Il nascente governo Meloni eredita una gestione opaca della vicenda di Autostrade per l'Italia (Aspi) con i suoi risultati sconcertanti. E con una conseguenza politica di non poco conto.

Il partito della premier in pectore, Fratelli d'Italia, è quello che ha sempre denunciato con toni piuttosto accesi la gestione dell'affare, condotta in perfetta continuità dal governo Conte 2 e dal governo Draghi.

Ma adesso a mettere le mani sul dossier potrebbero essere i nuovi ministri dell'Economia (Giancarlo Giorgetti) e delle Infrastrutture (Matteo Salvini), cioè le due punte di lancia della Lega, il partito che, dal governo e dall'opposizione, ha sempre strenuamente difeso gli interessi della famiglia Benetton.

Grande è dunque la curiosità di scoprire quale linea assumerà il nuovo governo su un pasticcio foriero di gravi danni all'interesse pubblico, inteso non solo in termini di denaro dei contribuenti ma anche, anzi soprattutto, in termini di gestione e di sicurezza di un'infrastruttura fondamentale: Aspi gestisce più della metà della rete autostradale italiana.

Da Conte a Draghi

Alessandro Serrano' / AGF

In estrema sintesi la questione è la seguente. Il governo Conte 2 (giallorosso), dopo il crollo del ponte Morandi, ha scelto di risolvere la questione autostradale "graziando" Atlantia, la holding controllata dai Benetton, sulla revoca della concessione di Aspi, pure considerata unanimemente la sanzione automatica dopo il "grave inadempimento" di far venire giù il viadotto sul fiume Polcevera provocando 43 morti. Ha scelto di risolvere la cosa imponendo ai Benetton la nazionalizzazione delle autostrade, attraverso la vendita alla Cassa depositi e prestiti (Cdp), sia pure a prezzo pieno.

Il governo Draghi ha preso in mano la compravendita di Aspi e l'ha gestita per 15 mesi (dal giorno del giuramento, 13 febbraio 2021, alla firma del contratto definitivo, 5 maggio 2022). Con un risultato paradossale che ha ribaltato le premesse di Conte.

Il direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera ha scritto, per spiegare alla Corte dei Conti i termini esatti della operazione, che Cdp non è lo stato, anzi è una società di diritto privato «che svolge attività imprenditoriale nel rispetto del principio dell'investitore privato operante in un'economia di mercato».

Quindi Conte parte per rinazionalizzare le autostrade e Draghi le riprivatizza. Con modalità sconcertanti: il 3 maggio 2022, due giorni prima della firma definitiva della compravendita, Cdp firma i patti parasociali con i fondi Blackstone e Macquarie, con cui concede ai soci di minoranza un sostanziale diritto di veto su ogni delibera del consiglio di amministrazione di Aspi, nel quale peraltro il socio pubblico ha solo 6 rappresentanti su 14 consiglieri.

Comanda il profitto

L'implicazione pratica di quello che può sembrare un dettaglio appassionante solo per gli addetti ai lavori è molto grave. Un'operazione finalizzata, nelle promesse, a dare ad Aspi un azionariato stabile, responsabile e finalmente focalizzato sugli investimenti per la manutenzione e la sicurezza della rete, ha consegnato Aspi a un azionariato che ha come obiettivo il profitto.

Non è un'insinuazione, né un processo alle intenzioni: perseguire il massimo profitto è un loro dovere, è scritto negli statuti dei nuovi azionisti di Aspi, ed è confermato dalle loro mosse nei primi cinque mesi di gestione. Sarebbe stato compito dello stato tenerli a distanza da un’infrastruttura pubblica così delicata. 

Il 16 aprile 2021 Mario Draghi, rispondendo a una domanda durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi, ha detto: sulla questione Cdp-Aspi «non intervengo e non discuto perché c'è una trattativa in corso, fondata sull'offerta preparata dal governo precedente. Vediamo come va a finire».

Che la trattativa in corso fosse fondata sull'offerta preparata dal governo precedente non era vero. Lo stesso Rivera spiegherà in seguito alla Corte dei Conti che il governo con l'acquisto di Aspi da parte di Cdp non c'entra niente: «Il Consorzio acquirente (Cdp-Blackstone-Macquarie, ndr) è un soggetto interamente privato e pertanto le valutazioni del Consorzio circa il valore di Aspi sono irrilevanti per l’Amministrazione che ad esse è, infatti, rimasta estranea».

La firma di Draghi

Quindi, dice Rivera, il governo non c'entra niente con la trattativa per l'acquisto di Aspi, ma se c'è entrato è stato Draghi, e non Conte, a "preparare l'offerta". Infatti, sotto il governo Conte, Cdp ha avanzato qualche offerta "non vincolante" (l'ultima il 23 dicembre 2020).

Ma è con il governo Draghi che la trattativa accelera. Il 13 febbraio 2021 Draghi si insedia, il 24 febbraio Cdp e i suoi soci presentato ad Atlantia la prima offerta vincolante, cioè vera, concreta, impegnativa: prima erano chiacchiere. Il 26 febbraio, due giorni dopo, Atlantia dice che l'offerta non gli piace, è inferiore alle attese. Dopo un altro mese di affinamenti, il 31 marzo Cdp presenta una nuova offerta vincolante, quella che sarà accettata da Atlantia.

In quelle prime settimane del governo Draghi accade una cosa che, con il senno di poi, illumina di luce solare la catena di errori che ha portato ai risultati oggi sotto gli occhi di tutti. Il 23 febbraio, alla vigilia dell'offerta vincolante di Cdp, scende in campo l'Istituto Bruno Leoni, santuario del liberismo, che considera la partita ancora apertissima e dipendente dalle decisioni del nuovo governo: «La gestione del dossier sarà uno dei primi banchi di prova su cui potremo misurare se e quanto il governo Draghi si pone in discontinuità con l’esecutivo precedente».

Pochi giorni dopo, il 7 aprile, una settimana prima che Draghi faccia finta di non saperne niente, scendono in campo Franco Debenedetti, presidente del Bruno Leoni, e il direttore delle ricerche Carlo Stagnaro. I due pongono a Draghi una questione sensata.

Se proprio volevi nazionalizzare era meglio che fosse il Tesoro a comprarsi il 100 per cento di Aspi, ne rimettesse a posto le regole, ne ridimensionasse i privilegi e poi riassegnasse a privati la concessione con regole nuove, meno scandalose di quelle che sono state concesse ai Benetton per due decenni.

Solo una vera nazionalizzazione, dicono, garantisce una riforma profonda realizzabile senza l’ostacolo di un azionista privato che minaccia il contenzioso. Al contrario, la finta nazionalizzazione, consistente nel passaggio da un privato avido ad altri privati almeno ugualmente avidi, renderà eterne le distorsioni del sistema che tendono a perpetuare alti pedaggi e bassa manutenzione.

Vale la pena di riportare il nucleo del ragionamento di Debenedetti e Stagnaro: «Questa revisione, oggi improbabile perché Aspi potrebbe impugnarla con ottime probabilità di successo e andrebbe comunque negoziata, appare addirittura impossibile nel caso in cui subentrasse la cordata Cdp-Blackstone-Macquarie. Infatti, la Cdp agisce de facto a nome del governo, ma formalmente interviene non con risorse pubbliche, bensì con i soldi dei correntisti postali: di fronte a una riforma che taglia la redditività del suo investimento, e quindi comporta una perdita in bilancio, non potrebbe far altro che opporsi. Né potrebbero agire diversamente i suoi partner o eventuali altri investitori istituzionali selezionati dalla Cdp».  

Tocca alla Lega

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 14-10-2022 Roma (Italia) Politica Camera dei Deputati - Elezione del presidente Nella foto Giancarlo Giorgetti 14-10-2022 Rome (Italy) Politics Chamber of Deputies - Election of the president In the pic Giancarlo Giorgetti

Questo è il nodo che spetterà a Salvini e Giorgetti sciogliere. Il governo Conte ha stabilito un cosa assai opinabile, cioè che revocare la concessione ai Benetton «per grave inadempimento» fosse molto rischioso. E che dunque era meglio andare verso una contorta transazione tra il concedente (il ministero delle Infrastrutture) e il concessionario (Aspi) per una soluzione negoziata del caso Morandi, accompagnata però dalla vendita di Aspi allo stato.

Lo stato ha subito individuato in Cdp il compratore per suo conto, salvo poi sostenere che Cdp con lo stato non c'entra niente. Ma soprattutto ha individuato, e nessuno ha mai spiegato perché, nei fondi Blackstone e Macquarie i soci che dovevano accompagnare Cdp nell'operazione.

Atlantia ha sempre detto e scritto che considerava questa decisione del governo una prepotenza. Quando ha cercato di raccogliere altre offerte per vendere Aspi a prezzo maggiore lo stato è intervenuto per bloccare tutto, anche per le vie brevi, con colloqui privati e telefonate abbastanza ineleganti, per così dire.

Ma alla fine i Benetton hanno ceduto, limitandosi a controllare che il prezzo di vendita fosse soddisfacente e che l'operazione per loro si chiudesse con un guadagno che, per piccolo che fosse, era sempre una sanzione accettabile per aver provocato il crollo del Morandi e 43 morti.

Questa è la domanda a cui il nuovo governo dovrà rispondere: visto che, minacciando la revoca della concessione, il governo Draghi poteva imporre qualsiasi cosa ad Atlantia, perché non ha davvero nazionalizzato Aspi comprandola come Tesoro e l'ha consegnata agli interessi privati di Blackstone e Macquarie che promettono di essere non meno avidi dei Benetton?

L'unica possibile spiegazione è che la burocrazia (gli stessi uomini con Conte e con Draghi) avesse apparecchiato una situazione formalmente aperta ma sostanzialmente irreversibile. Ma questo è un altro capitolo del giallo. 

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