Sostiene Giorgia Meloni che la legge sul superbonus ha originato «una tragedia contabile che pesa sulle spalle di tutti gli italiani». Una truffa da 12 miliardi di euro provocata da «norme scritte malissimo», ha detto Meloni in apertura, due giorni fa, della prima riunione Consiglio dei ministri dopo le vacanze, scaricando la responsabilità del disastro sul Conte 2, l’esecutivo giallorosso che partorì quelle generosissime agevolazioni per le ristrutturazioni edilizie.

«Noi dobbiamo occuparci di coloro che, per queste norme, ora rischiano di trovarsi per strada», ha aggiunto la premier. Ed è proprio questo, adesso, il rischio boomerang che il governo si trova a dover affrontare. Da una parte c’è la ricaduta contabile di una legge che ha già fatto lievitare il deficit pubblico del 2021 e del 2022 ed è destinata a pesare ancora a lungo sul debito dello stato. Nel breve termine, però, il problema più urgente per l’esecutivo è quello dei cosiddetti «esodati del superbonus», centinaia di migliaia di famiglie, a cui si aggiungono migliaia di imprese di costruzioni, che dopo lo stop alle agevolazioni imposto a febbraio dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non riescono più a cedere i loro crediti. Risultato: condomini e proprietari di case unifamiliari non sanno come fare per pagare i lavori di ristrutturazione. E così da un capo all’altro della Penisola ci sono un’infinità di cantieri fermi, si moltiplicano i contenziosi tra i costruttori e i committenti, mentre le aziende a corto di liquidità licenziano personale.

Questa situazione ha innescato un florido mercato dominato da società finanziarie che fanno grandi affari acquistando i crediti da imprese, professionisti e famiglie costretti dalle circostanze a svenderli a prezzi molto lontani dal nominale. La cessione viene chiusa anche a valori inferiori al 60 per cento. Secondo stime attendibili, la partita vale almeno 20 miliardi di euro. A tanto ammonta l’esposizione degli esodati del superbonus su un valore complessivo degli investimenti generati dalle agevolazioni che a fine luglio ha raggiunto gli 83 miliardi.

Costruttori contro

«Una situazione esplosiva», commenta Federica Brancaccio, presidente dell’Ance, l’Associazione dei costruttori. «Mesi fa – dice Brancaccio - il ministro Giorgetti ci aveva promesso un intervento a breve, che stiamo ancora attendendo, mentre migliaia di imprese sono sull’orlo del dissesto».

A questo punto il problema per il governo è squisitamente politico. La questione dei crediti incagliati rischia di costare caro in termini di voti alle elezioni europee della prossima primavera, anche perché a fare le spese del blocco sono un esercito di professionisti e costruttori grandi e piccoli che rappresentano un tradizionale serbatoio di consensi per il centrodestra. C’era grande attesa, quindi, per un provvedimento che avrebbe dovuto rimettere in moto la macchina delle cessioni. Attese in gran parte deluse, perché il decreto omnibus varato il 7 agosto scorso dal Consiglio dei ministri si è limitato a prolungare di tre mesi il termine per ultimare e pagare le opere e accedere quindi ai benefici del superbonus. La misura però riguarda solo i proprietari di case unifamiliari e villette.

Stop alle Regioni

Meglio di niente, ma resta comunque esclusa gran parte dell’esercito degli esodati, alla ricerca spasmodica di un compratore per i propri crediti. Mesi fa si erano mosse anche le Regioni. Sardegna, Piemonte, Liguria, Basilicata erano pronte a comprare i crediti per sbloccare la situazione. A metà febbraio però è arrivato lo stop del ministero dell’Economia, per evitare che questi esborsi miliardari finissero comunque per pesare sui conti dello strato centrale. Un’altra possibile soluzione era quella che affidava alle società partecipate dello stato il ruolo di acquirenti dei crediti bloccati. Anche in questo caso però le ipotesi sono rimaste tali, mentre sembra sfumato anche il varo della piattaforma Enel X, cioè un veicolo finanziario, partecipato anche da grandi banche, con il compito di rilevare i crediti.

Per i privati e le imprese è quindi sempre più difficile, praticamente impossibile, trovare un interlocutore, a meno di non rivolgersi agli speculatori che si moltiplicano sul mercato. Nei giorni scorsi però le Poste hanno reso noto di essere pronte a riprendere gli acquisti a partire dal primo ottobre. L’offerta è rivolta solo alle persone fisiche per un ammontare massimo di 50 mila euro. Le banche invece continuano a comprare con il contagocce, perché hanno da tempo raggiunto la loro «capienza fiscale massima», una soglia oltre la quale non possono più compensare le loro tasse con i crediti che hanno acquistato.

Per fare spazio in portafoglio, ovviamente guadagnandoci, alcuni istituti hanno quindi rivenduto alcune di queste attività ad altri soggetti, società o enti, che cercano così di ridurre il loro debito con il fisco. Intesa, per esempio, si è liberata di crediti per oltre 10 miliardi. Lo stock più importante, per un valore di circa 1,3 miliardi, è stato venduto nel dicembre scorso al gruppo petrolifero Ludoil della famiglia Ammaturo. A giugno, la stessa Ludoil ha comprato un altro stock da 600 milioni da Bper. La conferma, semmai ce ne fosse bisogno, che il disastro superbonus per qualcuno si è già trasformato in un grande affare.

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