I rigassificatori, in aggiunta all’inceneritore di Roma, sono ormai oggetto di contrattazione pre elettorale per accordi tra forze politiche che la pensano diversamente non solo al proposito ma più in generale sugli scenari energetici, ecologici e da qui sul tipo di sviluppo.

In una situazione sicuramente complicata dalle conseguenze, peraltro prevedibili, della guerra in Ucraina, e dalla necessità di cambiare registro sull’approvvigionamento di gas (poco si dice sul consumo e le alternative), i rigassificatori sono trattati in modo ideologico: sono necessari e quindi vanno accettati, quanti? Almeno due, dove? In alto mare o in porti industriali, quando? Subito. Ma, come sempre, la situazione è più complessa di quanto si dipinga.

Cosa sono

Questi “oggetti”, di trattativa politica, sono grandi navi di 300 metri che diventano impianti industriali per la rigassificazione del gas naturale liquido (Gnl), soggetti alla normativa Seveso (D. Lgs. 238/05 detto “Seveso ter”, in vigore dal 13 agosto 2012, sul controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose; Direttiva 2012/18/UE), alle quali si accostano navi metaniere cargo, altrettanto grandi, che a loro volta hanno bisogno di rimorchiatori.

Oltre ai rischi di incidenti di vario tipo, si tratta di impianti emittenti inquinanti, soprattutto ossidi di azoto (NOx), in concentrazioni non affatto trascurabili (centinaia di milligrammi/metro cubo), per il trattamento di alcuni miliardi di metri cubi di gas/anno.

Impianti che rilasciano in mare quantità enormi di acqua marina raffreddata (svariate tonnellate/ora), arricchita di ipoclorito di sodio, noto disinfettante (dall’amuchina alla candeggina) dagli effetti ambientali da valutare attentamente.

Impianti tutt’altro che “neutri”, che per le loro caratteristiche di rischio vengono previsti o in alto mare (offshore), a largo di Ravenna, in aggiunta a quelli già esistenti (Olt davanti alla foce dell’Arno, Panigaglia in Liguria e Adriatic Lna davanti alla foce del Po-Rovigo), oppure in aree portuali.

La previsione di nave gasiera ormeggiata nel porto di Portoscuso (Sardegna) sembra già sulla via del tramonto, dopo il parere negativo dell’Istituto superiore di sanità soprattutto per gli impatti sulla salute respiratoria prevedibili sulla base delle emissioni dal nuovo impianto, mentre permane quella di Piombino, sebbene l’amministrazione comunale abbia espresso contrarietà motivata da numerose ragioni e, da quanto risulta dai media, stia preparando le osservazioni al progetto di Snam.

Il caso Piombino

L’intervento previsto in area di bonifica (porzioni sia a mare che a terra) pone problemi soprattutto per la realizzazione di 9 km di metanodotto dal rigassificatore alla centrale di smistamento, ma è soprattutto sulla conformazione e sulla ridotta dimensione del porto di Piombino che si addensano le maggiori preoccupazioni: un porto dove, specie in estate, si registrano giornalmente molte decine di transiti di traghetti da e per l’isola d’Elba, la Corsica, la Sardegna, oltre alle navi da crociera e da carico, con decine di migliaia di passeggeri, che “assisterebbero” molto da vicino (nell’ordine delle centinaia di metri) alle operazioni del rigassificatore affiancato dalla metaniera di turno, quasi sempre presente viste le molte ore necessarie per le operazioni di scarico del Gnl.

Da aggiungere poi che l’abitato di Piombino è a circa un chilometro e che la popolazione presenta molti tratti di fragilità demografica e sanitaria anche a causa della permanenza decennale in area di bonifica mai realizzata, come confermato dai vari rapporti dello studio Sentieri coordinato dall’Istituto superiore di sanità.

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