La storia si ripete simile da anni: i Cobas o altre sigle simili proclamano scioperi nei trasporti pubblici, che sono straordinariamente frequenti, tanto che, dalle statistiche della Commissione Garanzia Sciopero, quelli in questo settore sono un quinto del totale (circa 200 all’anno su un totale di un migliaio).

Il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini con la precettazione ha ridotto con toni trionfali quello nazionale proclamato per venerdì 15, a sole 4 ore. Si vedranno i risultati, e comunque i Cobas hanno dichiarato che faranno ricorso.

Le motivazioni di questi scioperi sono varie, ma domina, anche se non sempre esplicitata, quella contro l’ipotesi di messa in gara dell’affidamento dei servizi.

Ora, non sembrano esserci ragioni per sostenere che a priori un servizio sociale funzioni meglio con imprese pubbliche in condizioni di monopolio. Per esempio, per i trasporti regionali ferroviari, c’è il caso tedesco che ha visto la messa in gara dei servizi con una diminuzione dei costi di produzione dell’ordine del 15% a parità di tariffe e di servizi offerti (quindi, a parità di costi, maggiori servizi).

Per quelli urbani e regionali su autobus, l’affidamento con gare periodiche non solo funziona molto bene nel resto d’Europa, ma consente anche di tutelarne pienamente la socialità, in quanto è l’ente locale che decide, nel bando di gara le tariffe, la rete e le frequenze che vuole garantire agli utenti.

Inoltre, in Italia i lavoratori sono molto protetti, sia come numero che come retribuzioni, da “clausole sociali” molto rigide, clausole assenti nel settore privato. E la normativa europea e nazionale raccomanda da decenni l’affidamento dei servizi con gare, per cercare di migliorare i servizi e di ridurre i costi.

In Italia sono state fatte più di un centinaio di gare, ma quasi tutte finte: al 95% sono state vinte dall’azienda pubblica che c’era già (l’incumbent) e sembra un po' inverosimile che chi c’era già fosse davvero sempre il più efficiente tra i concorrenti.

La normativa esistente è sempre stata aggirata anche con continui rimandi ed eccezioni, fino alla legge sulla concorrenza del governo Draghi del 2022, che sembrava più rigorosa. Ma poi è comparsa una clausola che per i servizi di trasporto locale era possibile una proroga di affidamenti “in house”, cioè senza gara, anche per 10 anni. La decisione è stata “bipartisan”, le gare non le vuole nessuno, e nessuno spiega il perché.

Il motivo non è molto confessabile, ed è lo stesso che spiega l’assoluta dominanza del settore pubblico: il “voto di scambio” con addetti e fornitori. Una sorta di “balneari su ruote”. Gli scioperanti dei trasporti temono che con l’avvento delle gare la loro forza contrattuale diminuisca. Ed è più che naturale che difendano i loro interessi, ma in questo caso sembra che ci sia davvero un conflitto con quelli della collettività. Questa delle gare è detta “concorrenza per il mercato”, che nulla ha a che vedere con la “concorrenza nel mercato”, cioè con la liberalizzazione del settore.

Il fatto poi che queste imprese siano fortemente di sussidiate (oltre il 60% dei ricavi) e non possano “politicamente” fallire è fonte di una distorsione proprio per quanto riguarda gli scioperi: la perdita di introiti dai biglietti per uno sciopero è inferiore al costo degli stipendi, quindi spesso ci guadagnano. Ovviamente un soggetto privato o pubblico che avesse vinto una gara di affidamento, se interrompe il servizio, andrebbe incontro a delle severe penali.

Ma i lavoratori hanno solide ragioni per protestare?

Non sembrerebbe il caso: i livelli salariali sono ragionevolmente buoni (con costi del lavoro nelle imprese maggiori intorno ai 50.000€ all’anno), il personale è difficilmente licenziabile, e, come si è detto, le imprese non possono fallire.

L’unica eccezione che conferma la regola è l’azienda di Padova che è fallita alla fine del secolo scorso. Poi più nessuna, nemmeno a fronte di gestioni catastrofiche, come il caso dell’Atac di Roma (assenteismo e manutenzione dei mezzi), o dell’evasione tariffaria (anche al 40% per quella di Napoli).

Ma gli aspetti meno difendibili degli scioperi nel settore è che sono colpiti i lavoratori a più basso reddito (che non hanno la macchina e spesso non riescono ad andare a lavorare perché hanno orari che non rientrano nelle “fasce protette”). Inoltre questi scioperi danneggiano l’intera popolazione che si muove, a causa della congestione che si genera nel traffico privato, cosa che, dulcis in fundo, genera anche vistosi aumenti dell’inquinamento locale.

Da qui non discende certo il messaggio di limitare per legge il diritto di sciopero.

Ma è certo che nel settore dei trasporti pubblici questo diritto andrebbe usato dai sindacati maggiori con estrema cautela. Questo anche prendendo le distanze dalle organizzazioni minori che ne abusano vistosamente, e infine anche per la banale osservazione che azioni come queste, che colpiscono solo gli utenti, per la gran parte lavoratori, e non le imprese, offrono un ovvio argomento (e probabilmente anche un crescente consenso elettorale) a chi il diritto di sciopero vorrebbe limitarlo davvero.

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