Nelle innumerevoli scene da film dell’assurdo di questi ultimi vent’anni ci sarà anche quella della protesta di ieri (un flash mob davanti alla sede di Ita) dei lavoratori licenziati dall’Alitalia contro le «discriminazioni nel passaggio alla nuova compagnia aerea», Ita appunto.

Il nascente vettore statale prevede 2.800 assunzioni in teoria aperte a tutti (ecco la discriminazione) in realtà entreranno solo i raccomandati dell’ex Alitalia. Per gli altri 7.300 si preannuncia una sicura cig almeno fino al 2023, anche se i sindacati la chiedono fino al 2025.

Una cig che dura da tanti anni  – tempo impensabile per qualsiasi impresa e con trattamenti normativi ed economici di maggior favore data l’integrazione dell’80 per cento dello stipendio – per un’azienda che non esisterà più. La gara di oggi per il marchio Alitalia, che partiva da 290 milioni, è andata tra l’altro deserta. Piloti e assistenti di volo già in cassa da 3 – 5 – 7 -9 anni avranno davanti a se altri 5 anni di cig e 3 di Naspi.

Il caso del fondo Fsta

Ma il fondo di solidarietà (Fsta) che dovrebbe sostenere i costi degli ammortizzatori sociali del settore è a secco. Avrebbe bisogno urgente di un rifinanziamento con una norma legislativa ad hoc di quasi un miliardo, dicono i sindacati che amministrano il fondo.

Nei settori industriali alimentare, tessile, meccanico, siderurgico, chimico ecc. la cig è alimentata da un contributo dei datori di lavoro e dei lavoratori.

Questo fondo nato esplicitamente per tenere sul mercato un’ azienda decotta che negli anni è diventata sempre più marginale sul mercato del trasporto si è poi allargato alle aziende del settore aereo e aeroportuale, per non evidenziare che tutta la "solidarietà” era solo per l’ex compagnia di bandiera.

Il settore già prima della pandemia da coronavirus aveva mostrato pesanti segnali di crisi finanziaria derivanti dal permanere dello stato di collasso di Alitalia, dall’eccesso di offerta di scali aeroportuali e dal dumping contrattuale delle compagnie low cost e delle società di handling.

Mentre in Italia il settore “brucia" ricchezza, però, in Europa la crea. Nel 2019 i 34 aeroporti italiani avevano un traffico medio di 4,2 milioni di passeggeri, mentre i 18 della Germania 11,8 milioni e i 20 scali inglesi 13,3 milioni di passeggeri/anno.

Alitalia si è difesa dalla concorrenza delle low cost con continui aiuti e prestiti di Stato aggirando le regole europee, quindi aumentando la sua inefficienza, e tenendosi in vita con il trasferimento dei costi del personale al Fondo attraverso lunghi periodi di cig grazie ad ammortizzatori sociali che in ogni altra parte del mondo le aziende e i lavoratori si sognano per durata ed entità del trattamento economico (cig d’oro). Le risorse del fondo vengono reperite con una tassa di tre euro che i passeggeri pagano ogni volta che si imbarcano su un aereo in Italia.

Ma se il carrozzone Alitalia è stato in piedi con aiuti di Stato e una Cig “stellare” grazie all’unico Fondo al mondo alimentato dalla fiscalità generale le compagnie low cost hanno macinato profitti in Italia grazie a sussidi pubblici mascherati. Si tratta di contributi per passeggero imbarcato concessi dai gestori aeroportuali, il Catullo di Verona per esempio, raggiunse nel 2017 l’incredibile cifra di 17 euro a passeggero.

Un incredibile sistema “competitivo” tollerato dai governi e dai ministri dei Trasporti che si sono succeduti. Con questi costi, anche chiamati co-marketing, i gestori aeroportuali pubblici in particolare (gestione sostanzialmente monopolista) hanno coperto i loro enormi costi di marketing e la loro inefficienza derivante dall’assenza di una regolazione pubblica ministeriale usando disinvoltamente anch’essi le risorse del Fondo una gallina dalle uova d’oro che mediamente produceva un gettito di 220 milioni all’anno ante coronavirus.

Anche qui benevoli e fantasiose cig hanno permesso enormi risparmi sul costo del lavoro tali da consentire ai beneficiari di chiudere i loro bilanci con enormi profitti.

Si tratta di gestori “blasonati” come Sea che gestisce Linate e Malpensa oppure Sacbo che con Orio al Serio ha per le mani il terzo aeroporto italiano ma che nonostante i record di traffico ed i profitti ricorrono alla cig periodicamente anche quando chiudono per brevi periodi gli scali per il rifacimento delle loro piste.

Non c’è una regola, il mercato che non tira momentaneamente o la riconversione delle attività, al fondo ogni scusa va bene per ricorrere ai benefici dello stesso. In particolare da quando non reggeva più utilizzo esclusivo delle risorse alla sola Alitalia.

Gli effetti sugli enti locali

Viceversa i conti economici dei medio piccoli aeroporti sono talmente peggiorati che nonostante l’uso del fondo tengono sotto scacco i bilanci degli enti locali con debiti complessivi che superano abbondantemente il miliardo. Aver tenuto in vita in queste condizioni Alitalia ha anche avuto effetti negativi sull’esistenza di altre compagnie aeree private italiane.

Distorsioni, concorrenza sleale, precedenza negli scali, accaparramento dei sussidi per la continuità territoriale da parte di Alitalia (sostenuta dai governi e dalle regioni interessate) hanno ammazzato, spesso ancora nella culla, tutti i tentativi di far crescere nuovi vettori nazionali. Assorbimenti ed acquisizioni di Gandalf, Air One, Avianova, Volare Web ecc. hanno finito per appesantire ulteriormente sulle spalle pubbliche il peso di Alitalia, facendola diventare essa stessa un ammortizzator sociale.

La soluzione da trovare

Una soluzione per i licenziati di Alitalia va trovata ma deve essere una soluzione più equa di quanto lo è stata fino ad ora e visto il numero di addetti interessati deve essere dentro un contesto di discontinuità con il passato non solo perché lo chiede la commissione europea ma anche perché i trattamenti devono essere più equi con il resto del mondo del lavoro.

Una discontinuità che deve incentivare comportamenti efficienti e non fallimentari rilanci, come quello dei capitani coraggiosi animato da Silvio Berlusconi e quello di Etihad animato da Matteo Renzi, sia livello normativo e salariale che industriale.

A poco serve la riduzione del costo del lavoro che pure c’è stata in questi anni se le ore lavorate dai naviganti sono quasi la metà dei loro colleghi europei e se la normativa previdenziale e sociale ha costi stratosferici come quella del Fsta.

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