In un recente articolo ho discusso dei limiti e delle iniquità della cedolare secca, una forma di tassazione agevolata che prevede una flat tax al 21 per cento sugli affitti. Di questo regime al momento beneficia virtualmente chiunque, da chi offre un appartamento a un canone che permetta di coprire le spese, magari con un piccolo profitto, fino a chi possiede numerosi immobili e sfrutta la carenza di offerta per guadagnare moltissimo sulla pelle dei fuorisede.

L’idea di rivedere questo sistema è stata recepita da molti come un invito alla cancellazione tout-court della cedolare secca, ma in realtà non è necessario arrivare fino a questo punto, anzi. La cancellazione della tassazione agevolata potrebbe avere un duplice effetto negativo: da una parte, l’aumento del ricorso agli affitti in nero da parte dei proprietari, che avrebbero maggiore convenienza a evadere rispetto a oggi; dall’altra, il rischio che l’aumento della tassazione venga semplicemente trasferito su chi prende gli immobili in affitto, con un aumento del costo del canone.

La soluzione è un’altra: garantire la tassazione agevolata solo a chi offre canoni di affitto equi. Già oggi esiste una ulteriore agevolazione sulla cedolare secca, la cui aliquota scende al 10 per cento nel caso in cui l’affitto sia a canone concordato. Ma la logica dietro questa norma non funziona. Innanzitutto, l’idea che 21 per cento sia un’aliquota giusta per chi affitta un immobile a un prezzo superiore rispetto a quello considerato equo dal catasto è abbastanza assurda: come già spiegato nel precedente articolo sul tema, il fatto di tassare le rendite meno del lavoro è profondamente ingiusto, considerando il diverso contributo sociale che hanno questi due metodi per generare reddito. Inoltre, definire un equo canone oggi è praticamente impossibile.

L’importanza delle riforma del catasto

I valori catastali che utilizziamo ancora oggi risalgono al biennio 1988-89. Pensare che il censimento degli immobili di 35 anni fa possa ancora essere indicativo del reale valore delle proprietà è insensato. Basta pensare all’enorme crescita del mercato immobiliare milanese negli ultimi 10-15 anni, all’aumento del fenomeno degli studenti fuorisede nelle città universitarie, alla sempre più grande rilevanza degli affitti brevi nei centri delle grandi e piccole città. Oggi un monolocale in centro storico in una città come Genova, per esempio, non è più una stamberga in una delle zone le più pericolose, ma una fruttuosa opportunità immobiliare per chiunque voglia affittarlo su Airbnb. Eppure, il suo valore resta legato alle valutazioni di 35 anni fa, quando la città aveva circa 150 mila abitanti in più, una forte vocazione portuale più che turistica o universitaria e un centro storico praticamente inagibile per chiunque non volesse immischiarsi in affari di contrabbando o prostituzione. Lo stesso discorso vale per molte altre città, Milano compresa.

Oggi chi decide di affittare una camera in centro a Milano per 500 euro (un prezzo ben al di sotto dei valori di mercato) si trova a pagare la stessa aliquota di chi affitta a 700 euro un sottoscala in un appartamento condiviso con altri otto inquilini. Certo, la cedolare secca non si applica agli immobili di lusso, ma tali non sono considerati oggi gli appartamenti in zona Romolo, un tempo quartiere popolare, oggi distante pochi minuti a piedi o con i mezzi pubblici da Bocconi, Cattolica, Naba e Iulm.

Se i valori catastali fossero aggiornati, sarebbe possibile concedere una tassazione agevolata (al 21 per cento o anche meno) a tutti coloro che affitto a un prezzo considerato equo. Per tutti gli altri, invece, si potrebbe applicare l’Irpef, che con la sua progressività andrebbe a colpire chi cerca di approfittare della scarsa offerta, magari lasciando a lungo sfitto il proprio immobile in attesa di qualcuno disposto a pagare di più. Anche in questo caso si rischia un aumento del nero, ma in misura sicuramente ridotta rispetto a una totale cancellazione della cedolare secca.

La revisione del catasto fa paura a molti. Secondo uno studio di Tortuga e Local Opportunities Lab riportato su lavoce.info, il valore della maggioranza degli immobili in Italia è attualmente sottostimato dal catasto. A beneficiare di più di queste differenze sono i comuni delle zone turistiche e delle grandi città come Roma e Milano. Il fatto che la maggior parte dei proprietari di casa verrebbe svantaggiata da questa revisione è probabilmente il motivo per cui non aggiorniamo i valori degli immobili da oltre trent’anni. Ma per venire incontro ai più deboli è necessario anche fare delle scelte impopolari. O, semplicemente, convincere i propri elettori che una maggiore sostenibilità nell’accesso alla casa porterebbe benefici a tutto il paese, da tempo intrappolato nelle mani di chi detiene rendite a scapito di chi lavora.

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