L’auto elettrica accelera in Europa ma perde terreno in Italia: l’Italia resta in fondo alla classifica per quota di mercato delle auto a emissioni zero, in calo costante, penalizzata dalle scelte del governo e dai ritardi di Stellantis.

Nei primi sei mesi del 2023, secondo i dati pubblicati dall’associazione dei costruttori europei Acea, le vendite di auto a batterie nel nostro paese sono sì aumentate del 31 per cento contro una crescita del 23 per cento del mercato nazionale, ma la quota (3,89 per cento del mercato dal 3,64 per cento dello stesso periodo del 2022) resta fra le più basse in Europa (27° posto). 

Davanti a noi non ci sono solo i paesi del nord Europa, tutti con quote di vendita di auto elettriche ormai del 30 per cento o più, ma anche i maggiori mercati europei come Germania, Francia e Gran Bretagna, tutti sopra al 15 per cento. Mentre in Europa le vendite di auto a batterie hanno superato a giugno quelle di vetture diesel, in Italia le immatricolazioni di auto a gasolio sono state pari a quattro volte quelle elettriche.

La tendenza si è confermata con i dati di luglio, relativi per ora solo ai principali paesi: la quota delle elettriche in Italia è stata del 3,4 per cento,  più del 3,3 per cento del luglio 2022 ma più bassa della quota del primo semestre; la Spagna conferma il sorpasso sull’Italia con un 4,2 per cento; in Germania la quota è balzata al 20 per cento (dal 16 per cento dei primi sei mesi) e nel Regno Unito si conferma il 16 per cento. In calo la Francia al 13 per cento.

Perché questi dati deludenti che mettono a rischio la transizione verso una mobilità ecologica? Le auto elettriche, è vero, sono ancora relativamente care rispetto a quelle a benzina, soprattutto nella fascia di vetture cittadine e nelle piccole da famiglia; ma l’acquirente medio italiano non è certo meno benestante di quello portoghese (quota di auto a batterie del 15,5 per cento in sei mesi) o della Slovenia (7,9 per cento) o Lituania al 6,9 per cento.

Peggio anche della Grecia

C’è chi evoca differenze “culturali” fra il nord e il sud dell’Europa, ovvero la maggiore o minore sensibilità sui temi ambientali; le differenze ci sono ma hanno un peso relativo, se si considera che – per esempio – nel semestre la Grecia ha raddoppiato la quota di vendite Bev sorpassando l’Italia.

Anche il problema dell’autonomia ancora limitata delle auto elettriche è rilevante ma non decisivo: in questo campo l’Italia è lontana da paesi leader con Germania e Olanda, ma secondo uno studio Acea del 2022 il numero di punti di ricarica per chilometro quadrato è vicino alla media Ue.

Sicuramente l’Italia potrebbe fare di più per aumentare la dotazione di colonnine di ricarica, soprattutto al sud, e per agevolare l’installazione di punti di ricarica privati, specialmente nei condomìni. Non dimentichiamo che con il rapido diffondersi delle auto a batterie nei paesi vicini all’Italia (Francia, Germania, Svizzera, Austria), la carenza di ricariche potrebbe ripercuotersi negativamente sulla capacità dell’Italia di attrarre turisti.

Una questione politica

Quali dunque le vere cause di un declino in netta controtendenza rispetto al resto d’Europa? Più che culturale, la questione è politica. Non è un caso che tra i quattro paesi europei con quote di vendite di auto elettriche inferiori all’Italia vi siano Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia (oltre alla Croazia): tre paesi con governi sovranisti e fortemente interessati a difendere la produzione locale di auto con motori a combustione. In Italia il leader leghista e ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, non perde occasione per sparare sull’auto elettrica (anche con falsità come «chi la compra oggi, la ridà indietro»).

La filiera italiana sventola spesso la bandiera della difesa della produzione nazionale, che ormai è soprattutto produzione di componenti: l’Italia è infatti scivolata al nono posto in Europa con meno di mezzo milione di vetture prodotte nel 2022. L’unica elettrica made in Italy attualmente in vendita è la Fiat 500; Maserati e Alfa Romeo stanno ancora lavorando sui rispettivi modelli a batterie.

Ciò spiega in parte la riluttanza dei governi a promuovere la mobilità elettrica, e spiega anche lo scetticismo di Stellantis, che non ha merce da vendere. Agli atteggiamenti negativi dell’ex costruttore nazionale e del governo si unisce una campagna – a volte urlata, a volte strisciante – portata avanti da buona parte dei mezzi di comunicazione, dalla stampa di settore ai social media: fra i giornalisti dell’auto, denigrare la mobilità elettrica è uno sport diffuso.

Per quanto riguarda Stellantis le cose potrebbero cambiare nei prossimi due o tre anni, quando arriveranno sul mercato i promessi modelli elettrici; dal punto di vista politico, invece, ci sono poche speranze che la situazione possa migliorare. Anzi: l’Italia è stata nei mesi scorsi in prima fila nella battaglia per cancellare o ammorbidire lo stop alle vetture con motori a combustione dal 2035, e ha ottenuto per ora un’apertura ai cosiddetti carburanti sintetici “verdi”.

Obiettivo 2024

La destra di governo gioca sulla transizione ecologica una partita a poker: temporeggiare con le carte che ha in mano, nella speranza che dalle elezioni europee del 2024 emerga una nuova maggioranza in grado di affossare l’intero piano Ue di transizione ecologica. La partita oggi appare vincente, ma perderla avrebbe nel lungo periodo conseguenze potenzialmente gravi per la filiera e i cittadini.

Con almeno metà dei paesi europei già decisamente avviati verso la mobilità elettrica (ovvero con quote di vendite già ora al 15 per cento o più), sarà infatti sempre più difficile attirare produzioni di auto elettriche, batterie e altri componenti in un paese che, oltre a produrre poche auto in generale, di elettriche ne compra pochissime. Dal punto di vista del mercato, la fascia più bassa acquista in grande maggioranza un’auto usata.

Le auto a batterie, per le quali il noleggio a lungo termine è più frequente che per le altre, finiscono in tempi relativamente brevi sul mercato dell’usato, permettendo così a fasce meno abbienti di acquistarle. Ma a questi bassi livelli di vendite, in Italia il volano si attiverà solo lentamente, escludendo di fatto per un periodo più lungo le fasce basse dalla mobilità elettrica. Il rischio è che l’Italia si trasformi in una discarica di auto usate a benzina e diesel in arrivo dall’estero, un po’ come sono stati i paesi dell’est Europa negli anni successivi alla caduta del muro di Berlino.

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