All’arrivo in conferenza stampa, tallonata dai suoi due vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani, Giorgia Meloni ha accennato un sorriso.

Il consiglio dei ministri ha approvato la legge di Bilancio 2024 e ne ha fissato il valore a 24 miliardi, con risorse trovate con «16 miliardi di extradeficit e per il resto di tagli di spese», ha spiegato la premier.

«Sono stati chiesti sacrifici a tutti al governo», ha detto riferendosi alla sua richiesta di spending review ai ministeri quantificata dal Mef nell'ordine del 5 per cento su tutte le spese discrezionali, «ma sono fiera, è una manovra seria e realistica». E soprattutto di rispetto della linea che lei stessa aveva dettato nel primo Cdm dopo la ripresa dei lavori a settembre: nessuna bandierina di partito, fondi concentrati su poche misure caratterizzanti.

Così il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha fatto: «Dieci miliardi sono per la decontribuzione, 3,5 miliardi per la riduzione dello scalone, tre miliardi e rotti sulla sanità, cinque miliardi sui contratti del pubblico impiego e poi 1,2 miliardi per Ucraina e missioni internazionali», ha sintetizzato.

Quanto al divieto di bandierine, il risultato finale è il frutto di una mediazione che alla fine ha visto prevalere Meloni. Immaginare di sterilizzare qualsiasi richiesta degli alleati era politicamente impensabile, ma la premier aveva messo in alto l’asticella proprio per avere più margine possibile di contrattazione.

Il risultato, infatti, è stato quello di stoppare in partenza le mirabolanti richieste di partenza provenienti soprattutto dalla Lega, dalla flat tax alla cancellazione della riforma Fornero con ripensamento strutturale del sistema pensionistico.

Eppure, Meloni sa bene che la prima manovra di bilancio davvero politica per il suo governo sconterà il fatto di non rispettare in pieno nessuna delle tante promesse elettorali. «Ci sono cinque anni per realizzarle», è la risposta che offrono tutti gli interlocutori del centrodestra, ma intanto uno è passato.

Dunque, per ammortizzarne il costo politico e soprattutto per non ritrovarsi contro i due alleati di governo ma rivali alle europee, la premier ha utilizzato la tecnica del bastone e della carota. No secco alle richiesta insostenibili, sì alle piccole concessioni utili a rivendicare qualche risultato per non mortificare Lega e Forza Italia. Con l’obiettivo di evitare una pioggia di emendamenti in parlamento e di approvare in velocità la manovra.

Ponte sullo Stretto e Rai

A Salvini, Meloni ha concesso respiro economico sull’unico tema che lo sta davvero appassionando: il ponte sullo Stretto di Messina. «C’è copertura stabile», ha annunciato il ministro dei Trasporti.

In realtà concretamente i 12 miliardi che dovrebbe costare non sono in questa manovra ma - come ha spiegato Giorgetti - i fondi sono stanziati «nella proiezione pluriennale, nell'orizzonte temporale dei primi tre anni» con quote crescenti e con termine per la realizzazione nel 2032. Non è chiaro, quindi, quanti fondi sono effettivamente stanziati per il 2024.

Altro contentino utile alla comunicazione salviniana è il taglio del canone Rai. Non viene abolito come chiedeva Salvini, ma scende da 90 a 70 euro «in bolletta». Poche sono state invece le concessioni in materia pensionistica, ma che soddisfano la visione più realistica di Forza Italia.

Successione e pensioni

Tajani, ha infatti rivendicato come il tema delle pensioni fosse «un impegno che avevamo preso con Berlusconi sin dalla nascita di questo governo», dunque «l'anticipo del conguaglio di perequazione per il 2023 rappresenti un ottimo segnale per tutti i pensionati che vivono momenti difficili a causa dell'inflazione».

In effetti, quanto previsto in manovra è poco più che un segnale: la rivalutazione riguarda solo le pensioni minime di chi ha più di 75 anni ed è del 100 per cento solo per le pensioni fino a quattro volte il minimo. Al segretario, però, è stata a cuore soprattutto una precisazione: «Nessuna tassa di successione per chicchessia» ha detto in modo chiaro, escludendo una misura che avrebbe potuto infastidire elettori dai redditi alti e in età avanzata.

Per sé, invece, Meloni ha rivendicato tutto il resto e soprattutto la visione d’insieme: il taglio del cuneo fiscale che corrisponde a 100 euro al mese per i redditi medio-bassi («14 milioni di persone»), il rinnovo dei contratti del pubblico impiego tra cui la sanità e le misure per le famiglie.

Sono previsti l’aumento del fondo per gli asili nido, che diventerà gratis per il secondo figlio, un mese in più di congedo parentale e la previsione che sia lo Stato a versare i contributi previdenziali a carico della lavoratrice, se madre con due o più figli, per un valore di circa un miliardo di euro. «Una donna che fa due o più figli ha già offerto un importante contributo alla società» per mostrare che maternità e lavoro «possono stare perfettamente insieme», ha detto.

«Siamo partiti diversi, arriviamo in perfetta sintonia», è stata la sintesi di Tajani. Comprensibilmente più freddo Salvini, che ha chiesto che non ci siano emendamenti di maggioranza e che la manovra superi lo scoglio del parlamento in volata. Così da avere davanti solo mesi di campagna elettorale.

 

© Riproduzione riservata