Con i mercati che continuano a remare contro, ieri lo spread è andato vicino ai massimi dell’anno, e la Lega che spinge per nuovi condoni e sanatorie, oggi il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti porta in Consiglio dei ministri i numeri che faranno da cornice alla prossima manovra finanziaria. Una manovra, quella per il 2024, che dovrà fare i conti con la frenata del Pil e uno scenario internazionale ancora segnato da tassi alti e inflazione fuori dagli argini.

Da settimane Giorgetti predica prudenza e la Nadef darà conto per la prima volta in concreto delle scelte di governo per affrontare un contesto molto più difficile rispetto ai sereni orizzonti di crescita descritti solo un mese fa dalla premier Giorgia Meloni. Insomma, l’incertezza regna sovrana e non c’è spazio per grandi slanci d’ottimismo.

Per questo la Nota di aggiornamento non potrà che correggere al ribasso le previsioni di formulate a primavera nel Def (Documento di economia e finanza). Le nuove tabelle dell’esecutivo dovrebbero quindi fissare l’incremento del Pil per quest’anno a un massimo dello 0,8 per cento, contro l’1 per cento indicato ad aprile, mentre per il 2024, dall’1,4 per cento stimato cinque mesi fa si dovrebbe scendere all’1 per cento.

Se l’economia frena, come appare evidente dopo un secondo trimestre dell’anno che è andato in negativo dello 0,4 per cento, per il governo diventa praticamente una mission impossible tenere i conti sui binari del risanamento concordato con l’Unione europea. A maggior ragione se strada facendo aumenta anche la spesa per gli interessi da pagare sui titoli di stato, che l’anno prossimo sfonderà quasi certamente quota 100 miliardi, contro gli 83 miliardi del 2022 e i 57 miliardi del 2020, ai tempi dei tassi a zero.

Nelle previsioni della primavera scorsa, il rapporto programmatico tra deficit e Pil, cioè quello che tiene conto delle misure di politica economica varate dell’esecutivo, era previsto in calo al 3,7 per cento nel 2024 rispetto al 4,5 per cento del 2023. Numeri che verranno certamente rivisti nella Nadef presentata da Giorgetti. Su quest’anno pesano i costi delle agevolazioni edilizie (in primis il Superbonus) che andranno contabilizzati per intero nell’anno in cui si generano, come ha stabilito proprio ieri Eurostat, l’ufficio statistico della Ue. È molto probabile, quindi, che nel 2023 il disavanzo andrà molto oltre il 5 per cento.

Il deficit dell’anno prossimo, invece, quello che davvero conta in vista della manovra, finirà di sicuro per superare il 4 per cento del Pil, un Pil che, come detto, si annuncia più basso del previsto e quindi pesa, in negativo, anche sul disavanzo di bilancio. È sui decimali che si gioca la partita tra le varie componenti della maggioranza e anche quella con l’Unione europea. Se l’asticella del rapporto deficit-Pil venisse alzata fino al 4,3-4,4 per cento non sarebbe impossibile ricavare una manciata di miliardi per finanziare una manovra che si annuncia più complicata che mai. Le risorse a disposizione potrebbero così superare i 25 miliardi che al momento appaiono come la soglia minima per non cancellare almeno alcune delle misure su cui il governo nei mesi scorsi ha suonato la grancassa della propaganda.

Il taglio del cuneo fiscale, che la premier Meloni ha più volte descritto come irrinunciabile, costa da solo circa 13 miliardi. Gli aumenti in busta paga garantiti dal calo dei contributi rischiano però di essere in parte assorbiti dalle maggiori imposte. E allora la riduzione del cuneo, per essere davvero efficace, dovrebbe essere accompagnata dall’accorpamento del primo e del secondo scaglione dell’Irpef con un’aliquota unica per i redditi fino a 28 mila euro annui.

Se si tiene conto anche di quest’ultima misura, l’intervento sulle buste paga dei lavoratori con reddito annuo fino a 35 mila euro finirebbe per assorbire almeno 15 miliardi. Ne restano altrettanti, e forse anche di meno, da destinare a tutto il resto della manovra. Si va dalla sanità, all’adeguamento all’inflazione delle pensioni, agli oneri dei rinnovi dei contratti pubblici fino ai bonus per far fronte a eventuali nuovi incrementi dei prezzi dell’energia, per citare solo le voci più corpose. Qui la coperta rischia davvero di diventare troppo corta per il governo, costretto a cercare in gran fretta nuove fonti di gettito nel tentativo di far quadrare i conti. La tentazione di ricorrere alla scorciatoia dei condoni è forte e Matteo Salvini nei giorni scorsi è tornato a suggerire nuove rottamazioni delle cartelle e sanatorie dei “piccoli” abusi edilizi. Vecchie ricette che peraltro, negli anni scorsi, hanno dato risultati, in termini di gettito, sempre inferiori alle attese. La sforbiciata sulle centinaia di agevolazioni fiscali che tolgono entrate all’Erario si annuncia complessa e di difficile attuazione in tempi brevi. Più concreto sembra invece il piano per mettere a gara la gestione del gioco del Lotto che potrebbe fruttare circa 400 milioni già nel 2024 e altrettanti l’anno successivo.

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