Lo scorso marzo, Netflix ha iniziato a sperimentare una funzione per stroncare il fenomeno della condivisione delle password. Se siete iscritti al colosso dello streaming, probabilmente sapete di che si tratta: è la pratica di fornire ad amici e parenti le proprie credenziali d’accesso, dividendosi così il costo dell’abbonamento.

La sperimentazione – che mira ad aumentare automaticamente i prezzi degli account condivisi tra più abitazioni – è partita in Costa Rica, Perù e Cile, ma la società ha già ammesso che l’obiettivo è di espanderla a livello globale. Dopo aver a lungo non solo tollerato la condivisione della password, ma averla addirittura considerata una pratica positiva per la sua diffusione nel mondo, Netflix ha adesso cambiato idea e ha ufficialmente aperto la caccia agli scrocconi.

Se serviva una conferma del fatto che la crescita di Netflix, che ancora pochi mesi fa sembrava inarrestabile, avesse iniziato a frenare, l’inversione di rotta nei confronti del “password sharing” è il segnale più chiaro che si potesse chiedere. D’altra parte, secondo i dati diffusi proprio da Netflix, nel mondo più di 100 milioni di abitazioni utilizzano Netflix sfruttando le credenziali altrui: un numero esorbitante per un servizio con circa 220 milioni di abbonati ufficiali. E così, proprio la condivisione delle credenziali è stata indicata da Netflix come una delle principali cause che hanno provocato il pessimo risultato dell’ultima trimestrale: «Quando crescevamo rapidamente, questa non era una priorità», ha dichiarato il fondatore Reed Hastings parlando con gli investitori. «Adesso ci stiamo lavorando duramente».

D’altra parte, un capro espiatorio – e una soluzione immediata – andava necessariamente trovato per consolare investitori che hanno dovuto incassare un duro colpo: per la prima volta da dieci anni a questa parte Netflix ha perso utenti, scendendo da 221,8 milioni a 221,6 (-200mila). Un dato completamente inatteso, visto che la società aveva precedentemente annunciato agli azionisti una crescita trimestrale prevista in 2,5 milioni di nuovi utenti. Inevitabilmente, il titolo in borsa è precipitato del 25 per cento, anche a causa di previsioni future che indicano, per il secondo trimestre del 2022, la perdita di altri due milioni di utenti.

Sfida col resto

La responsabilità di tutto ciò non è ovviamente solo della moltiplicazione delle password, ma soprattutto della moltiplicazione delle piattaforme streaming. Se ancora tre anni fa Netflix doveva vedersela soltanto con lo storico rivale Amazon Prime Video (circa 200 milioni di utenti) e con la più piccola Hulu, oggi si sono aggiunte Disney+ (che ha raggiunto i 130 milioni di abbonati e cresce più rapidamente di Netflix), Apple Tv+ (circa 50 milioni di utenti e dotata di risorse pressoché illimitate) e ancora HBO, Paramount, Peacock, Discovery. L’elenco potrebbe continuare, ma il concetto è chiaro: il mercato dello streaming che un tempo era territorio vergine oggi è affollato di società che non solo fanno concorrenza diretta a Netflix, ma le sottraggono i contenuti.

Tutte le serie e i film Marvel che un tempo si trovavano su Netflix sono oggi infatti un’esclusiva di Disney+ (assieme all’universo di Star Wars, i grandi classici Disney e altro ancora), mentre i successi del passato che stanno vivendo una seconda giovinezza grazie allo streaming – come Friends o The Office – negli Stati Uniti sono tornati sulle piattaforme di casa, rispettivamente HBO Max e Peacock (in Italia sono invece ancora su Netflix).

C’è un terzo cruciale elemento: il graduale ritorno alla vita quotidiana dopo i lockdown, che avevano avuto un enorme impatto sull’improvvisa crescita dei servizi di streaming. Nel corso del 2020, Netflix aveva infatti aumentato il numero complessivo di abbonati di 37 milioni (record di sempre), mentre Disney+ era riuscita a superare quota 100 milioni di utenti dopo soli 16 mesi dalla nascita.

Il post Covid

Insomma, chi era interessato a iscriversi a una piattaforma di streaming l’ha probabilmente fatto nei lunghissimi due anni di pandemia. E Netflix, dall’alto della sua leadership, è quella che sta scontando di più l’attuale rallentamento. Un ultimo aspetto che va necessariamente tenuto da conto è la decisione della società di Reed Hastings di interrompere il servizio in Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina, che gli è costato 700mila utenti e ha impedito di mettere a segno quella che, per quanto modesta, sarebbe comunque stata una crescita di mezzo milione di utenti circa.

E quindi, qual è la strategia di Netflix per tornare a crescere e placare investitori già in preda al panico? L’idea è semplice: se chi vuole e può permettersi l’abbonamento a Netflix l’ha già sottoscritto, bisogna allora andare a caccia di chi finora non l’ha fatto per ragioni economiche. Oltre a cercare di stroncare la condivisione delle password, Netflix starebbe così valutando l’introduzione di abbonamenti più economici accompagnati dalla pubblicità: “È noto come sia sempre stato contrario alla complessità della pubblicità e che sia un grande sostenitore della semplicità degli abbonamenti”, ha spiegato sempre Hastings. “Ma sostengo ancora di più la libera scelta del consumatore”.

Oltre a introdurre gli spot pur di aumentare gli utenti, Netflix deve probabilmente anche lavorare sulla qualità media dei suoi contenuti per conservare gli abbonati che ha già. Se negli ultimi mesi vi è capitato di lamentarvi della scarsa offerta della piattaforma, sappiate che non siete soli: una ricerca pubblicata a febbraio dalla società di analisi Needham & Company ha mostrato come il 31 per cento degli utenti di Netflix “sia meno soddisfatto dei contenuti rispetto a un anno fa”. Un dato estremamente preoccupante di cui anche la società ha mostrato di essere consapevole, spiegando agli azionisti di voler migliorare “tutti gli aspetti di Netflix, in particolare la qualità della nostra programmazione e del sistema di raccomandazione”.

Squid Game, Bridgerton o la nuova stagione di Stranger Things non bastano più. E non solo perché i titoli di successo e/o di qualità sono ormai sommersi da contenuti di dubbia fattura, o per la crescente offerta dei rivali, ma anche perché la modalità di distribuzione che caratterizza Netflix – che rilascia tutti gli episodi di una nuova stagione in una volta sola per incentivare il binge watching (la visione tutta d’un fiato) – fa sì che queste stesse serie abbiano vita breve e che sia necessario sfornare un successo dopo l’altro per convincere gli abbonati a restare (che è la ragione per cui i rivali sono rimasti legati alla diffusione di un nuovo episodio a settimana, che inoltre garantisce vita più lunga anche sui social e sui mass media).

Le difficoltà di Netflix sono insomma legate a una varietà di fattori e più in generale alla naturale evoluzione di un mercato ormai saturato da offerte di ogni tipo. E che deve anche vedersela con la concorrenza esterna: una ricerca Deloitte ha per esempio mostrato come la maggioranza della Generazione Z preferisca giocare ai videogiochi che guardare serie tv o film. Poiché anche i videogiochi sfruttano ormai la formula dell’abbonamento mensile con Google Stadia o il Game Pass dell’Xbox (oltre ovviamente alla musica con Spotify o Apple Music), la domanda sorge spontanea: a quanti servizi ci si può abbonare?

Per forza Stranger Things o Squid Game non bastano: oggi la sfida non è più quella di convincere una nuova persona ad abbonarsi, ma è di persuaderla ad aggiungere un’altra piattaforma al carnet o ad abbandonare qualche servizio rivale in suo favore. Mantenere un portafoglio di abbonamenti che copra giochi, musica, serie tv e sport può infatti facilmente costare oltre 60 euro al mese: una spesa non per tutte le tasche e che, inevitabilmente, sta facendo rinascere la pirateria, cresciuta a doppia cifra ovunque nel mondo (e in Italia addirittura del 66 per cento relativamente alle serie tv).

Concluso il periodo dell’espansione inarrestabile, l’attenzione degli investitori dovrà spostarsi dal numero di utenti ai risultati economici (a proposito, Netflix ha fatto comunque segnare 7,8 miliardi di fatturato e 1,6 miliardi di utili, sostanzialmente pari all’anno scorso), mentre le piattaforme dovranno puntare non solo a conquistare nuovi abbonati, ma soprattutto a conservare i vecchi. La guerra dello streaming sta per entrare in una nuova fase: quella di trincea.

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