In calo la produzione industriale e in aumento le spese delle famiglie. È una tempesta perfetta quella che si sta creando in Italia. Ed è ancora tutto da calcolare l’impatto dei dazi americani che potrebbe riservare sorprese inedite e certamente non positive.

Sul fronte della produzione industriale è l’Istat a certificare l’ennesimo andamento che non promette niente di buono, anche perché ormai il trend al ribasso va avanti da oltre due anni: a giugno c’è stata una risibile risalita (il dato si attesta al +0,2 per cento) che non compensa l’andamento generale tant’è che il calo della produzione per il primo semestre ammonta all’1,1 per cento.

«In termini tendenziali a giugno l’indice generale è in flessione. La dinamica è negativa per tutti i principali raggruppamenti di industrie – evidenzia l’istituto nazionale di statistica – con l’eccezione dell’energia», che registra un incremento del 7,3 per cento. Per il resto è il segno meno a farla da padrone: beni strumentali a -1,4 per cento, beni intermedi a -2,1 per cento e beni di consumo a -3 per cento. E le flessioni più rilevanti si riscontrano nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori con il -8 per cento, nella produzione di prodotti chimici al -3,2 per cento, nella fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche e nella metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo che perdono rispettivamente il 3 per cento.

Nel mese di giugno i settori di attività economica che registrano una curva in positivo sono solo la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (+15,7 per cento), l’attività estrattiva (+6,2 per cento) e la fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (+4,7 per cento).

La fotografia sullo stato di sofferenza dell’industria nazionale fa il paio con quella scattata dall’Ufficio studi di Confcommercio sulle spese delle famiglie, quelle “obbligate”, ossia legate a beni e servizi di cui non si può fare a meno, dalla casa (bollette incluse) alla sanità, dai trasporti alle assicurazioni. Per Confcommercio si tratta di un “salasso” considerato che le spese dal 1995 sono aumentate a oltre 9.300 euro a famiglia, il 42,2 per cento (erano il 37 per cento 30 anni fa) di quelle totali (che ammontano a 22.114 euro) pari a un aumento di 5,2 punti percentuali rispetto al 1995. «Per le famiglie italiane il costante aumento delle spese obbligate è un forte ostacolo alla ripresa dei consumi. Occorre agire su tariffe e fiscalità per rafforzare il potere di acquisto e rilanciare la crescita economica del nostro Paese», commenta il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli.

È la casa a rappresentare la principale voce di costo con 5.171 euro a famiglia e un rincaro di 109 euro rispetto al 2024. A seguire assicurazioni e carburanti a quota 2.151 euro e l’energia a 1.651 euro.

«Si tratta di una dinamica ormai strutturale, che riduce sempre di più l’area delle scelte libere di consumo, limitando il potenziale di crescita dell’economia legata alla domanda interna», si legge nel report in cui si evidenzia che «a rendere sempre più gravoso il peso delle spese obbligate è la dinamica dei prezzi. Dal 1995 ad oggi l’indice è cresciuto del 132 per cento, più del doppio rispetto a quello dei beni commercializzabili a +55 per cento). In particolare, l’energia – nonostante il rallentamento del 2025 – ha visto i suoi prezzi aumentare del 178 per cento in trent’anni».

Le rilevazioni di Confcommercio restituiscono il quadro anche su come sta evolvendo lo scenario sul fronte dei servizi cosiddetti commercializzabili (ossia le spese non obbligate): se da un lato servizi come ristorazione, turismo, tempo libero mostrano segnali di recupero con un aumento di 134 euro pro capite dall’altro i beni tradizionali (alimentari inclusi) registrano un’ulteriore flessione di 57 euro.

Un trend evidenzia l’Ufficio studi che appaiata con la riduzione demografica e il cambiamento delle abitudini di consumo, richiede attenzione.

«I consumi obbligati hanno progressivamente assorbito una quota crescente della spesa delle famiglie rendendo sempre meno ampia la parte lasciata ai beni e ai servizi commercializzabili, vale a dire quelli che appartengono alle libere scelte dei consumatori e che sono legate alle preferenze e agli stili di vita dei singoli individui o famiglie».

Senza considerare che nel paniere di Confcommercio non sono stati inclusi alcuni beni e servizi tecnologici (smartphone, tablet, pc e relativi servizi) «che fino a pochi anni fa venivano utilizzati quasi esclusivamente nel tempo libero ma che oggi sono diventati, in molti casi, strumenti necessari per il lavoro, lo studio e per la fruizione di servizi inclusi tra le spese obbligate come servizi bancari e finanziari o rapporti con la pubblica amministrazione, rendendo il confine tra commercializzabili e spese obbligate più sfumato».

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