Se nel mondo circa un terzo delle fortune dei miliardari deriva dalle famiglie, nel nostro Paese va ancora peggio. Anche perché, come si capisce dall’ultimo report sulle disuguaglianze di Oxfam, la crescita occupazionale post pandemia non cancella le debolezze strutturali del mercato del lavoro
I ricchi diventano sempre più ricchi. Mentre chi è povero ha sempre meno possibilità di migliorare la sua condizione di vita. Ma non basta: non solo il tasso di riduzione della povertà estrema, cioè di chi vive con meno di 2,15 dollari al giorno, rallenta tanto da mettere a rischio il raggiungimento dell’obiettivo dell’Agenda delle Nazioni Unite 2030, secondo cui dovremmo eliminare la povertà estrema entro i prossimi cinque anni. Ma c’è anche che, dall’altro lato, la ricchezza globale, concentrata nelle mani di poche persone, è pure, in gran parte dei casi, ereditata. E non il frutto di abilità, determinazione e duro lavoro, come, invece, si sente spesso dire.
«La verità è che gran parte della ricchezza estrema non è ascrivibile al merito. Molti dei cosiddetti “self-made men” sono, in realtà, eredi di grandi fortune, tramandate per generazioni. Nel frattempo risorse pubbliche essenziali per migliorare l’istruzione, la sanità e creare posti di lavoro, soprattutto nei Paesi più poveri e sfruttati, continuano a fluire verso i conti bancari più ricchi del pianeta. Questo non è solo un male per l'economia, è un male per l’umanità».
Così Amitabh Behar, direttore esecutivo di Oxfam International, commenta i dati contenuti nel rapporto Oxfam, “Disuguaglianza: povertà ingiusta e ricchezza immeritata”, diffuso in concomitanza con l’inizio dell’edizione 2025 del World Economic forum, che si tiene a Davos, in Svizzera, dal 20 al 24 gennaio.
E se nel mondo oltre un terzo, il 36 per cento, delle fortune dei miliardari deriva da eredità, in Italia la ricchezza miliardaria ereditata arriva fino al 63 per cento. A dimostrazione che nel nostro Paese ancora di più che negli altri Stati, al posto del merito conta di chi sei figlio. Nel 2024, si legge ancora nel report, il 5 per cento più ricco delle famiglie italiane, detiene quasi la metà della ricchezza nazionale, il 47,7 per cento. Mentre il patrimonio dei miliardari italiani è aumentato di 61,1 miliardi di euro, 166 milioni di euro al giorno, raggiungendo i 272,5 miliardi di euro. Tutti nelle mani di 71 individui.
A restare stabile (e preoccupante) è, invece, il tasso di povertà. Gli ultimi dati disponibili, quelli del 2023, mostrano una situazione simile a quella dell’anno precedente: circa 2,2 milioni di famiglie vivono in povertà assoluta, cioè 5,7 milioni di persone. Quasi il 10 per cento della popolazione italiana ha meno risorse di quelle necessarie per una vita dignitosa. Infatti, sebbene ci sia stato un lieve miglioramento rispetto al 2022, il nostro Paese resta tra i peggiori dell’Unione Europea (al 20° posto insieme alla Spagna) per la distribuzione disuguale dei redditi tra i suoi cittadini.
«L’andamento positivo del mercato del lavoro nel 2023 non ha comportato la riduzione dell’incidenza della povertà assoluta, ostacolata dall’impatto dell’inflazione ancora elevata e con effetti più marcati sulle famiglie meno abbienti. La dinamica del 2024 risentirà verosimilmente del rallentamento dell’economia nazionale, ma peserà anche la portata delle misure di contrasto alla povertà che hanno sostituito il reddito di cittadinanza», spiega Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia, autore del rapporto “Disuguaglianza: povertà ingiusta e ricchezza immeritata” anche grazie al contributo di Federica Corsi e Sara Albiani: «Rispetto al Rdc, l’Assegno di Inclusione ha comportato una contrazione del 37,6 per cento del numero dei nuclei beneficiari e uno scostamento maggiore, ad eccezione per i nuclei con i minori, tra le famiglie che beneficiano del sussidio e quelle in povertà assoluta. Fallimentare anche l’esperienza del Supporto per la formazione ed il lavoro che va prefigurando, per i suoi percettori, una lenta transizione dall’occupabilità alla disperazione».
Come si capisce dal rapporto Oxfam, infatti, la ripresa dell’occupazione che caratterizza il nostro Paese dalla fine della pandemia, non cancella le debolezze strutturali del mercato del lavoro che sono ancora marcate: percentuale di occupati più basse rispetto alla media europea, gravi squilibri tra i territori, donne e giovani costretti ad accettare condizioni di lavoro meno qualificate. E gli stipendi bassi. Così tanto che il salario medio annuale reale è rimasto pressoché invariato negli ultimi trent’anni.
In Italia, «una chiara politica industriale, orientata alla creazione di buona occupazione, resta del tutto assente, accompagnata da un immobilismo sul rafforzamento della contrattazione collettiva e sulla revisione del sistema di fissazione dei salari, nonché dall’affossamento del salario minimo legale come tutela dei lavoratori più fragili e meno protetti. Insistere sulla liberalizzazione dei contratti a termine, di somministrazione e stagionali e ridurre le tutele del lavoro negli appalti rischia di esasperare ulteriormente saltuarietà, discontinuità e precarietà lavorativa», deduce Maslennikov sulla base dei dati con cui ha costruito il rapporto. Un documento, non solo offre uno spaccato della situazione in cui versa l’Italia dal punto di vista sociale ed economico, ma suggerisce anche al governo quali sarebbero le principali misure da mettere in campo per contrastare il lavoro povero, ad esempio. O per favorire maggiore equità del sistema fiscale, come con l’introduzione di un’imposta progressiva sui grandi patrimoni. Necessario infine, si legge a conclusione dell’analisi Oxfam, abrogare il disegno di legge sull’autonomia regionale differenziata perché, in antitesi ad un’azione di contrasto alle disuguaglianze, «lo Spaccaitalia mette ulteriormente a repentaglio l’uguaglianza dei cittadini che già oggi scontano gravi divari nella disponibilità e nella fruizione di servizi pubblici, marcatamente differenziati a seconda del territorio di residenza».
© Riproduzione riservata