vede, a maggior ragione se le attese di un’imminente riduzione dei tassi d’interesse dovessero andare deluse.

I piani di Roma

Il problema principale dell’Italia resta quello del debito pubblico, che per i prossimi due anni, in base alle stime dell’esecutivo dovrebbe restare pericolosamente ancorato a quota 140 per cento sul Pil. Anche questo dato, però, vien preso con molta cautela dagli analisti. Da una parte, infatti, il Pil sembra destinato a crescere meno di quanto spera il governo, dall’altra il Tesoro spera di incassare entro il 2026 almeno 20 miliardi dalle privatizzazioni. E anche qui gli annunci di Roma sono accolti con qualche perplessità (eufemismo) dagli investitori internazionali.

La missione del ministro Giancarlo Giorgetti, che mercoledì sarà a Davos reduce dall’Ecofin di Bruxelles, avrà anche l’obiettivo di sensibilizzare le grandi banche d’affari internazionali in vista del piano di vendite programmato dal governo. Per avvicinarsi all’ambizioso traguardo dei 20 miliardi vanno messe sul mercato partecipazioni pesanti, come quella in Poste Italiane o nel gruppo Ferrovie dello Stato, entrambe citate da Giorgia Meloni nella conferenza stampa del 4 gennaio. Dopo il successo di due mesi fa, con la cessione del 25 per cento di Mps, con un incasso di circa 920 milioni, questa volta il Giorgetti in versione piazzista avrà pochi fatti concreti da offrire ai banchieri. Solo buone intenzioni, per il momento, nella speranza che bastino a tenere a bada i mercati.

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