Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) privilegia le ascelle, i porti di Genova e Trieste che nell’Italia vista come un corpo umano sono il punto di congiunzione al tronco che ha come braccia il Tirreno e l’Adriatico. Nonostante tutti i proclami è rimandato ancora una volta a data da destinarsi l’appuntamento con una politica per i porti del sud per metterli almeno al riparo dalla travolgente avanzata cinese nel Mediterraneo. Pireo, Port Said, Tanger Med, Ambarli, Haifa, Valencia, Marsiglia, Vado: molti dei maggiori scali mediterranei sono già controllati o comunque partecipati con quote importanti dalle tre grandi conglomerate cinesi dei trasporti marittimi, Cosco, CMport, Qingdao Port International. Mentre i turchi di Yilport si sono installati da protagonisti nel porto di Taranto.

Il Pnrr è come se facesse finta di ignorare questa realtà limitandosi a fotografare l’esistente ritenuto un modello replicabile anche in futuro con in più qualche soldo appiccicato a corredo. Al ministero delle Infrastrutture sostengono che tra piano complementare al Pnrr e finanziamenti stabiliti da altri tre decreti precedenti, al sud va il 43 per cento di 3,3 miliardi di euro.

Anche partendo da questa cifra, il 43 per cento sembra l’applicazione di un moderno manuale Cencelli dei porti, calcolata sul peso specifico dei vari scali rispetto alla movimentazione delle merci. Lo dicono i numeri. Alessandro Panaro, capo del servizio che si occupa dell’economia marittima per conto di Studi e ricerche sul Mezzogiorno (Srm) ha calcolato di recente su dati risalenti a prima della pandemia che dai porti meridionali transita il 47 per cento del traffico italiano delle merci, il 45 per cento dei container e al sud si trova il 44 per cento degli occupati nel settore marittimo.

L’occasione persa

Pietro Spirito, collaboratore di questo giornale e fino a qualche mese fa presidente dell’Autorità dei porti di Napoli e Salerno ritiene che «con il Pnrr si sta sprecando un’occasione storica, cioè la possibilità di avviare una strategia mediterranea per la portualità italiana puntando sui porti meridionali». In un articolo per l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) il professor Rosario Pavia dell’università di Chieti e Pescara nota che nel Pnrr è «del tutto vaga la strategia in favore della portualità del Mezzogiorno».

A Trieste e Genova sono ovviamente di altro avviso. A Genova il Pnrr destina mezzo miliardo di euro alla costruzione della nuova diga foranea, un’opera gigantesca del valore complessivo di 2 miliardi, in principio destinata a Vado Ligure, e che ora trasformerà il porto di Genova in un approdo adatto alle grandi navi, con grande vantaggio dell’armatore Aponte e della sua Msc.

Quest’ultimo è ormai il re del Tirreno, dominus a Genova e Napoli e per i passeggeri a Civitavecchia. In più, dopo aver acquistato il 50 per cento di Contship, Aponte da non molto controlla pure Gioia Tauro, il secondo porto del Mediterraneo dopo il Pireo, in attesa da decenni di una consacrazione che non arriva mai. Il Pnrr sarebbe stato l’occasione d’oro, ma è stata mancata. L’associazione di lobby Uniport che fa capo a Aponte si lamenta, però, di altre scelte importanti ma di contorno, come l’esclusione dei porti del sud dal bando per i 270 milioni di euro per l’energia rinnovabile negli scali ritenendo forse che Aponte ha già avuto tanto a Genova.

Trieste riceverà dal Pnrr circa 450 milioni, soldi pubblici che si sommeranno a investimenti privati italiani e stranieri come quelli del porto di Amburgo e di società ungheresi che rafforzeranno il ruolo dello scalo diventato un gioiello grazie anche all’attivismo del presidente dell’Autorità, Zeno D’Agostino. Il quale non nega che forse sarebbe stato opportuno avviare con il Pnrr una strategia per il Mediterraneo, anzi, la auspica, ma constata che «purtroppo con il poco tempo a disposizione e nelle condizioni date non si poteva fare altrimenti, le scelte fatte sono le migliori possibili».

Il nodo dei progetti mancanti

Già, il contesto. Concepito a cavallo tra la fine del governo Conte 2 e l’avvento di Mario Draghi, il Pnrr dei porti è nato come una sorta di figlio di nessuno. La ministra precedente, Paola De Micheli, dei porti si era occupata poco o punto ignorando di fatto perfino l’esistenza della Conferenza che riunisce le 16 autorità portuali. Enrico Giovannini, il successore della De Micheli, si è trovato a navigare in un mare incognito e prudentemente ha deciso di bordeggiare lungo costa. Sono stati presi i dossier relativi a ogni porto con le relative richieste e diligentemente collazionati da un dirigente esperto, Giuseppe Catalano, responsabile della Struttura di missione.

Il quale non nega che Trieste e Genova siano favoriti, ma ritiene che anche volendo non potevano essere concessi ulteriori finanziamenti a molti porti del sud perché non avevano progetti pronti e cantierabili. Come dire: chi è causa del suo male pianga sé stesso. Catalano aggiunge che ci sono tanti altri interventi per i porti con relativi stanziamenti. Qualche esempio: i finanziamenti per le Zes, zone economiche speciali a legislazione separata e a tassazione ridotta che si trovano soprattutto al sud. E poi i collegamenti ferroviari ai porti di Augusta e Gioia Tauro che saranno realizzati da Rfi (Rete ferroviaria) delle Fs. Infrastrutture determinanti, invocate da tutti, ma di certo non una novità: sono attese da decenni.

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