Sui temi istituzionali il governo di Giorgia Meloni è eversivo, ma sull’economia è ultra-conservatore. L’eversiva proposta di riforma costituzionale, difesa da pochi anche a destra, intanto distoglie l’attenzione dai problemi veri. Unirla all’autonomia regionale differenziata è un obbrobrio logico prima che politico: con una mano si rafforza il governo, con l’altra lo si indebolisce, senza riflettere su come le regioni han concretamente operato, specie in sanità e nei trasporti. La disparità delle norme fra regioni, anche del nord e confinanti, farà danni alle persone e alle imprese.

Che il sud sia il grande perdente di un deteriore baratto non preoccupa la baldanzosa maggioranza. La Repubblica oggi parlamentare domani sarebbe indefinibile, non esistendo nel globo terracqueo il modello Casellati-Meloni. I veri conservatori, attaccati agli ordinamenti esistenti, li cambiano solo per evidenti e condivise necessità. Sulle regioni un governo conservatore, prima di aumentare le competenze di alcune, chiederebbe che uso hanno fatto di quelle attuali.

A tanta carica rivoluzionaria su temi istituzionali corrisponde, in economia, la piatta conservazione dell’esistente, neanche filassimo col vento in poppa. Foderata da una maggioranza a prova di bomba, davanti a un’opposizione debole e divisa che le assicura lunga vita, Meloni potrebbe, se ne avesse voglia e capacità, aggredire i temi che da decenni bloccano il paese. Avrebbe tempo per raggiungere gli obiettivi e chiedere la riconferma; di tale stato di grazia il centro-sinistra, certo non esente da critiche, nei suoi pochi anni di governo mai ha goduto.

Incapaci al potere

Questa destra non cambia nulla perché non ne è capace, le manca la cassetta degli attrezzi. Qualcuno ricorda forse un’idea, una proposta seria degli esponenti ora al governo o del loro entourage, sul debito pubblico, sul sistema finanziario, sulla politica industriale, sull’innovazione, sulle scandalose disuguaglianze, sulla pubblica amministrazione? Niente di niente, sulla concorrenza protegge i concessionari attuali (balneari, ambulanti, tassisti) da chi offrirebbe servizi migliori e canoni adeguati. Blocca senza motivi il salario minimo e la grande montagna della riforma fiscale ha partorito un topolino; realizza solo i piani dei commercialisti di terza fascia che l’han voluta. Ignora i grandi dibattiti sul fisco e i grandi cambiamenti economici degli ultimi 50 anni, trascura la necessità di fare del fisco, oltre che sostegno della vita civile e dello sviluppo, anche agente di contrasto alle disuguaglianze.

Lungi dall’aiutare le imprese a crescere e innovare, promette di non disturbarle. Sorvola sul 70 per cento di evasione degli autonomi, risultante dai documenti del governo stesso. La “trovata” del concordato fiscale col contribuente non recupera l’evasione, ma l’autorizza; l’assurda idea di indurre l’Agenzia delle entrate ad accettare concordati maggiorati solo del 10 per cento anche per i meno affidabili, approvata in Commissione ma per ora stoppata dal governo, stiamone certi, ritornerà.

La coalizione, vincitrice anche per la nostra scarsa competenza economico-finanziaria, lesta ne profitta ammiccando senza pudore agli evasori. Costretta ad accettare il nuovo Patto di stabilità Ue, si contenta di guadagnare qualche anno di respiro sui conti. Domani è un altro giorno e si vedrà, peccato che il 2027 sia l’anno elettorale, in cui non è ipotizzabile un riequilibrio rinviato da decenni. Magari pensano che la grana toccherà ad altri.

© Riproduzione riservata