In Italia l’occupazione cresce ormai da diversi mesi (+458mila occupati nell’ottobre 2023 rispetto a un anno prima) malgrado una stagnazione della produzione. Che sta succedendo? Certo, la dinamica dell’occupazione è da sempre ritardata rispetto a quella della produzione, perché le imprese, quando cala la domanda, tendono a mantenere la manodopera riducendo le ore di lavoro e solo dopo un certo tempo adattano il livello dell’occupazione al più basso livello di produzione.

Analogamente avviene in fase di ripresa: le imprese prima aumentano le ore di lavoro, e solo quando la ripresa si è consolidata aumentano anche l’occupazione. Tutto vero. Ma, poiché la produzione è debole ormai da alcuni trimestri, com’è che l’occupazione continua a crescere?

Molti economisti accusano la bassa produttività dei lavoratori italiani di essere anche la causa della bassa crescita e dei bassi salari. La ricetta per loro sarebbe quella di aumentare la produttività dei lavoratori per generare un circuito virtuoso di maggiore crescita e maggiori salari.

In realtà, chi ragiona così confonde causa con effetto. La bassa crescita non deriva dalla bassa produttività, ma è la bassa produttività che deriva dalla bassa crescita. In altre parole, è la scarsa crescita della domanda che genera una bassa crescita della produzione, che finisce a sua volta per determinare una bassa produttività. E questo è un fenomeno che, pur con diverse intensità, sta interessando tutto il mondo industriale. In effetti l’innovazione tecnologica sta aumentando di molto la produttività nell’industria e nei grandi servizi (finanza, assicurazioni, trasporti, ecc.).

Questi settori espellono manodopera, o non ne assorbono più come un tempo. Aumenta così la quota di occupazione nel terziario, in particolare nei servizi personali, nella ristorazione, nella logistica e molti altri caratterizzati da un basso livello del prodotto per addetto. Poiché per molti lavoratori non c’è alternativa a questi impieghi, ne discende che essi accrescono la quota di lavori a basso livello di produttività, finendo per abbassare mediamente la produttività del paese pur se l’innovazione ha consentito a molte imprese dei forti guadagni di produttività.

Come ovviare a questa tendenza? La via principale non è quella di favorire una generica maggiore produttività che, a parità di crescita, si risolverebbe essenzialmente in un minore assorbimento di manodopera. Ma è quella di avere una maggiore crescita della domanda che generi una maggiore crescita della produzione, ciò che riduce la fuoriuscita di lavoro dai settori ad alta produttività e fa crescere anche i settori marginali che potranno realizzare una migliore produttività.

Per altro, dobbiamo sempre ricordarci che la produttività del lavoro non è un fenomeno economico ma un semplice quoziente tra due statistiche rilevate in modo indipendente: quella della produzione (Pil) e quella dell’occupazione. Poiché nel corso del tempo abbiamo sempre assistito a revisioni del Pil in positivo perché le statistiche correnti lo sottostimavano, v’è quindi anche da domandarci se non ci sia un qualche errore sistemico nel nostro metodo di calcolo del Pil, che rende la dinamica della produzione inferiore a quella dell’occupazione, sicché l’andamento del Pil potrebbe essere un po' più forte di quanto sin qui stimato. Ma questo è un problema di statistica e non di economia.

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