Di chi è la colpa del rincaro del prezzo della benzina alla pompa? Dell’aumento delle accise, deciso dal governo Meloni, o di qualche dinamica oscura? L’esecutivo ha convocato il generale della Guardia di Finanza Giuseppe Zafarana e se la prende con i benzinai puntando il dito su una «presunta speculazione», l’Antitrust guidato da Roberto Rustichelli, «ha scritto al comandante generale della Guardia di Finanza», chiedendo la collaborazione del Corpo al fine di acquisire la documentazione inerente ai recenti controlli effettuati sui prezzi dei carburanti «con particolare riferimento alle violazioni accertate».

Eni nel frattempo ha invertito la tendenza, e come rilevato dal giornale che si occupa di energia Staffetta Quotidiana la compagnia guidata da Claudio Descalzi, l'amministratore delegato che era nel toto nomine per un ministero e adesso in corsa per la riconferma, ha limato i prezzi dei carburanti al ribasso per il secondo giorno di fila: «Eni – risponde la compagnia a Domani - conferma il taglio di 1 centesimo dei prezzi raccomandati dei carburanti, benzina e diesel, come da usuali dinamiche commerciali».

In questo caso, secondo la stampa specializzata, la dinamica commerciale che ha giocato a favore della mossa di Descalzi è il cambio: il dollaro, la moneta dell’acquisto del petrolio si è leggermente indebolito. A formare il prezzo finale però ci sono molte parti.

L’aumento dei prezzi

Foto Mauro Scrobogna/LaPresse

Il governo punta il dito sugli “speculatori”, ma il primo problema del recente aumento del prezzo finale, dati alla mano, è stato in primo luogo l’aumento delle accise, o meglio la riduzione dello sconto temporaneo previsto dall’esecutivo Draghi e calato con un decreto del governo, come certificato anche dal ministero dell’Ambiente. Una mossa che adesso sta costando al governo Meloni le critiche dal fronte interno 

Nello specifico, durante la prima settimana di gennaio il Mase ha rilevato nel consueto monitoraggio nazionale un aumento dei prezzi sostanzialmente in linea con il rialzo dovuto alla mancata proroga del taglio delle accise.

Tra il primo e l'8 gennaio la benzina in modalità self è salita da 1,644 euro a 1,812 euro al litro con un aumento di 16,8 centesimi. Il gasolio è passato da 1,708 a 1,868 euro, con un rialzo di 16 centesimi.

Dal primo gennaio il rialzo delle accise è stato di 18 centesimi. L’aumento è stato perciò persino più ridotto dell’aumento stesso delle accise.

Il Platts

Il presidente dell’Unem, Unione energie per la mobilità (il nuovo nome dell’Unione petrolifera), ha ricordato alla Stampa che il costo finale non è direttamente collegato al greggio. 

Anche se i prezzi del petrolio stanno scendendo, il benchmark, ovvero il punto di riferimento per i carburanti sono le quotazioni internazionali dei prodotti raffinati, il cosiddetto Platts Cif Med: «Se guardiamo a questi indicatori e li confrontiamo con i prezzi industriali (cioè al netto delle tasse) dei carburanti, vediamo che da fine novembre a oggi il Platts per la benzina è diminuito di circa 6 centesimi euro/litro, discesa più che riflessa nei prezzi industriali ridottisi di circa 12 centesimi; il gasolio è invece sceso, rispettivamente, di 4 e 14 centesimi».

Cali «che hanno permesso di “digerire” la prima parte della riduzione dello sconto scattata il 1° dicembre. Così sono tornati i prezzi finali del 23 marzo dopo il taglio delle accise, ma senza il taglio. A livello industriale i nostri prezzi sono più bassi della media europea di 3-4 centesimi/litro».

Il margine

Il trasferimento del prezzo di riferimento ai prodotti venduti, insieme alle accise, però non è l’unica cosa che influenza il costo del prodotto finale.

All’inizio di gennaio infatti oltre alle accise è salito il costo di miscelazione dei biocarburanti nei carburanti “fossili”, passato da 5,5 a 6 centesimi al litro, e i guadagni di chi rifornisce i rivenditori. 

Il «delta», la cifra di differenza che le compagnie applicano rispetto al Platts, la quotazione internazionale dei prodotti raffinati, ai rivenditori è salito. Una situazione che rispecchia la situazione di un mercato che va incontro all’embargo dei prodotti russi del prossimo febbraio.

La Staffetta ha riportato prime indiscrezioni su incrementi tra 10 e 45 euro per mille litri (pari a 1-4,5 cent/litro). Balzelli che, spiega il quotidiano, «avranno effetti sull'extrarete e soprattutto sulle “pompe bianche”», ovvero quelle non appartenenti alle grandi compagnie che vedranno anche loro salire il prezzo.

Le compagnie

Ma chi sono le compagnie che guidano il prezzo finale? In Italia operano undici raffinerie, controllate da Eni, Saras, Kuwait Petroleum Italia, Api-Ip, Sonatrach, Isab-Lukoil, Esso, Iplom. Non ci sono dati ufficiali per definire quanto del prodotto che finisce sulla rete arrivi da queste. Tuttavia sono fondamentali le compagnie che operano nel settore della distribuzione: Eni, Kupit Italia, Tamoil e Gruppo Ip.

I dati Unem raccontano che attualmente il 40 per cento dei punti vendita è direttamente delle compagnie, il 30 per cento è convenzionato ed espone i loro marchi, i restanti sono pompe bianche o della Gdo, ovvero hanno i loro simboli a parte.

Alessandro Zavalloni, segretario nazionale di Fegica, associazione dei gestori, spiega che gli impianti convenzionati hanno dei contratti di acquisto in esclusiva, unico tipo di mercato in cui è concesso: «In questo modo si riforniscono dalle compagnie petrolifere che fissano i prezzi finali», ma non solo, anche i retisti privati che mettono il proprio marchio tendenzialmente si approvvigionano tramite le compagnie: «Adesso non siamo nelle condizioni di avere una produzione di prodotti finiti che soddisfi la richiesta nazionale, noi importiamo. I retisti trovano generalmente più conveniente acquistare dalle compagnie che eventualmente si occupano anche dell’import».

Le variazioni significative al ribasso spesso riguardano «parte del prodotto non tracciato», i carburanti di contrabbando.

Nemmeno la Guardia di Finanza può avere un monitoraggio esatto della provenienza del prodotto venduto, spiega Zavalloni. In questo modo, a differenza di quello che dice Matteo Salvini «il prezzo troppo vantaggioso sarebbe un’anomalia da approfondire».

La concorrenza

In questo scenario, da una parte la mossa di Eni, attore fondamentale, può avere la forza di influenzare il mercato, dall’altra il prezzo potrebbe risentire in futuro del fatto che la concorrenza sarà ancora di meno, e con i complimenti del ministro dell’Economia leghista Giancarlo Giorgetti.

Ip di recente ha proseguito la sua strategia di espansione e ha acquistato dalla divisione italiana di Esso gli asset e le attività relative a carburanti e raffinazione.

Ha acquisito il 75 per cento della Raffineria Sarpom di Trecate, la titolarità dei depositi di Genova, Arluno e Chivasso, quella di Engycalor Energia Calore e il 12,5 per cento della società Disma, che gestisce il deposito di carburante a Malpensa.

«Un ulteriore consolidamento del gruppo controllato dalla famiglia Brachetti Peretti, dopo il controllo di TotalErg avvenuto cinque anni fa» ha comunicato.

Giorgetti è entusiasta: «Accolgo con favore l'annuncio dell'operazione di acquisizione di Esso da parte di Ip - ha twittato il ministro -. È il rafforzamento di un operatore italiano in un mercato in forte evoluzione e in un momento complesso. Il governo è impegnato e sorveglia con attenzione l'intero settore anche in ambito europeo».

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