«Il nostro voto ve lo dovete conquistare» diceva il cartello, colorato di rosso, blu e verde, in mano a una ragazza giovanissima. L’età per esprimerlo, quel voto, lei doveva averla appena maturata.

Lo mostrava durante il corteo che il 29 luglio ha chiuso il Climate Social Camp di Torino, l’assemblea di cinque giorni dei movimenti italiani per il clima, costruita intorno al meeting europeo di Fridays for Future.

Nella sua semplicità, quel cartello aveva la funzione di un editoriale politico da un centinaio di righe, perché il voto dei giovani ambientalisti sarà uno dei totem delle prossime elezioni di settembre, una “carta imprevisti” che i partiti possono pescare per rivitalizzare o affossare i propri tentativi di rimonta o rinascita contro la prospettiva di un governo Meloni.

Per avere una chance Pd, Movimento 5 stelle, le liste di sinistra hanno disperatamente bisogno di convincere questi giovani, ma non hanno idea di come riuscirci, gli mancano idee, strumenti e una lingua comune. Ecologia giovanile e partiti italiani oggi sono due mondi reciprocamente alieni: i politici non sanno proprio cosa dire ai ragazzi disposti a incatenarsi ai palazzi o a incollarsi alla Primavera di Botticelli per paura della crisi climatica.

Universo under 25

Gli under 25 italiani chiamati al voto a settembre sono poco meno di 5 milioni e per la politica italiana rimangono un mistero. Diversi sondaggi hanno provato a misurarne le intenzioni, secondo una ricerca Ipsos per WeWorld del 2021 un giovane italiano su due è molto preoccupato per i cambiamenti climatici e otto su dieci voterebbero per un partito che facesse di questa crisi la sua priorità.

Ed era prima della catastrofica estate di siccità e caldo che stiamo vivendo. Un fatto di partenza è che questa è la prima volta che il movimento italiano cresciuto intorno a Fridays for Future si trova a votare per formare una legislatura: sono le prime elezioni con le quali si potrà misurare l’impatto di questi anni di mobilitazione.

Le ultime politiche si erano tenute nel marzo 2018, quando il mondo ancora non aveva mai nemmeno sentito nominare una studentessa svedese di nome Greta Thunberg. Le manifestazioni oceaniche, quelle che hanno costruito l’idea del clima come grande tema di questa generazione, sono state nella primavera e poi nell’autunno del 2019, quando il governo qui era ancora il Conte I e in Italia si parlava solo di porti chiusi e migrazioni.

Il 25 settembre, ragazze e ragazzi di Fridays for Future, Extinction Rebellion, Ultima Generazione possono per la prima volta tradurre anni di protesta in un voto. Per la maggior parte di loro sarà la prima chiamata alle urne della vita. Come si dice in questi casi, siamo in un territorio sconosciuto, senza cartografia.

Le mosse del Pd

LaPresse

Enrico Letta li ha salutati con calore durante la Direzione nazionale del Partito democratico: «In Italia si sta svolgendo un appuntamento molto importante, tanti giovani a Torino stanno ragionando su quello che accade al nostro ambiente e su come orientare le scelte e la politica».

Pochi giorni prima, con un'intervista a Repubblica, aveva scelto l’ambiente come tema centrale della campagna elettorale. Più tardi ha definito il Pd «il partito ambientalista più grande d'Europa». Insomma, sta mandando segnali, ma è un corteggiamento a distanza sterile.

A Torino non si trovava nemmeno un giovane disposto a fargli un’apertura di credito durante i giorni del Climate Social Camp. Forse avrebbe aiutato se il Pd avesse scelto una postura di ascolto più attiva, ma nessun emissario ha ritenuto di visitare il campeggio o venire ad ascoltare un dibattito.

Gli unici leader che hanno provato a mescolarsi con i giovani sono stati Nicola Fratoianni di Sinistra italiana ed Eleonora Evi di Europa verde, ai quali il Pd ha delegato il presidio attivo dell’ambientalismo per conto della coalizione. «Il mio approccio è solo di venire ad ascoltare, essere meno ingombrante possibile», ha spiegato Evi. «I politici devono tornare a sentirsi attivisti, ma gli attivisti devono imparare a confrontarsi con la politica».

Per ottenere il voto dei Fridays, però, servirà molto di più. Nel frattempo il rapporto con i partiti è anche di selezione, perché per loro è più facile prendersi le persone che sposarne le idee. Non ci sono ancora nomi, solo spifferi, ma non è escluso trovarsi attivisti nelle liste.

Il campo largo

LaPresse All Rights Reserved

Questi giovani si collocano nel campo della sinistra e chiedono interlocutori di sinistra, applaudono il segretario della Fiom Michele De Palma, Luciana Castellina e Carlo Petrini, hanno trattato come una star l’accademico svedese Andreas Malm, uno che propone di mettere occasionali bombe sotto gli oleodotti e che teorizza la nascita di un fianco radicale dentro il movimento.

I Fridays però sono più pragmatici di come vengono raccontati, alla politica italiana non chiedono tanto radicalità quando una narrazione che si integri con la loro e che vada oltre la protezione dell’esistente. Il concetto che odiano di più è: status quo.

A Torino c’era soprattutto la disperata domanda di un’idea nuova del mondo per tradurre la loro energia politica in un futuro pubblico condiviso. Anche per questo motivo il più acclamato di tutti al Climate Social Camp è stato Dario Salvetti, il portavoce del Collettivo di fabbrica Gkn. Non tanto (o non solo) per una mistica della classe operaia come motore della storia, ma perché la battaglia nella fabbrica di Campi Bisenzio ai ragazzi e alle ragazze di Fridays risuona come una cosmogonia, un intero progetto di mondo costruito a partire dal semi-asse per autobus, che Salvetti è in grado di declinare come politica industriale, evoluzione dei modelli di consumo, base di una mobilità pubblica sostenibile e progetto per la costruzione di alleanze a lungo termine.

«Ai Fridays il modello Gkn piace perché offre una comunicazione da vincenti, si pongono già come classe dirigente», spiega Gabriella Sesti Osseo, co-fondatrice del progetto Fantapolitica!, col quale si occupa di fare esattamente quello che a Torino mancava ancora: rafforzare i punti di contatto tra politica e attivismo, attraverso il sostegno e la formazione di candidati under 30 alle ultime due tornate di amministrative con idee forti su diritti sociali e ambiente.

«Bisogna iniziare a vincere, perché la gente a un certo punto si stanca di perdere, servono piccole vittorie concrete», ha consigliato ai Fridays Luciana Castellina, cogliendo nel punto: i movimenti per il clima non coltivano la virtù politica fine a sé stessa, hanno il desiderio di incidere sulla società italiana, solo che non sanno da dove cominciare, in uno dei paesi più conservatori d’Europa.

Gkn gli offre tutto quello che il Pd non è: l’idea che con i progetti radicali si possa cambiare concretamente la realtà. Al corteo del 29 luglio hanno cantato la canzone della fabbrica come se intonassero Bella Ciao.

Un anno fa tre esponenti del movimento stringevano la mano a Mario Draghi dentro la questura di Milano, ora sono molto più a proprio agio con la democrazia operaia. Più l’Italia è andata a destra, più in loro si è rafforzata una domanda di sinistra.

Il Climate Social Camp

Quando hanno organizzato il Climate Social Camp, nessuno si aspettava di trovarsi nel mezzo delle sollecitazioni di una campagna elettorale.

Il meeting di Fridays for Future aveva obiettivi più alti e internazionali: integrare meglio la componente europea, bianca, urbana e borghese con le voci emergenti e le rivendicazioni del sud globale.

Meno Greta Thunberg (che infatti non è venuta, condensando la sua leadership morale in un video di venti secondi) e più Patience Nabukalu, attivista ugandese guida della battaglia contro l’oleodotto africano di Total Eacop.

Volevano occuparsi di decolonizzazione, si sono trovati a dover rispondere alla più prosaica domanda: si, ma chi sostenete alle elezioni? Vi piace il Pd? E Conte? Il movimento è apartitico per statuto, ed è ancora diviso tra due anime.

Da un lato c’è chi vuole rinunciare del tutto a misurarsi con la competizione elettorale e attrezzarsi a un autunno di lotte nelle zone di sacrificio ecologico d’Italia: Piombino contro il rigassificatore, la Terra dei fuochi, l’impianto Eni di Gela.

E poi c’è chi vorrebbe inserire nel dibattito una serie di proposte, punti programmatici per stanare i partiti e chiedere concretamente se ci stanno o no. Sono rimasti a metà del guado, Fridays for Future è un movimento ancora orizzontale, nel quale i processi politici richiedono un tempo che questa campagna elettorale non offrirà.

Candidati credibili

L’obiettivo minimo è trasformare il voto di settembre nelle prime elezioni climatiche italiane, sull’onda della terribile eco-ansia di questa estate.

«Non possiamo fare un endorsement a un partito o un leader, come fatto da Greenpeace in Francia con Mélenchon, perché non c'è nessuno di così credibile qui in Italia», spiega Giorgio De Girolamo, attivista Fridays di Lucca.

Però il ruolo del movimento sta cambiando: «Andiamo verso una maggiore politicizzazione», spiega, «Non possiamo essere più sensibilizzatori disarmati rispetto al dibattito pubblico, la scienza l’abbiamo comunicata, ora dobbiamo approcciarci al clima come tema sociale che può unire le battaglie di giustizia in Italia, mondo del lavoro, sindacati, logistica, lotta contro la repressione».

Anche Marco Modugno, uno degli otto portavoce Fridays nazionali, dice un concetto simile: «“Non esiste un pianeta B” è uno slogan che ha fatto il suo tempo, non dobbiamo parlare più dei numeri dell’impronta di carbonio, ma delle persone e del loro destino».

Nel corso del mese usciranno una serie di proposte per incalzare i partiti, un tema centrale saranno i trasporti pubblici gratuiti, sul modello spagnolo, e la richiesta di un investimento sulle infrastrutture.

Come dice Modugno, «non possiamo chiedere di rendere gratuito qualcosa che in molte parti d’Italia ancora non c’è». Una certezza è che Fridays for Future proverà a prendere in mano il proprio destino, perché cartelli e megafoni non funzionano più e i partiti hanno mostrato con chiarezza la loro capacità di ignorarli.

Diffidenti verso i dem

LaPresse All Rights Reserved

C’è un tema che accomuna tutti gli ambientalisti ed è l’enorme diffidenza nei confronti del Pd. In una politica abituata a elettori facilmente emozionabili e con poca memoria, qui funziona tutto al contrario: ricordano tutto.

E il sostegno all’agenda Draghi di Letta qui è soprattutto visto come l’adesione al “metodo Cingolani”, il ministro della Transizione ecologica che li ha insultati, bastonati, derisi, tradendo lo zeitgeist ecologista che aveva accompagnato la nascita del governo a inizio 2021 e illuso i movimenti sul fatto che – forte del Green deal europeo e dei soldi del Pnrr – l’Italia potesse diventare avanguardia ecologista.

È stato l’opposto e il Pd è visto come il principale garante di questo tradimento. «Vivo in Emilia-Romagna, fa impressione vedere un governatore come Stefano Bonaccini essere sempre dalla parte sbagliata. Quando gli hanno chiesto delle trivelle durante una conferenza stampa sulla siccità, lui ha risposto: che c’entra? Ecco, questo è proprio non aver nemmeno compreso cos’è la crisi climatica. Questo è per noi il Pd», commenta Lorenzo Tecleme.

Non credono a Letta, e non credono nemmeno a Conte, al Movimento 5 stelle imputano improvvisazione, mancanza di competenza, l’alleanza del 2019 con Matteo Salvini, sempre perché non dimenticano nulla.

Liste bloccate e alleanze

«La verità è che qui tutti hanno paura di bruciarsi per un’elezione che considerano già persa, per la quale c’è poco da fare se non qualcosa di simbolico», spiega Sesti Osseo, che proprio nel progetto Fantapolitica! ha seguito il cammino di diversi giovani candidati di estrazione Fridays alle ultime amministrative, dove per esempio è stata eletta nel consiglio comunale di Genova Francesca Ghio, leader locale del movimento.

Alle elezioni politiche, con l’attuale legge elettorale senza preferenze, un processo del genere è impossibile. E così i Fridays vedono solo una politica fatta di liste bloccate e alleanze per loro incomprensibili, come quella con Azione e Calenda, che ha proposto di militarizzare i rigassificatori e addirittura le ipotetiche centrali nucleari del futuro, un modo per togliere qualsiasi agibilità politica a tutto il movimento.

«È successo tutto troppo velocemente, i tempi non erano ancora maturi per istituzionalizzare il movimento, quello che rimane è un livello di sofferenza politica altissimo, si sentono orfani, senza nessuna possibile appartenenza, tagliati fuori, isolati e sbagliati». Questo è fare politica per il clima in Italia al tempo delle elezioni 2022.

Venerdì 23 settembre

In questo scenario c’è una data simbolo, che per loro non è il 25 settembre, domenica delle elezioni, ma due giorni prima, venerdì 23, quando era stato già da tempo programmato il nuovo sciopero globale per il clima.

In Italia si terrà nel rettilineo finale del voto e quindi avrà un significato nazionale molto specifico. Come dice Giovanni Mori, ex portavoce nazionale e ancora uno dei leader morali del movimento «per noi è contemporaneamente una grande fortuna e una bella sfiga».

Nello scenario peggiore, lo sciopero si perderà nel rumore bianco di una campagna elettorale tossica, povera di contenuti e proposte, tutta giocata sui conflitti personali.

Nell’ipotesi migliore, però, quella manifestazione diventerà quello per cui Fridays for Future ha lavorato in questi anni, il clima come collettore di tutte le lotte sociali, una giornata di protesta per portare su una scala più ambiziosa quello che hanno già costruito anche al Climate Social Camp di Torino, un fronte unito dello scontento sociale che tenga insieme i lavoratori della logistica, i collettivi alla Gkn, le femministe di Non una di meno, le ong che salvano i migranti e i giovani arrabbiati per l’ambiente spezzato. Una nuova riedizione del movimento dei movimenti di Genova 2001 ricostruito intorno all’emergenza climatica, con i Fridays come federatori della domanda di cambiamento.

E in quest’ottica torna il tema centrale: i tempi di maturazione della proposta politica ambientalista. Declinata in una frase sentita a molti tavoli informali del Climate Social Camp, con un’idea allo stesso tempo pericolosa e suggestiva: «Lasciamo perdere il 2022, prepariamoci a costruire qualcosa di grande per il 2027». Qualcosa che somiglia molto a un partito.

© Riproduzione riservata