Ogni anno milioni di italiani attraverso il 5 per mille pensano di destinare parte delle proprie tasse ad un ente del terzo settore, ma una parte di quelle risorse, anziché arrivare a destinazione, resta nelle casse dello stato. È l’effetto del tetto imposto per legge, che limita a 525 milioni i fondi realmente distribuiti, prevedendo che in caso di superamento di tale soglia i soldi tornino allo stato. Lo scorso anno sono stati 79 i milioni sottratti in questo modo alle associazioni: «Forse – commenta amaro il presidente della Lega italiana anti vivisezione, Gianluca Felicetti – lo stato dovrebbe ribattezzarlo 4,3 per mille. Perché quello è il suo valore reale ad oggi». 

La campagna delle associazioni ha ottenuto un primo risultato. Il Consiglio dei ministri ha varato il testo della manovra in cui il tetto viene portato a 610 milioni. Un segnale positivo, ma non una soluzione strutturale. Anche con un limite più alto, una parte delle scelte dei contribuenti continuerebbe a non essere rispettata: a parità di gettito, lo stato si tratterrebbe comunque 30 milioni destinati alle associazioni. Per restituire piena coerenza al sistema, servirebbe un principio semplice: che ogni euro scelto da un cittadino sia effettivamente devoluto all’ente indicato.

Il tetto

Il 5 per mille nasce nel 2006 come strumento di sussidiarietà fiscale: il contribuente può decidere a chi destinare lo 0,5% della propria Irpef, senza costi aggiuntivi, scegliendo tra enti del Terzo settore, ricerca scientifica o sanitaria, università, attività sociali dei Comuni. Una forma di democrazia fiscale, che unisce libertà individuale e utilità collettiva. Una libertà che viene però limitata da un vincolo contabile, spesso sconosciuto al contribuente: il cosiddetto tetto di spesa.

Dal 2022 il tetto è fissato a 525 milioni. Una volta raggiunta, la cifra viene assegnata in maniera proporzionale alle “preferenze” alle varie associazioni mentre il rimanente torna allo stato insieme alla quota di chi non ha indicato diversamente nella sua dichiarazione dei redditi. Nel 2024, secondo i dati Assif–Vita, i cittadini hanno destinato tramite il 5 per mille 604 milioni di euro. Ma 79 milioni di questa cifra, il cosiddetto “extra tetto”, non verranno mai distribuiti.

Dal 2006 a oggi, lo Stato ha trattenuto 562 milioni di euro di somme destinate dai cittadini, una cifra equivalente a un’intera annualità del 5 per mille. E mentre i fondi realmente distribuiti hanno raggiunto 8,7 miliardi di euro, la quota perduta rappresenta la prova concreta di un meccanismo che contraddice lo spirito originario della legge.

Per un vero 5 per mille

Ed è proprio questo che chiedono oltre 60 associazioni del terzo settore con la campagna “5 per mille, ma per davvero”. In un comunicato, i promotori sottolineano come questa limitazione rappresenti una stortura che incide in modo significativo su «una delle più autentiche espressioni di democrazia fiscale e partecipazione civica» e che il tetto imposto sia ormai superato dai tempi. Negli ultimi anni, infatti, si è registrata una forte crescita nel numero di persone che decidono di destinare il proprio 5 per mille alle associazioni. Secondo i dati nel 2024 il 42,2 per cento dei contribuenti, pari a circa 18 milioni di persone, hanno deciso di devolvere il proprio 5 per mille ad un associazione. Il dato più alto dal 2006 ad oggi. E proprio i contribuenti, che decidono di destinare i soldi ad un ente piuttosto che lasciarli tornare automaticamente allo stato, sono all’oscuro del fatto che la loro scelta venga di fatto in parte annullata.

«Come associazioni – spiega Felicetti – viviamo questo dualismo per cui da un lato vediamo aumentare le persone che decidono di sostenerci con il 5 per mille, dall’altro il tetto non si adegua e perdiamo ogni anno sempre più fondi». Fondi che, per gli enti del terzo settore sono vitali e servirebbero, anche, a garantire servizi ai cittadini che lo stato non riesce ad erogare. «Una cifra di 79 milioni per il bilancio di uno stato è veramente minima – sottolinea il presidente di Lav – ma per le associazioni è spesso vitale e permette di portare avanti attività importanti sui territori. Noi per esempio con quei soldi sosteniamo le spese necessarie per prendere in carico animali sequestrati o confiscati che i tribunali non saprebbero a chi affidare».

Si tratta, insomma, di fondi che diventano determinanti per la riuscita dei progetti e delle attività degli enti del terzo settore e che invece vengono sottratti per legge alla loro destinazione ideale. Una stortura resa ancor più evidente da un altro dettaglio: «Tutto questo succede solo in questo caso – spiega Felicetti – perché né l’8 per mille alle confessioni religiose né il 2 per mille ai partiti hanno tetti simili».

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