Risolvere d’un colpo il problema trentennale italiano dei bassi salari e del lavoro povero con l’istituzione del salario minimo legale «è una bandiera falsa come fu l’articolo 18», dice Roberta Bortone, già docente di diritto del lavoro all’università La Sapienza di Roma, allieva di Gino Giugni, il padre dello Statuto dei Lavoratori.

Legge sul salario minimo viene invocata a gran voce dalla politica, ultimi il commissario europeo Paolo Gentiloni e il segretario del Pd Enrico Letta, come soluzione a una drammatica emergenza: sulle retribuzioni italiane, compresse verso il basso da 30 anni, si abbatte ora il ritorno dell'inflazione. Secondo l'Ocse in Italia i salari reali sono calati del 3 per cento negli ultimi 30 anni mentre in Germania salivano del 34 per cento. E il dato Istat di maggio indica un'inflazione del 6,9 per cento su base annua.

Tra i 21 paesi europei interessati dalla recente direttiva europea sulle retribuzioni, l'Italia è uno dei pochi, con Austria, Danimarca, Cipro, Finlandia e Svezia, che non ha un salario minimo fissato per legge. Ma c’è una differenza tra salario minimo legale e salario minimo fissato nei contratti nazionali di lavoro, che in Italia coprono oltre il 90 per cento dei lavoratori dipendenti, un record che di fatto esenta l'Italia dall’incombenza di recepire la prima direttiva battezzata dalla presidente della Commissione europea Ursula von Der Leyen.

Nel testo si esplicita che l’obbligo di fissare un salario minimo non riguarda i paesi che hanno almeno il 70 per cento di copertura contrattuale. Infatti il salario minimo legale, in tutti i paesi dove viene adottato, è inferiore ai minimi stabiliti nei contratti nazionali.

Anche in Italia si parla di cifre inferiori non solo a quelle dei contratti firmati da Cgil Cisl e Uil, ma persino a quelle dei "contratti pirata”, firmati da sindacati di comodo. «La pirateria dei contratti si esercita su tutte le altre voci di costo, dagli straordinari alle ferie fino al Tfr, ma non sui minimi tabellari», chiarisce Vincenzo Bavaro, ordinario di diritto del lavoro a Bari. «Il salario minimo legale farebbe concorrenza al salario minimo contrattuale».

Il confronto con gli altri

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La proposta dell’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, che fissa il salario orario legale a 9 euro, è superiore ai minimi di solo un paio delle centinaia di contratti nazionali. Per i detrattori del salario minimo c'è dunque il rischio concreto che, introducendolo, si legittimi la possibilità di pagare ancora meno i lavoratori, indebolendo i contratti collettivi.

Questo è il punto su cui si innesta la preoccupazione interessata dei sindacati, gelosi del proprio ruolo nella contrattazione che temono di vedere indebolito. Secondo Bavero anche in Germania, dove recentemente le organizzazioni sindacali avevano acconsentito a introdurlo dopo aver accettato le clausole di uscita dalla contrattazione nazionale ai tempi della riunificazione tedesca, le perplessità si vanno consolidando ed estendendo, anche dopo che il cancelliere Olaf Scholz ha aumentato il minimo orario a 12 euro.

La tendenza a ripensare il salario minimo legale c'è anche in Spagna, dove pure i contratti sono validi per tutti, “erga omnes" dicono i giuristi, e applicarli non è dunque un atto volontario del datore di lavoro come invece da noi.

Il ministro del Lavoro Andrea Orlando pochi mesi fa aveva messo sul tavolo del confronto con le parti sociali anche il salario minimo, di recente ha però  proposto di prendere a parametro il trattamento economico minimo fissato nei contratti di settore per proteggere la fascia più povera dei lavoratori.

Il punto critico è che il salario minimo legale si applica solo al lavoro dipendente. Precariato, false partite Iva e falsi autonomi come i riders, camerieri e commessi pagati a part time involontario e in parte in nero, restano comunque fuori dalla partita.

Non solo. Il salario minimo non è direttamente esigibile dal lavoratore, il quale in ogni caso per vederselo corrispondere dovrebbe rivolgersi ad un avvocato e fare causa. Nota Bavero: «Da trent’anni i giudici del lavoro nelle cause prendono a parametro i contratti nazionali firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi». Che sono più alti. Inoltre l'istituto giuridico del salario minimo legale è comunque derogabile in casi come, per esempio, una crisi aziendale particolarmente dura o la necessità di un recupero di produttività per l’impresa o per un intero territorio.

La giurisprudenza corrente fa affidamento, come argine sull'articolo 36 della Costituzione («Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro»). Emanuele Menegatti, giuslavorista dell'Università di Bologna favorevole all’introduzione di un minimo salariale, è scettico: «L'articolo 36 è stato utilizzato dalla giurisprudenza con una interpretazione creativa ma comunque non è sufficiente ad assicurare salari dignitosi perché questa interpretazione viene spiazzata dai contratti pirata che hanno lo stesso valore legale di quelli dei sindacati più rappresentativi».

Secondo Menegatti il richiamo a un obbligo legale servirebbe come deterrente e anche a creare una proporzionalità, inoltre questa soglia verrebbe stabilita per intervento del governo, sentite le parti sociali e le valutazioni oggettive degli economisti del lavoro, e questo intervento concordato spingerebbe verso l’alto la contrattazione «con una logica diversa dall’automatismo della scala mobile».

Quanto all’esigibilità del minimo così fissato dal singolo lavoratore unicamente attraverso una causa, Menegatti ammette: «È un problema ma si può ovviare potenziando l’attività ispettiva, con possibilità di decreti ingiuntivi e sanzioni». Menegatti soprattutto ipotizza che il nuovo meccanismo includa i parasubordinati e i collaboratori, i lavoratori cosiddetti fragili.   

I lavoratori fragili scoperti

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Questi ultimi, in povertà lavorativa, cioè con salari inferiori ai minimi della maggior parte dei contratti, sono stimati dal Cnel nell'11,7 per cento dei 18 milioni di occupati italiani e, secondo i dati Inps forniti al Senato, sono concentrati in quattro settori: turismo, cooperative sociali di assistenza, tessile-abbigliamento, imprese di pulizia, vigilanza e servizi fiduciari.

Secondo l’ex ministra Catalfo si tratta di circa 2 milioni e mezzo di persone che guadagnano meno di 8 euro l’ora. Poi ci sono i lavoratori su piattaforma, i falsi autonomi, quelli delle false cooperative della logistica e di altri settori che però non sarebbero agganciati al salario minimo. I cosiddetti “working poor”, poveri nonostante lavorino, che guadagnano meno del 60 per cento del salario mediano che Bruxelles ritiene la soglia per una vita minimamente dignitosa.

Secondo Michele Raitano, giuslavorista che ha partecipato alla commissione ministeriale sul lavoro povero istituita da Orlando, «il salario minimo non risolve le criticità del mercato del lavoro, se si impone un salario minimo orario il datore di lavoro, per continuare a pagare poco il lavoratore, potrà ridurre l’orario di lavoro e magari aumentare la quota in nero».

Anche se, dice Raitano, la soglia fissata d’autorità «può essere un segnale di dignità», anche per le aziende più piccole e persino per quelle a conduzione familiare.

Il dibattito è complesso e sembra rivelare un carattere ideologico, più slogan che analisi delle questioni reali. Fabrizio Patriarca, economista del lavoro dell’università di Modena punta per esempio il dito su un'altra causa della compressione salariale: il decreto Poletti che, dopo il Jobs Act nel 2016, ha consentito i contratti a termine senza l’obbligo di indicare una causale.

Secondo Patriarca il salario minimo di legge in questo momento sarebbe «una sorta di scala mobile esclusivamente per i livelli bassi di reddito, che schiaccerebbe la dinamica salariale nella fascia bassa degli stipendi, comprimendo gli aumenti nelle fasce appena sopra i minimi».

Di sicuro per i sindacati il vero problema d'attualità è che due terzi dei contratti nazionali sono scaduti o scadranno entro quest'anno. E nella stagione del caro benzina e caro bollette, con una fiammata inflazionistica che non si annuncia temporanea, c'è per esempio la questione del cosiddetto parametro Ipca, che nella contrattazione esclude dal recupero dell'inflazione gli effetti dei prezzi energetici.

Per dare il segnale di rappresentare le esigenze del mondo del lavoro, e anche evitare quel «rischio per la tenuta sociale» paventato dal segretario generale della Cgil Maurizio Landini, la politica deve forse pensare a interventi più complessi anche se di minore impatto mediatico.

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