Il via libera del parlamento arriverà venerdì, come previsto. Ma la riforma del fisco che nelle ambizioni del governo dovrebbe riscrivere le regole del sistema dovrà fare ancora molta strada prima di avere effetti concreti sui contribuenti. «È una pagina importante nella storia del diritto tributario italiano», ha commentato ieri il viceministro Maurizio Leo alla vigilia dell’approvazione della legge delega alla Camera, in terza e definitiva lettura.

Adesso, però, resta da completare l’ultima parte del percorso che porta dalla propaganda ai fatti. Nei prossimi mesi, gli interventi delineati nei 20 articoli del testo andranno tradotti in norme attraverso una lunga serie di decreti attuativi. Proprio questa è la parte più complicata di tutta l’operazione, quella su cui si gioca il futuro di una legge descritta per mesi come la panacea di tutti i mali del fisco nostrano, la legge bandiera del centrodestra messa insieme in gran fretta da un esecutivo che sulle promesse di riduzione delle tasse ha costruito l’ultima, vincente, campagna elettorale.

Non per niente il sottosegretario leghista all’Economia Federico Freni, si è affrettato a mettere le mani avanti. «Entro l’anno qualcosa vorremmo fare, però è una corsa a ostacoli», ha detto. Intanto, già ieri, il governo si è visto costretto a sconfessare sé stesso dopo che alla Camera aveva inopinatamente dato parere favorevole a un ordine del giorno del segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni. La proposta di Fratoianni impegnava l’esecutivo a introdurre un’imposta patrimoniale il cui ricavato servirebbe a contrastare la dispersione scolastica. Nel pomeriggio Palazzo chigi ha poi precisato che non sarà dato seguito all’ordine del giorno del deputato di opposizione.

Base elettorale

Chiuso questo piccolo incidente di percorso, la partita vera per la riforma fiscale si giocherà nei prossimi mesi. Messe da parte, o rimandate a data da destinarsi, le rivoluzioni impossibili come quella della flat tax che avrebbe devastato le finanze pubbliche, adesso il governo vorrebbe dare la precedenza ai decreti attuativi che riguardano il concordato preventivo biennale e la cosiddetta «cooperative compliance».

Guarda caso queste sono proprio le novità che riguardano più da vicino la platea di imprenditori, artigiani e commercianti che costituisce la base elettorale della maggioranza di centrodestra. La stessa platea dove, statistiche ufficiali alla mano, si annida la gran parte degli evasori fiscali.

I due provvedimenti citati sono quelli che consentono di fatto alle imprese e ai lavoratori autonomi di concordare con l’Agenzia delle entrate le imposte da pagare attraverso il «confronto preventivo», così definito dal governo. In sostanza, nelle intenzioni di Leo, questo sistema consentirebbe al fisco di prevenire l’evasione favorendo l’adempimento spontaneo da parte del contribuente.

In attesa dei decreti attuativi, previsti, nella migliore delle ipotesi, per l’inizio dell’anno prossimo, si può già anticipare che queste novità porteranno incassi supplementari ai commercialisti. La legge delega, infatti, prevede che in alcuni specifici casi un professionista qualificato possa certificare con un bollino blu la corretta gestione del rischio fiscale da parte dell’impresa.

Grazie a questo marchio di garanzia il contribuente potrà evitare le sanzioni amministrative e i tempi dell’accertamento verranno accorciati di due anni. Insomma, nel nome dell’adempimento collaborativo, la riforma finirà per aumentare di molto anche il lavoro dei commercialisti, che infatti, come categoria, hanno fin qui entusiasticamente sostenuto il lavoro di Leo.

Saranno queste le parti della riforma che nelle intenzioni del governo dovrebbe essere al centro dei primi decreti attuativi. Per sveltire i tempi è previsto che già nei prossimi giorni venga istituito dal Mef un «comitato tecnico per la riforma tributaria» a cui sarà affidato il compito di tradurre in atti di legge i provvedimenti delineati nella delega.

Questione di tempo, certo, ma anche di soldi. Misure come, per esempio, la riduzione da quattro a tre delle aliquote Irpef costano care e dipendono dalle risorse a disponibili nel bilancio dello stato. A settembre, il governo dovrà metter mano alla manovra finanziaria per il prossimo anno e allora si capirà se davvero ci sarà spazio per i tagli alle tasse promessi in campagna elettorale. Intanto Leo tira diritto con i decreti a uso e consumo di imprese e lavoratori autonomi. Gli altri possono attendere.

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