Tocca al governo dare disco verde alla vendita di Saras alla multinazionale del trading Vitol. E non sarà una decisione facile, alla luce delle norme del cosiddetto Golden Power che regola la cessione delle attività considerate strategiche.

Dall’impianto di Sarroch, a 20 chilometri da Cagliari, passa il 20 per centro del greggio raffinato in Italia e va da sé, quindi, che la società dei Moratti, fondata nel 1962, rappresenta un asset di fondamentale importanza per la sicurezza energetica del paese. A maggior ragione se si considera che, se andasse in porto l’operazione annunciata domenica sera, all’incirca la metà della capacità di raffinazione italiana sarebbe controllata da operatori stranieri.

Il caso Priolo

Meno di un anno fa il passaggio alla società cipriota Goi Energy della siciliana Isab di Priolo in Sicilia, altro snodo fondamentale per la lavorazione di carburanti, fu oggetto di lunghe discussioni all’interno del governo di Giorgia Meloni. Nel ruolo di venditore, all’epoca, c’era il gruppo russo Lukoil.

Il via libera arrivò ad aprile, ma sottoposto a una serie di condizioni da rispettare da parte dei compratori. Tra queste, oltre alla tutela dell’occupazione, era compresa anche la tracciabilità del petrolio importato, per avere la garanzia che non arrivasse dalla Russia sotto sanzioni.

Lo stesso problema si ripresenta oggi. Nel caso di Priolo, le forniture di greggio sono garantite da un accordo con il colosso del trading Trafigura, uno dei principali concorrenti di Vitol. Negli ultimi anni entrambi i gruppi hanno ridotto i rapporti commerciali con Mosca, un tempo strettissimi.

I legami però non si sono interrotti del tutto. Come ha rivelato un’inchiesta del Financial Times, nei primi dieci trader di idrocarburi di produzione russa sono rimasti solo due società europee: una è Gunvor, un’altra multinazionale, la seconda è proprio Vitol, che nel 2022, ultimo anno di cui sono disponibili i conti, ha realizzato un giro d’affari di 505 miliardi di dollari, circa 470 miliardi di euro, e profitti di 15 miliardi di dollari (14 miliardi di euro).

Con il calo delle quotazioni del greggio, l’anno scorso anche i ricavi si sono certamente sgonfiati un po’, ma l’aspirante compratore dell’azienda dei Moratti resta comunque il più grande operatore commerciale del mondo nel settore petrolifero. Una multinazionale con un raggio d’azione globale che ora punta ad assicurarsi un impianto di prima grandezza nel mezzo di un’area strategica come il Mediterraneo.

Non è solo una questione di forniture, però. Il gruppo Saras ha circa 1.500 dipendenti e altre 3 mila persone lavorano nelle imprese dell’indotto. Per questo i sindacati si sono già mobilitati per chiedere garanzie sul mantenimento dell’occupazione. Tra l’altro, all’impianto di Sarroch è collegata una centrale elettrica alimentata a gas che copre quasi la metà del fabbisogno della Sardegna. Un altro elemento, quest’ultimo, che andrà considerato ai fini del Golden Power.

Altalena in Piazza Affari

L’incognita dell’autorizzazione governativa non è l’unica che resta sospesa sull’operazione. Il prezzo di 1,75 euro per azione Saras offerto da Vitol per il 40 per cento del capitale controllato dalla famiglia Moratti è lo stesso che sarà garantito agli azionisti nell’Opa che dovrebbe essere lanciata nelle prossime settimane. La quotazione però fatica ad allinearsi a quella dell’offerta, come di solito succede in questi casi. Segno che il mercato per il momento non è convinto che l’acquisizione vada in porto.

Tra lunedì e ieri il prezzo ha oscillato tra 1,71 e 1,72 euro, ma venerdì scorso, spinta dalle indiscrezioni su una possibile imminente vendita, era arrivato a 1,92 euro con un volume di scambi molto più elevato del solito. Un andamento sospetto su cui la Consob ha avviato accertamenti. A gennaio invece il titolo aveva perso quota velocemente fino a 1,54 euro dopo che Trafigura, il rivale di Vitol, aveva comunicato di aver ceduto il 3,6 per cento di Saras, riducendo la propria partecipazione dal 13,2 al 9,6 per cento.

Non è chiaro a chi Trafigura abbia ceduto il suo pacchetto, che è passato di mano a prezzi inferiori a quelli di Opa. Tra l’altro le vendite in Borsa da parte del gigante del trading hanno avuto l’effetto di deprimere la quotazione nella seconda metà di gennaio, favorendo chi ha comprato in quei giorni nella prospettiva di una possibile Opa.

Piatto Ricco

Di sicuro i Moratti hanno scelto il momento migliore per vendere, dal punto di vista borsistico. Il titolo Saras viaggia al rialzo da maggio scorso, quando quotava poco più di un euro, un balzo di oltre il 70 per cento, dopo che il prezzo nel 2020 era addirittura precipitato a quota 50 centesimi, lontanissimo dai 6 euro a cui era stato collocato ai risparmiatori nel lontano 2006. Non proprio un affare per chi all’epoca aveva scommesso sui Moratti.

Adesso la famiglia milanese si prepara a incassare 582 milioni per il loro 35 per cento. L’anno scorso, grazie ai conti record del 2022 spinti dal boom del prezzo del petrolio, Massimo Moratti insieme ai nipoti Angelo e Gabriele, si erano spartiti 70 milioni di dividendi. Una sorta di buonuscita anticipata.

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