Laurearsi conviene? È la domanda cui prova a rispondere l’University Report 2023 di JobPricing, che riporta una grande quantità di dati sulle retribuzioni di laureati e non laureati, giovani e meno giovani, che permettono di farsi un’idea. La risposta è semplice: sì. Vanno però tenuti in considerazione molti se e molti ma.

Innanzitutto, laurearsi è meno conveniente in Italia rispetto agli altri Paesi avanzati. Lo mostrano i dati dell’Education at a glance dell’Ocse, che riportano che il salario medio di un laureato in Italia è del 38 per cento più alto rispetto a quello di un diplomato, contro il 57 per cento della media Ocse e il 52 per cento dei Paesi Ue membri dell’Ocse.

Il vantaggio, poi, diventa ancora più basso per i giovani laureati (fino a 35 anni), che hanno un salario solo del 13 per cento superiore rispetto a quello dei diplomati, contro il 39 per cento della media Ocse. Questa differenza tra under-35 e resto della forza lavoro è sì un indicatore del diverso livello di esperienza dei lavoratori, che si riflette sulle retribuzioni, ma anche di un generale schiacciamento verso il basso dei salari per le persone che sono entrate nel mercato del lavoro negli ultimi 15 anni, probabilmente il peggiore e più prolungato periodo di stagnazione per l’economia italiana. Se prendere una laurea trent’anni fa dava davvero un vantaggio netto rispetto a fermarsi al diploma, oggi questa tendenza ribassista rende molto meno conveniente il percorso di laurea.

Questa differenza tra giovani e anziani si vede anche nella distribuzione dei redditi medi tra laureati e non per fascia di età: la differenza di retribuzione annua lorda (Ral) tra chi ha completato l’università e chi si è fermato al diploma è del 9,5 per cento tra i 25-34enni e sale fino al 79,4 per cento per chi ha più di 55 anni. Di nuovo, un risultato che è in parte dovuto all’esperienza, ma anche alle diverse retribuzioni d’ingresso dei giovani d’oggi rispetto a trenta o quarant'anni fa.

Non tutte le lauree, poi, pagano uguale. Ci sono sempre stati percorsi universitari più o meno redditizi, ma oggi, soprattutto in Italia, la scelta sbagliata dell’indirizzo di studio potrebbe portare a risultati sul mercato del lavoro praticamente identici rispetto a chi l’università non l’ha mai frequentata. È il caso di scienze pedagogiche e psicologiche, che offre una Ral media di ​​28.916 euro, di poco superiore ai circa 26 mila euro guadagnati in media dai non laureati. 

I dati, poi, si riferiscono alle persone che un lavoro lo hanno trovato, ma va considerato anche il diverso accesso al mercato del lavoro tra chi ha una laurea e chi no. I diplomati under 35 registrano un tasso di occupazione (67,6 per cento) più basso rispetto a quello dei laureati (72,8 per cento), ma la differenza è piuttosto bassa: il vantaggio di un laureato è di soli 5 punti percentuali rispetto a un diplomato.

In ogni caso, almeno a inizio carriera, la differenza media in termini di retribuzione annua lorda non sono molto diversi a seconda dell’indirizzo di studio. Il settore disciplinare che “paga” di più è quello relativo alle materie Stem: le lauree in ingegneria o scienze matematiche garantiscono in media una Ral di 34 mila euro, seguite da quelle in scienze economiche e statistiche (33 mila euro circa).

A pagare meno sono invece le materie umanistiche, tutte sotto i 30 mila euro annui di media. Ma la differenza non è così ampia: tra scienze pedagogiche e psicologiche e ingegneria aerospaziale, infatti, il divario è di poco più di 6 mila euro lordi annui sotto i 35 anni. È probabile però che la variabilità verso l’alto sia molto più comune nelle materie scientifiche piuttosto che in quelle umanistiche. E, infatti, la variazione percentuale media è del +9,8 per cento per ingegneria meccanica, navale, aeronautica e aerospaziale, mentre per scienze pedagogiche e psicologiche è del -8,3 per cento.

La triennale conta poco

Finora si è parlato di laurea in generale, ma è importante fare una distinzione tra chi si ferma alla triennale e chi prosegue con un master o con la laurea magistrale. Per quanto l’Italia sia il penultimo Paese europeo per numero di laureati, non si registra una particolare carenza di personale mediamente qualificato nelle aziende e, quindi, le retribuzioni per chi si ferma alla triennale sono molto basse rispetto a quelle dei non laureati.

Secondo i dati di JobPricing, il vantaggio in termini di retribuzione è di soli mille euro lordi l’anno per i 25-34enni con la sola laurea triennale rispetto ai diplomati. La situazione migliora di molto una volta conseguita la magistrale, con una retribuzione del 40 per cento superiore rispetto ai diplomati (circa 12 mila euro l’anno).

Insomma, quando si deve decidere se convenga o meno laurearsi, oltre all’indirizzo di studio, bisogna tenere anche in considerazione il fatto che il percorso universitario dovrà durare almeno cinque anni (quattro in caso di triennale più master di primo livello), altrimenti l’unico vantaggio che darà la triennale rischia di essere quello di poter accedere a determinati concorsi pubblici preclusi a chi non è laureato.

L’estero resta la migliore opzione

Laurearsi conviene, anche in Italia, ma i dati di JobPricing sottolineano ancora una volta come il rendimento dell’investimento economico e personale della laurea sia decisamente più basso rispetto a quanto ci si aspetterebbe, anche quando si sceglie l’indirizzo di studio giusto.

A fronte di dati così deludenti per il nostro paese, trasferirsi all’estero continua a essere l’opzione più conveniente, con conseguenze disastrose in termini di fuga di cervelli e di perdita di capitale umano. È difficile però biasimare chi decide di lasciare il nostro mercato del lavoro.

Secondo Almalaurea, infatti, i laureati italiani che si trasferiscono all’estero per lavorare guadagnano in media 500 euro netti mensili in più rispetto a chi risiede nel Nord e oltre 600 in più di chi lavora nel Mezzogiorno. Finché le retribuzioni offerte nel nostro Paese non cresceranno, difficilmente gli studenti migliori decideranno di restare.

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