Attraversare il mar Rosso è diventato molto rischioso nelle ultime settimane, come sanno bene le compagnie di navigazione internazionali. Molti dei grandi nomi dello shipping hanno deciso di cambiare rotta e di tornare a circumnavigare l’Africa - con un conseguente aumento dei costi e dei tempi di navigazione - pur di evitare gli attacchi lanciati dallo Yemen dagli Houthi.

La diminuzione dei traffici per il mar Rosso e il canale di Suez sta cambiando il panorama del trasporto marittimo, ma l’instabilità geopolitica non è l’unico fattore che mette a rischio la navigazione internazionale. La siccità a Panama e in generale gli effetti del cambiamento climatico sono fattori che tanto le compagnie marittime quanto i governi devono tenere in considerazione. Come dovrebbe sapere bene anche l’Italia, particolarmente interessata da quanto accade nei mari del mondo.

Il Mar Rosso

Uno dei primi effetti del cambio di rotta del commercio globale è l’aumento dei prezzi, oltre che dei tempi di navigazione. Il costo di un trasporto da Shangai a Genova per un container da 40 piedi è arrivato a toccare i 4.178 dollari, segnando un aumento del 114 per cento, mentre quello da Shanghai a Rotterdam è pari a 3.577 dollari (più 115 percento), secondo gli indici Drewry. Passare per il capo di Buona Speranza comporta anche tempi più lunghi e quindi un maggiore consumo di carburante, per cui anche l’inquinamento prodotto dai traffici marittimi è in continua crescita. Inoltre, assicurare i carichi ha adesso un costo maggiore, un fatto che contribuisce ad aumentare i prezzi.

L’instabilità nel mar Rosso, dunque, è un problema per tutti, ma riguarda in particolare l’Italia. Come calcolato a dicembre dal centro studi Srm, dal canale di Suez passa il 40 per cento dell’import-export marittimo italiano per un valore di 154 miliardi di euro. A lanciare l’allarme è stata anche la Coldiretti, secondo cui l’interruzione del traffico nel mar Rosso rappresenta un danno per l’export di frutta e verdura italiano verso Medio Oriente, India e continente asiatico.

Più in generale, la scelta delle compagnie marittime di evitare il passaggio dal canale di Suez rischia di tagliare fuori i porti italiani, per esempio Gioia Tauro e Brindisi, ma anche Genova, La Spezia e Trieste potrebbero essere presto sostituiti dai porti del nord Europa o da quelli francesi e spagnoli. Una volta circumnavigata l’Africa, per le navi è più comodo fermarsi in Spagna e Francia o dirigersi verso Rotterdam piuttosto che fare rotta verso l’Italia. La riscrittura delle rotte e la marginalizzazione degli scali italiani è una cattiva notizia anche per il governo, che sta investendo nell’ampliamento dei porti del nord Italia e nel rafforzamento dei collegamenti con l’Europa per rendere ancora più strategica la posizione di scali come Genova, La Spezia e Trieste.

Crisi climatica

Anche il cambiamento climatico sta mettendo a dura prova le rotte commerciali, in particolare quella del canale di Panama. Le autorità che lo gestiscono hanno dovuto ridurre il numero massimo di navi autorizzate al transito a causa della siccità.

La mancanza di precipitazioni, unita alle alte temperature e agli effetti delle correnti influenzate da El Niño hanno fatto scendere il livello dell’acqua nell’istmo di Panama, da cui passa il 3,5 per cento del commercio globale, l’8 per cento del commercio di cereali e il 5 per cento dei prodotti chimici e derivati dal petrolio. Come spiegato dall’Autorità del Canale, le precipitazioni a ottobre sono state le più basse mai registrate dal 1950.

Anche il canale di Suez deve fare i conti con le conseguenze dell’aumento delle temperature, come ha dimostrato l’incidente della nave Evergreen nel 2021. Da una parte le alte temperature, con medie ormai superiori ai 45 gradi, stanno aumentando la frequenza e l’intensità delle tempeste di sabbia, creando disagi alla navigazione; dall’altra l’innalzamento dei livelli del mare minaccia le infrastrutture di terra e la tenuta dei canali interni. Una cattiva notizia per l’Italia, che dipende dal passaggio per il canale di Suez.

Pagano i lavoratori

Instabilità geopolitica e cambiamento climatico hanno un effetto negativo anche sul lavoro portuale. Come spiega José Nivoi, del sindacato Usb, a Genova si assiste già a una riduzione del numero di navi che arrivano in porto con cadenza bisettimanale e le ricadute si protrarranno nel breve-medio periodo tanto a Genova quanto nel resto dei porti italiani, se la situazione non cambia.

La riduzione dei traffici per il canale di Suez si aggiunge a un altro problema che i portuali di Genova stanno sperimentando già da tempo: nel corso del 2023, nello scalo genovese sono diminuite le chiamate durante i picchi lavoro e la crisi in Medio Oriente non fa che aggravare questa problematica.

La minore necessità di manodopera aggiuntiva in più periodi dell’anno ha diverse cause, tra cui l’aumento della portata delle navi container. Quelle più grandi sono ormai in grado di trasportare 25mila container alla volta, il che è però un problema in caso di siccità dato che imbarcazioni così capienti hanno bisogno di una maggiore profondità delle acque.

Come sottolinea Nivoi, a pagare le conseguenze della crisi nel mar Rosso è anche il settore automotive, già in crisi durante il Covid per la mancanza di microchip e costretto ora a fare i conti con tempi di consegna sempre più lunghi.

Il tutto nel quasi silenzio della politica italiana, che è pronta a mandare navi militari nel mar Rosso ma si dimostra poco interessata alla dimensione marittima - e industriale - del paese.

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