La pari dignità sociale – ha affermato nel suo discorso d’insediamento il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – è un caposaldo di uno sviluppo giusto ed effettivo. Le disuguaglianze non sono il prezzo da pagare alla crescita. Sono piuttosto il freno per ogni prospettiva reale di crescita. Nostro compito – come prescrive la Costituzione – è rimuovere gli ostacoli».

L’affermazione del presidente, ormai condivisa da molti economisti (vedi il recente libro di Fabrizio Barca Disuguaglianze, conflitto, sviluppo e l’articolo di Maurizio Franzini e Michele Raitano su Domani del 6 febbraio), non ha finora costituito un principio che ha guidato l’azione del governo.

Si deve, ora, fare in modo che lo diventi anche a costo di restringere la disomogenea maggioranza che in parte si oppone al raggiungimento degli obiettivi coerenti con questo principio.

L’iniquità della politica fiscale del governo è stata uno dei motivi principali motivi dello sciopero generale del 16 dicembre. Nessun progresso è stato fatto per combattere la crescente precarizzazione del lavoro che colpisce in particolare i giovani e le donne.

Anche sul fronte della democrazia economica si è fatto pochissimo, nonostante il lavoro svolto in questi mesi dal parlamento europeo che ha il fine di introdurre nuove regole di partecipazione al governo delle imprese e che dovrebbe presto tradursi in una direttiva comunitaria.

Democrazia economica 

La democrazia economica non dà solo dignità ai lavoratori. Li coinvolge anche nella organizzazione e permette di riformare un capitalismo italiano viziato da un familismo e da un nanismo che ne bloccano lo sviluppo.

La codeterminazione, obbligatoria in Germania per imprese superiori a certe dimensioni, fa in modo che proprietari e lavoratori individuino insieme manager competenti che spesso non coincidono con i rampolli della famiglia proprietaria.

La cosiddetta legge Draghi del 1998, permettendo a ogni impresa di scegliersi il suo modello di governo societario, ha lasciato sostanzialmente inalterato il modello familistico del capitalismo italiano in cui l’esigenza della famiglia di mantenere il controllo limita fortemente la crescita dimensionale delle imprese.

Se tanti giovani qualificati scelgono di andare all’estero è anche perché spesso le imprese italiane sono troppo piccole per offrire lavori adeguati  e danno loro solo opportunità fortemente condizionate dalla esigenza di offrire i lavori più importanti al clan familiare. 

Ricchezza e conoscenza

Peggio ancora è andata per la distribuzione della ricchezza e l’accesso alla conoscenza.
Per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza, la proposta della eredità universale, avanzata dal Forum disuguaglianze diversità e fatta propria con alcune modifiche dal segretario del Pd, Enrico Letta, è stata liquidata dal governo quasi con fastidio, anche se potrebbe favorire insieme equità e sviluppo.

Tassare le eredità superiori a mezzo milione di euro per dotare tutti i giovani di 15.000 euro quando diventano maggiorenni permetterebbe loro di studiare, rischiare e intraprendere mentre non intaccherebbe le opportunità di chi, solo per meriti anagrafici, si trova a ereditare somme così rilevanti. 

L’accesso disuguale alla conoscenza è stato affrontato in modo ancora peggiore. In particolare, per quanto riguarda l’accesso alle nuove tecnologie mRna la posizione del governo, in aperto contrasto sia con il parlamento italiano sia con quello europeo, si è appiattita sulla posizione della Commissione europea contraria alla sospensione dei brevetti.

Eppure è proprio la monopolizzazione della conoscenza che sta insieme frenando lo sviluppo e generando spaventose disuguaglianze. Anche in questo caso occorre rimuovere un ostacolo alla uguaglianza e allo sviluppo che nel caso della pandemia è stato anche un ostacolo a salvare molte vite umane.

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