La Multiutility Toscana, holding sorta per aggregare su scala regionale i servizi pubblici in rete come già fatto tra gli anni Novanta e i Duemila in altre regioni, ha di fronte una sfida complicata su diversi piani. Il più spinoso dei quali è quello del consenso: diversi patti di sindacato tra comuni dissidenti si vanno costituendo rapidamente per controllare lo sviluppo dell’operazione e frenarne gli eccessi di finanziarizzazione. Mentre risuona nelle diverse province il risultato del referendum sull’acqua pubblica del 2011.

Come in altri casi di nascita di multiutility, la società è stata costituita col meccanismo della fusione per incorporazione con Alia, il gestore del ciclo integrato dei rifiuti per le province di Firenze, Prato e Pistoia, nel ruolo di capofila. Sotto la guida di Alia è stata avviata un’aggregazione che raccoglie le quote delle società energetiche Estra (40 per cento) e Toscana Energia (31 per cento), e delle società dei servizi idrici Publiacqua (31 per cento) e Acque SpA (19 per cento).

Sulla prospettiva dell’aggregazione, scarse o nulle opposizioni: anzi, da tutti i soggetti interessati, comuni, comitati, stakeholder vari, la mossa viene vista come opportuna, addirittura indispensabile. Ma le cose vanno diversamente rispetto al progetto di quotazione in Borsa della nuova società, il cui percorso ha nelle intenzioni dei suoi architetti una data molto prossima: 2024. 

Il 51 per cento della nuova società rimarrà in mano pubblica, ma non basta per assicurare di mettere l’azienda al riparo dalle oscillazioni della quotazione in Borsa e dal rischio che queste si ripercuotano sulle tariffe per gli utenti. E le accuse che il progetto di quotazione nasca da un filosofia già vecchia, con mosse verticistiche e impostazione un po’ troppo fiorentino-centrica crescono di giorno in giorno. 

Un’operazione politica

L’operazione che conduce alla nascita della multiutility ha una chiara regia politica: i sindaci di Firenze (Dario Nardella, che detiene il 37,1 per cento delle quote), Prato (Matteo Biffoni, col 18,1 per cento) e Empoli (Brenda Barnini, col 3,4 per cento). A completare la composizione concorrono il 5,54 per cento di Pistoia e il 35,9 per cento che costituisce la somma di altri comuni toscani.

Interpellato telefonicamente mentre si trova a Sarajevo, per celebrare una tappa del gemellaggio fra i due comuni, il sindaco di Prato, Matteo Biffoni, difende la scelta di andare in Borsa come un’opzione pragmatica: «Come diceva Mao, a me non importa che il gatto sia bianco o nero, ma che prenda il topo. Lo stesso vale per la quotazione in Borsa. Se è lo strumento giusto per capitalizzare al meglio la società, e questa è l’opinione dei tecnici con cui abbiamo studiato la questione, allora mi sta benissimo». Non la pensa allo stesso modo Alessandro Volpi, ex sindaco di Massa, docente di Storia contemporanea all’università di Pisa: «Premetto che questa operazione nasce vecchia. Vengono ripresi modelli sperimentati all’inizio degli anni Duemila, che per gli utenti dei servizi non si sono dimostrati convenienti. E non è nemmeno una questione di mantenere in mano pubblica la maggioranza delle quote, perché una volta che si entra in Borsa si avrà l’esigenza di tenere conto dell’oscillazione del titolo. Soprattutto, non capisco perché non si faccia ricorso all’ordinario circuito del credito per finanziare l’operazione. Si ha come garanzia le bollette degli utenti, non vedo cosa di più solido e bancabile si possa immaginare. Invece si sceglie la scommessa rischiosa della Borsa».

All’obiezione posta da Volpi prova a dare una risposta Nicola Ciolini, presidente di Alia e della costituenda multiutility: «Premesso che non vedo pericoli nella quotazione in Borsa, questo strumento è razionale soprattutto perché ci consente di evitare intermediazioni da parte del sistema bancario e di confrontarci direttamente col mercato». La posizione di Ciolini risulta scarsamente condivisa da altri interlocutori, a partire da Maurizio Brotini, segretario regionale Cgil: «Oltre a essere vecchia questa operazione non è in linea con un tradizione di buon governo della sinistra toscana. Inoltre ci sarebbero altri strumenti per finanziarla, come per esempio gli idro-bond o i green bond, che eviterebbero di vendere i gioielli di famiglia e permetterebbero anche di responsabilizzare i risparmiatori toscani. Aggiungo che sull’acqua pubblica si è votato un referendum da cui è giunta una risposta inequivocabile».

Scusate il refuso

Sul fatto che si tratti di un’operazione “vintage” concorda Lorenzo Falchi, sindaco di Sesto Fiorentino, promotore di uno dei numerosi patti di sindacato dissidenti. Falchi insiste su un tema largamente condiviso fuori da Firenze: «C’è il rischio che alla fine ci si appiattisca sulle esigenze dei comuni più grandi, Firenze in primis, con danno per i comuni di dimensioni minori». A dire il vero, la prospettiva che Firenze sia in posizione dominante è più che un’ipotesi. In una prima versione del dossier di presentazione del progetto, datata 28 aprile 2022 e firmata digitalmente da presidente e amministratore delegato di Alia (Nicola Ciolini e Alberto Irace), si legge nel capitolo dedicato alla governance, pagina 29: «Gli azionisti pubblici stabiliscono una maggioranza qualificata che propone la lista con le indicazioni di presidente e ad, l’accordo deve prevedere formule che impediscano il formarsi di una maggioranza contraria a Firenze».

E non si sa a chi sia scappata la mano nella stesura del testo (che comunque viene ampiamente revisionato e digitalmente firmato), ma sta di fatto che la questione della maggioranza non contraria a Firenze scatena un putiferio. Al punto da costringere Alia a pubblicare una precisazione, datata 30 agosto 2022, dove pietosamente si parla di “refuso”: «NB: l’inciso da “l’accordo (…) a Firenze” contenuto a pag. 29, sezione “Regole”, quarto bullet point deve considerarsi non apposto. Si tratta di un refuso frutto di precedenti elaborazioni e che non trova riscontro né nello statuto, che prevede parità dei diritti di governance delle azioni, né in alcun documento inviato ai soci per approvazione o approvato dalla stessa società».

Irene Galletti, capogruppo del Movimento 5 stelle in Consiglio regionale commenta: «Ma come si fa a parlare di refuso? Una cosa del genere non doveva essere nemmeno pensata, figurarsi scriverla in un documento ufficiale. Al di là di tutto, c’è da rispettare la volontà degli elettori che nel 2011 hanno votato per difendere il principio dell’acqua pubblica. Non si può pensare di fare come se questa cosa non fosse mai accaduta».

Un bel bocconcino

Una perplessità sostanziale sull’intera operazione viene da Marco Cardone, portavoce del comitato Trasparenza per Empoli: «Ci raccontano che la fusione è necessaria per evitare che i servizi pubblici toscani vengano acquisiti da altri colossi della multiutility. Ma in questo modo si ottiene l’effetto contrario: si rischia di facilitare il compito a quei colossi, perché quella che sta venendo fuori è una società piccola. Un boccone leggero da spazzare via in un attimo».

Fausto Bosco, coordinatore di Progressisti in cammino batte sul tema dell’acqua pubblica: «Della multiutility dovrebbe far parte Acque SpA, che però ha come programma di mandato il processo di ripubblicizzazione, con riacquisto delle quote attualmente nelle mani di Acea. Non vedo proprio come questa società possa accettare un processo che va in senso contrario». L’amministratore delegato di Alia, Alberto Irace, sostiene che: «Ripubblicizzazione mi sembra uno slogan, non so cosa significhi nel concreto. Riteniamo che l’operazione comporti grandi vantaggi per Acque SpA e per il servizio idrico integrato».

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