Avanza in senato il disegno di legge “Interventi a sostegno della competitività dei capitali”. Già ciò denota confusioni inadatte a un testo governativo. Il Ddl nasce dal libro verde del ministero dell'Economia e Finanze La competitività dei mercati finanziari italiani a supporto della crescita; a questo servirebbe il Ddl. Per Enrico Cuccia, patron di Mediobanca, chi inizia male a abbottonare il cappotto, poi non rimedia più.

Ho già criticato qui il Ddl il 13 aprile, ma ora la maggioranza vuole usare il Ddl per fini opposti ai suoi obiettivi. Senatori la cui competenza non risulta si tuffano su un tema, caldo da quando i gruppi Del Vecchio e Caltagirone, azionisti al 30% di Mediobanca, cercano di impedire al CdA di presentare in assemblea una lista di candidati al prossimo CdA. La prassi è accettata in Italia e fuori, non pareva necessario disciplinarla per legge. Si affollano invece emendamenti di ardua applicazione, forse anticostituzionali, certo incompatibili con gli obiettivi del Ddl. Perché questo sviato ardore?

Quanto al metodo, un grande paese non vara leggi dai complessi effetti senza ampi confronti di opinioni. Farlo intervenendo su contrasti fra rilevanti interessi economici, per insipienza o distrazione, è un errore. Preoccupa perciò che il governo chieda la delega a riformare il Testo Unico della Finanza (Tuf), uscito dalla “Commissione Draghi” nel 1998 dopo approfonditi dibattiti fra studiosi e pratici, di idee spesso contrapposte; fa tremare l'idea che il nuovo Tuf lo scrìvano i “Dilettanti allo sbaraglio”.

Il Ddl vuole spingere le imprese a quotarsi sui mercati, ma riduce le informazioni che devono fornire; ignora così il grande ostacolo, il rifiuto degli investitori all'acquisto di titoli illiquidi di imprese a gestione troppo familiare.

Il peggio c'era già nel Ddl governativo, è la possibilità di aumentare il “voto plurimo” a dieci, dai tre voti previsti dalla riforma del 2014. Si applica solo alle nuove quotazioni, ma non è detto che tale paletto regga. Il voto plurimo rafforza i soci di controllo, ed è comico che la relazione accompagnatoria del Ddl voglia “evitare che la minoranza possa imporre il proprio potere decisionale”. A tali novelli Giustiniani affideremo la riforma del Tuf?

Si vuole aumentare il già criticabile voto plurimo a dieci, solo perché altri lo fanno, ma perché lo fanno, e soprattutto, con che conseguenze? Tale insensata corsa in basso chiarisce bene un fatto: ovunque nel mondo, la ricchezza ormai può comprare la politica, e lo fa. Alcuni soci, “più uguali degli altri”, avranno ancor più soldi e potere, perché dobbiamo star dietro all'Olanda di turno; come lemming ci buttiamo dalla scogliera.

Un caso pratico: Exor, holding del gruppo Agnelli-Elkann quotata in Olanda, comprerà azioni proprie per 1 miliardo di euro, che per 250 milioni le saranno cedute dalla controllante Giovanni Agnelli BV. Grazie al voto plurimo olandese, questa detiene oltre l'80 dei voti, a fronte del 53% di possesso azionario. Exor compra le azioni ritenendole sottovalutate, ma perché la controllante BV le cede?

Viene il dubbio che John Elkann, Ceo di Exor, abbia negoziato con sé stesso come Presidente della BV, ma voilà, da fine agosto non lo è più. Lo rimpiazza un avvocato olandese, sarà la sua coriacea controparte. Pare che la BV voglia usare i 250 milioni per liquidare alcuni soci. Il sangue non è acqua, in tali magheggi Giovanni Agnelli e il suo braccio destro, Cesare Romiti erano maestri; ora anche l'Olanda dà una mano.

Non è un tema tecnico, non nasce così la Capital Markets Union europea. Muore invece il principio che le azioni si contano; regrediamo a quello “cucciano”, che le pesa. Sparita l'equità, si romperà l'equilibrio fra capitali grandi e piccoli, e fra capitale e lavoro, su cui poggia la democrazia liberale; crescerà ancora la disuguaglianza, di soldi e di potere. Il disastro di tali scelte parrà chiaro più tardi, forse troppo.

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