Nel giorno in cui il Fondo monetario internazionale (Fmi) critica la manovra appena approvata dal governo, arriva un altro dato che conferma la fase di stagnazione in cui è immersa ormai da mesi l’economia del nostro paese.

Secondo l’Istat, nel mese di settembre i consumi degli italiani sono diminuiti dello 0,6 per cento rispetto ad agosto come quantità acquistate, mentre la spesa, su cui ovviamente influiscono le variazioni di prezzo dei prodotti, è calata dello 0,3 per cento.

Nell’arco di un anno, i consumi in termini di merci acquistate hanno subito una contrazione addirittura del 4,4 per cento, mentre la corsa dei prezzi ha tenuto a galla gli incassi dei commercianti, cresciuti dell’1,3 per cento, ma comunque molto meno rispetto all’inflazione che per il 2023 difficilmente scenderà sotto il 5 per cento.

Crescita zero

Fin qui i numeri, che certo non alimentano grandi speranze per una ripresa della crescita dopo un semestre in cui l’Italia ha fatto segnare un secondo trimestre in negativo (meno 0,3 per cento) e il terzo con un Pil stazionario. Il governo, come noto, ha disegnato nella Nadef una rotta che porterebbe a un incremento del Pil dello 0,8 per cento quest’anno e dell’1,2 per cento il prossimo.

L’accelerazione del 2024 dovrebbe essere trainata proprio da una ripresa dei consumi, che a loro volta sarebbero favoriti – si legge nella Nadef – da “un alleggerimento del carico fiscale”. In altre parole, i cittadini avranno più soldi da spendere visto che pagheranno meno tasse grazie alla riforma varata dalla maggioranza.

Uno scenario ottimistico, forse troppo, se si considera che il rallentamento della crescita su scala globale, destinato a proseguire anche per buona parte dell’anno prossimo, finirà per pesare ancora sull’industria nazionale, che tradizionalmente basa buona parte delle sue fortune sull’export. In prospettiva, quindi, non è affatto detto che il (teorico) aumento del reddito disponibile dovuto alla diminuzione delle imposte sia sufficiente a rilanciare il Pil.

Intanto, la crescita acquisita nei primi tre trimestri non supera lo 0,7 per cento, grazie al positivo risultato della prima parte del 2023. Manca poco, quindi, per centrare l’obiettivo dello 0,8 per cento fissato per quest’anno nella Nadef, una stima già corretta al ribasso rispetto all’1 per cento previsto ad aprile nel primo Def dell’esecutivo di Giorgia Meloni. Il risultato finale resta appeso all’andamento dell’ultimo trimestre dell’anno e qui il pessimismo prevale nelle analisi delle organizzazioni internazionali e dei principali centri studi.

Lo scenario europeo

Il Fondo monetario, nel World Economic Outlook presentato ieri, ha confermato lo scenario che vede l’Italia crescere dello 0,7 per cento nel 2023 e anche nel 2024, numeri, quindi, inferiori rispetto a quelli accreditati dal governo.

D’altra parte, anche il contesto globale è tutt’altro che positivo. L’area dell’Euro, secondo il Fondo, farà segnare una crescita dello 0,7 per cento quest’anno (come l’Italia, quindi), un dato su cui pesa soprattutto il risultato negativo della maggiore economia del continente, quella tedesca, in recessione nel 2023 (meno 0,5 per cento) per poi riprendere quota nei successivi dodici mesi (più 0,9 per cento).

Andrà meglio la Francia, più 1 per cento e più 1,3 per cento nei due anni considerati, mentre tra i grandi paesi europei il risultato migliore, in base alle stime del Fmi, sarà quello della Spagna, che dovrebbe chiudere il 2023 con una crescita del Pil del 2,5 per cento (il triplo dell’Italia) che dovrebbe ridursi all’1,7 per cento l’anno prossimo.

Numeri a parte, dal Fondo è arrivata anche una stoccata al governo italiano. «Nella bozza di bilancio del 2024 non sono previste riforme strutturali e favorevoli alla crescita», ha spiegato senza troppi giri di parole Alfred Kammer, direttore del Dipartimento europeo del Fmi.

L’invito rivolto a Roma è quello di anticipare l’aggiustamento di bilancio per innescare la ripresa anche grazie a interventi che aumentino la produttività, un aspetto «chiave» quest’ultimo, secondo Kammer. Su entrambi i punti il Fondo non vede progressi sostanziali da parte dell’Italia. Il bilancio pubblico, infatti, vede il debito oscillare intorno al 140 per cento del Pil fino al 2025.

Nessun progresso evidente, quindi. Mentre per quanto riguarda crescita e produttività la manovra si concentra soprattutto su bonus e mance di vario tipo che però hanno un impatto trascurabile sul Pil.

Rating a rischio

I rilievi critici del Fmi arrivano mentre a Roma si attende il giudizio di Fitch, la società di rating che venerdì 10 novembre pubblicherà le sue valutazioni sul debito italiano. Le previsioni della vigilia, per la verità, sono piuttosto ottimistiche.

Pochi negli ambienti finanziari e politici pensano davvero che l’Italia verrà declassata da Fitch. Sono invece maggiori le preoccupazioni in vista dell’esame di Moody’s, in calendario per il 17 novembre, visto che in primavera l’agenzia aveva evidenziato in un report il rischio concreto di declassamento per l’Italia. In sostanza la bocciatura si tradurrebbe nella perdita del giudizio di “investment grade” per i titoli di Stato nostrani con conseguenze potenzialmente molto pesanti sui mercati.

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