Poche ore dopo l’annuncio del ritorno di Renato Brunetta come ministro della pubblica amministrazione, il suo ex portavoce Vittorio Pezzuto, l’uomo che ha gestito la campagna mediatica che dipingeva i dipendenti pubblici come fannulloni, ha scritto su Facebook che probabilmente la pubblica amministrazione non sarebbe rimasta in smart working a lungo.

Brunetta torna in sella al ministero che aveva guidato dieci anni fa imponendo i tornelli agli ingressi e una discussa riforma, ma la pubblica amministrazione che troverà è cambiata e la sua missione è solo apparentemente la stessa di prima. Carlo Mochi Sismondi, presidente del Forum della pubblica amministrazione, che ha lavorato con ventuno governi e diciassette ministri, dice che «qualsiasi giudizio sulla riforma Brunetta deve tenere conto del fatto che è stata disattesa» perché il sistema di incentivi per i lavoratori che avevano mostrato le performance migliori «non è mai stato attuato». L’era Brunetta coincide con quella dei tagli del ministro Giulio Tremonti, che a partire dalla legge di bilancio post crisi finanziaria, anno 2009, impone una riduzione drastica e lineare della spesa per la pubblica amministrazione, incluso il taglio del 50 per cento dell’investimento in formazione. Viene bloccato sia il rinnovo del contratto, congelato per i dieci anni successivi, che il turn over, quindi i nuovi ingressi.

I tagli lineari colpiscono la sanità come gli enti locali, a cui si aggiunge il capitolo province, svuotate di risorse ma non di funzioni il sistema è stato congelato per un decennio e la situazione ha iniziato a sbloccarsi solo nell’ultimo anno del governo Gentiloni e con il governo Conte uno e due. «Quella che si troverà Brunetta è quindi una pubblica amministrazione ridotta nel personale, anziana – esclusi militari e forze dell’ordine l’età media è di 54,6 anni, ma soprattutto «impoverita di competenze tecniche e in generale molto più fragile», dice Mochi Sismondi, secondo cui il compito di Brunetta è immane, ma si traduce soprattutto «nell’assumere, cercando di attrarre i migliori con concorsi ben fatti, nell’investire in formazione».

Nuovi concorsi

Le due colleghe che hanno guidato la funzione pubblica prima di Brunetta, Giulia Bongiorno e Fabiana Dadone, hanno calcolato che servirebbero circa 500mila assunzioni solo per colmare il turn over. Il programma del piano di ripresa e resilienza prevede concorsi già a partire da quest’anno.
 La necessità però non è rimpiazzare chi se ne va, ma individuare rapidamente le nuove competenze che servono e fare in modo di attrarle, anche con selezioni che mettano alla prova la capacità di risolvere problemi. 

Il primo progetto pilota potrebbe essere l’assunzione di 2800 persone in grado di aiutare gli enti locali del Mezzogiorno nelle politiche di coesione e nella spesa dei fondi Ue, voluta dal ministro Giuseppe Provenzano, inserita nella legge di bilancio e lasciata in eredità alla collega di partito di Brunetta, Mara Carfagna.
Tra le competenze che servono ci sono sicuramente anche quelle legate alla digitalizzazione, su cui Brunetta dovrà confrontarsi con il neo ministro Vittorio Colao. Poi serve un piano serio per la
 formazione: oggi la spesa media è di appena 150 milioni di euro contro gli 1,7 miliardi previsti dalla legge Frattini, per tre milioni di dipendenti pubblici: una giornata di formazione a testa.

 

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