In un’intervista a Fox News del 30 luglio, la Presidente Meloni ha dichiarato che l’Italia “cresce più delle altre economie europee” e si è lamentata di essere stata descritta come un mostro al momento del suo insediamento. A questo tipo di critica, ha detto, preferisce rispondere con i risultati.

Un risultato è arrivato ieri, ma non è quello che la propaganda di governo si aspettava: nel secondo trimestre dell’anno, il Pil italiano è calato dello 0,3 per cento rispetto ai tre mesi precedenti. Il dato negativo, che se si ripetesse anche nel prossimo trimestre porterebbe tecnicamente a una recessione, è una pessima notizia per il nostro Paese, soprattutto perché dipende molto da quello che stiamo facendo, non dal contesto economico internazionale.

L’economia italiana è infatti l’unica tra i grandi Stati europei ad aver registrato una riduzione del Pil nell’ultimo trimestre. Ci fanno compagnia Svezia e Lettonia, ma Francia e Spagna crescono, e di parecchio, mentre la Germania mantiene un Pil stabile. La crescita acquisita nel 2023 resta positiva (+0,8 per cento), ma dopo l’ottimismo del primo trimestre, ora l’Italia rischia di non raggiungere nemmeno l’obiettivo del +1 per cento nel 2023, che veniva dato per scontato da gran parte degli analisti.

Ma quali sono le ragioni di questa riduzione? In generale, l’economia europea resta molto condizionata dall’inflazione. Nell’Eurozona si è registrato un +5,3 per cento a luglio, meno del +5,5 per cento di giugno, ma sempre un livello molto alto rispetto all’obiettivo del 2 per cento nel medio periodo. In Italia, l’inflazione resta anche più alta, con un +6,4 per cento, contro il +6,7 del mese scorso. Ma l’aumento dei prezzi non è l’unico fattore in gioco.

Prima di tutto, a calare è la domanda interna, mentre quella dall'estero rimane stabile. Anche questo secondo dato, però, è negativo: la poca crescita degli ultimi dieci anni è infatti stata trainata soprattutto dall'export. Se la domanda di beni italiani all’estero resta stabile, il rischio è che il nostro Paese perda l’ultimo motore per la crescita che ha a disposizione.

È ancora presto per dirlo, ma anche in questo caso l’inflazione potrebbe giocare un ruolo: il fatto che l’inflazione italiana sia più alta rispetto al resto dell’Eurozona trainare al rialzo i nostri prezzi, rendendoli meno competitivi sui mercati esteri. Un altro dei motivi per cui rallentare l’inflazione il prima possibile deve essere una priorità.

C’è poi un ultimo aspetto da osservare: l’unico settore a reggere è quello dei servizi, mentre agricoltura e industria perdono terreno. Il calo della produzione industriale potrebbe essere legato allo stop del Superbonus: la spinta alla crescita (drogata) data dall’incentivo alle ristrutturazioni edilizie sembrerebbe essersi esaurita nello scorso trimestre, dopo lo stop deciso dal governo a inizio anno.

Il calo del settore dell’edilizia starebbe così incidendo negativamente sul Pil. La  rallenta la crescita di Meloni sarebbe da ammirare, perché, pur con qualche conseguenza negativa sul Pil nel breve periodo, elimina un fardello che sarebbe pesato sulle future generazioni per anni.

Quando si risparmia con una scelta condivisibile da una parte, però, bisognerebbe poi reindirizzare le risorse verso progetti che favoriscano la crescita. Meno tasse per le partite Iva, riduzioni infinitesimali del cuneo fiscale e tagli ai sussidi per le persone in povertà, senza toccare minimamente le rendite e le corporazioni protette dalla politica che bloccano la concorrenza, non è però una ricetta adeguata per crescere. E i risultati che piacciono tanto a Meloni adesso si vedono.

© Riproduzione riservata