Il dado è tratto, l’ex Ilva si appresta a tornare nelle mani dello Stato. Ma rischia di aprirsi un contenzioso milionario con ArcelorMittal, che non ci sta a fare il socio di minoranza. L’incontro decisivo tra il governo e i soci di Acciaierie d’Italia si è svolto nel pomeriggio di ieri a Palazzo Chigi. In rappresentanza dell’esecutivo c’erano il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, il ministro degli Affari Europei Raffaele Fitto, quello delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e la ministra del Lavoro Elvira Calderone. La delegazione aziendale di ArcelorMittal era guidata da Aditya Mittal, Ceo della multinazionale siderurgica franco-indiana, mentre in rappresentanza di Invitalia (fino a oggi socio di minoranza dell’ex Ilva) era presente l’amministratore delegato Bernardo Mattarella.

La proposta del governo

Nelle scorse settimane il governo Meloni non è riuscito a esprimere una linea univoca sul dossier dell’ex Ilva, risultando spaccato in due sul percorso da intraprendere per salvare la più grande grande siderurgica d’Italia - che comprende il complesso siderurgico più grande d’Europa, quello di Taranto - e i suoi oltre diecimila dipendenti: da una parte la soluzione del ministro degli affari europei Raffaele Fitto, che spingeva affinché il controllo di Acciaierie d’Italia resti in mano privata, destinando parte dei fondi del Pnrr destinati alla transizione ecologica per la conversione e il riammodernamento degli impianti, forte di un “memorandum of understanding” siglato a settembre con i Mittal; dal lato opposto la linea espressa dal ministro delle imprese Adolfo Urso, che proponeva invece il ritorno dell’ex Ilva nelle mani dello Stato, facendo salire la quota di Invitalia dal 38 al 66% diventando così azionista di maggioranza, mentre ArcelorMittal passerebbe dall’attuale 62 al 34%.

Sebbene fonti di Palazzo Chigi rivelassero come la premier Giorgia Meloni fosse più incline ad appoggiare la linea Fitto, ma il rifiuto di Mittal a investire per il rilancio dell’azienda ha cambiato le carte in tavola, così la proposta messa sul tavolo ieri dai rappresentanti del governo è stata di aumentare il capitale sociale, in modo da portare Invitalia a ottenere la maggioranza e il controllo dell’azienda.

Mittal però ha fatto saltare il tavolo, opponendosi a tale ipotesi d’accordo. «Nel corso dell’incontro a Palazzo Chigi con ArcelorMittal sull’ex Ilva di Taranto, la delegazione del governo ha proposto ai vertici dell’azienda la sottoscrizione dell’aumento di capitale sociale, pari a 320 milioni di euro, così da concorrere ad aumentare al 66% la partecipazione del socio pubblico Invitalia, unitamente a quanto necessario per garantire la continuità produttiva. Il governo ha preso atto della indisponibilità di ArcelorMittal ad assumere impegni finanziari e di investimento, anche come socio di minoranza, e ha incaricato Invitalia di assumere le decisioni conseguenti, attraverso il proprio team legale. Le organizzazioni sindacali saranno convocate dall’esecutivo per il pomeriggio di giovedì 11 gennaio» si legge nella nota diramata da Palazzo Chigi.

Il passaggio di Acciaierie d’Italia in mano pubblica dopo quanto successo ieri non è affatto una semplice formalità. Il futuro dell’acciaieria e degli oltre diecimila dipendenti rischia di passare per le aule dei tribunali, con il rifiuto di ArcelorMittal a contribuire al rilancio societario che scarica completamente sulle spalle dello Stato gli oneri economici per portare avanti le produzioni degli impianti - quello di Taranto in particolare - impattando fortemente sulle casse pubbliche. Non è da escludere neppure la soluzione dell’amministrazione straordinaria, in attesa che il quadro legale si definisca. Se questo impasse non dovesse risolversi in tempi brevi, l’ipotesi di fallimento si farebbe sempre più concreta.

La posizione dei sindacati

Lo scontro legale non è certo questo l’esito sperato dalle organizzazioni sindacali, timorose che questa situazione di prolungata incertezza porti alla chiusura definitiva degli impianti. L’incontro con il governo sul futuro della fabbrica, inizialmente previsto per oggi, è stato rinviato a giovedì, aumentando l’insoddisfazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti.

«L’indisponibilità di Mittal, manifestata oggi nell’incontro con il governo, è gravissima – affermano in una nota comune Fi, Fiom e Uilm – soprattutto di fronte alla urgente situazione in cui versano oramai i lavoratori e gli stabilimenti, e conferma la volontà di chiudere la storia della siderurgia nel nostro Paese. Nell’incontro di giovedì ci aspettiamo dal Governo una soluzione che metta in sicurezza tutti i lavoratori, compreso quelli dell’indotto, e garantisca il controllo pubblico, la salvaguardia occupazionale, la salute e la sicurezza, il risanamento ambientale e il rilancio industriale». Adesso, però, dopo il vertice di ieri la soluzione del dossier Ilva appare più lontana che mai.

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