Gli europei dovranno tornare in miniera alla ricerca di materie prime critiche, come litio e cobalto. Il 16 marzo la Commissione ha pubblicato il Critical Raw Material Act, una proposta di regolamento che si propone di «ridurre i crescenti rischi di approvvigionamento dell’Unione» aumentando la produzione interna e il riciclo delle materie prime fondamentali per la transizione ecologica e per le nuove tecnologie. Il documento sostiene che almeno il 10 per cento di queste materie dovrebbe essere estratto in Europa; che il 15 per del consumo annuo di ciascuna materia dovrebbe provenire dal riciclaggio; e che almeno il 40 per cento dovrebbe essere raffinato all’interno dell’Unione europea. Inoltre entro il 2030 non più del 65 per cento del consumo annuale dell’Unione di ciascuna materia prima strategica deve provenire da un unico paese terzo.

Minerali indispensabili

Ma che cosa sono le materie prime critiche e perché sono così importanti? La Commissione ne ha individuate 34, di cui 16 considerate strategiche: tra queste litio, cobalto, rame, manganese, bismuto, tungsteno, fosforo, grafite. Insieme alle terre rare (un gruppo di 17 elementi chimici particolarmente difficili da estrarre) quei minerali sono fondamentali per il funzionamento di batterie, smartphone, auto e reti elettriche, pale eoliche, pannelli solari. L’Unione è fortemente dipendente da altri paesi e ogni anno importa materie prime per una spesa complessiva di 31 miliardi di euro. Si prevede che nel 2030 l’Europa avrà bisogno di 18 volte più litio e 5 volte più cobalto rispetto ai livelli attuali per la produzione di batterie per auto elettriche e stoccaggio di energia. E il problema è che le materie prime critiche sono concentrate in pochi paesi: secondo il ministero delle Imprese e del made in Italy, la Cina fornisce all’Unione europea circa il 98 per cento delle terre rare, il Cile il 78 per cento del litio, la Turchia il 98 per cento del borato, il Sudafrica il 71 per cento del platino. La Relazione annuale sulla situazione energetica nazionale con i dati riferiti all’anno 2021, realizzata dal nostro ministero dell’Ambiente, avverte che oltre ai rischi geopolitici legati alla concentrazione geografica di produzione ed estrazione, «nei prossimi anni potrebbero emergere ulteriori criticità connesse alla disponibilità di materie prime per la transizione energetica»: come la lunghezza dei tempi per lo sviluppo di nuovi giacimenti, la riduzione della qualità delle materie prime (si stima che in Cile il rame negli ultimi 15 anni abbia perso circa il 30 per cento di contenuto minerale), i rischi ambientali.

Dunque, per ridurre tali minacce l’Europa intende estrarre di più nel proprio territorio. Il Centro di ricerca della Commissione Ue stima che il valore delle risorse minerarie europee non sfruttate ammonti a circa 100 miliardi di euro. Sono ricchi di materie prime critiche Portogallo, Spagna, Francia, Svezia, Finlandia, Austria, Repubblica ceca, Romania. Ma giacimenti interessanti sono presenti anche in Germania e Italia.

La situazione in Italia

L’Italia è uno dei paesi più dipendenti dalle importazioni estere di materie prime. Il governo Meloni in febbraio ha attivato un tavolo interministeriale tra il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica e il ministero delle Imprese e del Made in Italy per definire il fabbisogno nazionale di minerali critici. Il ministro delle Imprese Adolfo Urso è ottimista: «È stato aperto un tavolo sulle materie prime critiche e dalle prime stime in Italia ci sono 15 dei 34 elementi. Ma il potenziale è ancora più alto». Il problema è che non esiste una mappa aggiornata: l’Istituto Superiore per la Protezione Ambientale (Ispra) sta lavorando alla nuova Carta mineraria italiana che includerà gli esiti delle ricerche già condotte da università ed enti di ricerca e quelli di nuove campagne di rilevamento e analisi. Per realizzarla però ci vorrà almeno un anno dall’arrivo di finanziamenti.

In base alle ricerche già effettuate risulta che in alcune aree del nostro paese sono presenti giacimenti interessanti: a Punta Corna, una montagna delle Valli di Lanzo in provincia di Torino, si trovano cobalto, nichel, rame e argento. Qui è presente Altamin, multinazionale mineraria australiana, che sta effettuando alcuni rilievi. A Gorno, in provincia di Bergamo, c’è uno dei più importanti giacimenti europei di zinco, piombo e argento. Tra la bassa Toscana e il Lazio, una zona vulcanica lunga centinaia di chilometri, ci sono grosse quantità di acqua calda, dove negli Anni 70 Enel e Agip trovarono percentuali significative di litio. In Emilia Romagna le miniere del Corchia nel Parmense sarebbero ricche di rame, cobalto e nickel. In Liguria nelle valli Graveglia, Gromolo, Petronio e Vara sono presenti rame, piombo, manganese, zinco, argento, oro, cobalto, nickel. Sempre in Liguria, tra i comuni di Urbe e Sassello, nel Parco Nazionale del Beigua, si trova il giacimento di titanio più grande in Europa. In Sardegna nella miniera di Muscadroxiu, ad una cinquantina di chilometri da Cagliari, sono state estratte per decenni la barite e la fluorite e ora una società sta pensando di cercare terre rare. E nella cava di marmo di Buddusò, in provincia di Sassari, l’Università di Ferrara ha scoperto uno dei giacimenti di terre rare più promettenti in Europa.

Ma questo è solo un assaggio delle potenzialità del territorio italiano: nel nostro paese ci sono circa tremila miniere abbandonate e molte potrebbero nascondere giacimenti di minerali che non venivano considerati interessanti quando gli scavi erano aperti.

Effetto Nimby

Anche se la tecnologia ha fatto passi da gigante rendendo l’estrazione più sostenibile e meno impattante sul territorio, l’opposizione delle popolazioni locali all’apertura o alla riapertura di miniere sarà inevitabile. Un fenomeno che già si sta verificando in Europa: in Serbia il governo ha dovuto rinunciare all’estrazione di litio dopo le proteste dei residenti. In Portogallo vengono contestati i lavori alla Mina do Barroso. In Svezia, l’estrazione in uno dei più grandi giacimenti di terre rare d’Europa, Norra Karr, è bloccata da residenti e imprenditori agricoli: il sito proposto si trova sopra il Vattern, lago che fornisce acqua dolce a 250mila persone. In Francia residenti e autorità locali annunciano battaglia dopo l'annuncio della nuova miniera di litio di Echassières.

In Italia i comuni interessati dalle ricerche esplorative a Berceto e Borgotaro hanno già alzato le barricate contro la possibile riapertura delle miniere. L’australiana Altamin si sta scontrando con l’opposizione delle popolazioni delle valli liguri e in Val Graveglia è stato fondato il comitato «No a nuove miniere nelle valli del Levante».

Oltre all’effetto Nimby (not in my backyard, non nel mio giardino) a frenare le estrazioni in Italia e in Europa saranno ulteriori fattori: uno è la concorrenza con gli Stati Uniti che grazie all’Inflaction Reduction Act (Ira) attirano gli investimenti nella ricerca di materie prime critiche; un altro è il costo dell’energia, che resta più alto rispetto alla Cina o agli Usa. Sono due ostacoli che potrebbero rendere anti-economico lo sfruttamento dei giacimenti europei. Poi in Italia le industrie del settore chiedono tempi certi e una normativa nazionale e non su basi regionali per poter investire. All’assemblea annuale interna dell’Assorisorse, svoltasi il 12 aprile, uno dei temi centrali è stato proprio quello delle materie prime critiche con la richiesta di avere tempi ragionevoli per le autorizzazioni. È emerso anche il problema della mancanza di tecnici specializzati: non solo le terre, pure i geologi ormai sono rari.

Il filone del riciclo

Se non riuscisse a diventare un grande produttore di materie prime critiche, come è probabile, l’Italia potrebbe giocare un ruolo importante sul fronte del riciclo. Claudia Brunori, responsabile della Divisione uso efficiente delle risorse dell’Enea, lavora da 15 anni sulle materie critiche. Spiega che l’Europa e l’Italia dovrebbero puntare su tre obiettivi: ridurre la presenza dei minerali strategici nei prodotti o sostituirli con nuovi materiali; allungare la vita di batterie, telefoni, computer, elettrodomestici, rendendoli riparabili e facilitandone il riutilizzo da usati; infine recuperare le materie prime preziose dai beni elettronici arrivati a fine vita. L’Enea ha sviluppato e realizzato un impianto che costa meno di 10 milioni di euro ed è in grado di ripagarsi in 3 anni estraendo il materiale dai rifiuti elettronici. Il riciclo potrebbe coprire il 10 per cento del fabbisogno di materie prime critiche.

La raccolta però va migliorata. Giorgio Arienti, direttore generale di Erion Weee, il consorzio del sistema multi-consortile Erion che si occupa della gestione di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee), ha dichiarato che «per estrarre questi materiali dai rifiuti elettrici ed elettronici occorrono degli impianti estremamente sofisticati, perché le materie rare sono presenti in quantità infinitesimali. Il problema è che in Italia raccogliamo pochi rifiuti elettronici e quindi non è economicamente conveniente estrarre le materie critiche dai nostri vecchi pc e telefonini. La cosa fondamentale è raccogliere di più, i cittadini devono imparare a fare una corretta raccolta differenziata e avviare al riciclo i vecchi apparecchi e i telefonini».

Abbiamo una miniera in tasca, ma non la sfruttiamo.

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