Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci del “Processo alla Sicilia”, il libro che raccoglie trentacinque inchieste di Pippo Fava, direttore de “I Siciliani”, ucciso con cinque colpi di pistola il 5 gennaio del 1984 a Catania


«Noi vogliamo l’autostrada per Catania - dice il sindaco - Tutto il resto accadrà fatalmente.

L’autostrada significherà avere l’università, i mercati, il porto, i negozi, i teatri, a mezz’ora di distanza, il tempo che un catanese impiega per attraversare la sua città da un quartiere all’altro.

L’autostrada è essenziale soprattutto poiché sulle sue corsie avanzeranno verso di noi i turisti, le iniziative industriali, gli stabilimenti per lo sfruttamento dei minerali. Tutte le cose che noi volessimo fare ora, sarebbero destinate a fallire. Potremmo coltivare cotone laggiù nella pianura, potremmo creare grandi allevamenti di bestiame, potremmo costruire grandi alberghi sul lago. Ma siamo prigionieri in cima a questa montagna.

L’autostrada ci libererà di colpo e ci trasformerà in una grande periferia di Catania. In attesa che arrivi, risolviamo intanto i nostri piccoli problemi civili, studiamo tutte le leggi per carpire tutti i finanziamenti, anche quelli minuscoli, economizziamo il denaro, cerchiamo di spenderlo nel modo migliore possibile, facciamo progetti per l’industrializzazione del territorio.

La Cassa per il Mezzogiorno ce li respinge regolarmente, ma noi torniamo a farne degli altri più meticolosi, ancora più dettagliati. Abbiamo tempo a disposizione, siamo pazienti, laboriosi, siamo testardi. I soldi in Italia ci sono, bisogna saperli chiedere e saperli spendere. Le nostre strade sono pavimentate, la rete idrica è completa, l’illuminazione decorosa, i giardini pubblici fioriti. Raschiando denaro qua e là, siamo riusciti a spendere quasi un miliardo per la scuola, in modo da avere tante aule quante ne bisognano per i cinquemila studenti e scolari della città. Enna è l’unico capoluogo italiano dove non ci siano doppi turni nelle lezioni

Il sindaco è proprietario di un bar, a cinquanta metri dalla sede del municipio. Rassomiglia molto alla sua città, è placido, mitemente borghese, è pie di sospiri, sembra sedentario ma è infaticabile, ogni mattina alle otto va a sedersi dietro la scrivania e comincia a fare i conti, riceve la gente, concede sussidi, si informa dell’autostrada per Catania, ritocca l’ennesimo piano di sviluppo industriale, telefona a tutti i deputati del circondario, cancella le spese superflue, regala diecimila lire di tasca sua agli organizzatori di una nuova festa religiosa. La sera infine va a sedere sull’uscio del suo bar, prende una granita, offre il caffè, risponde al saluto dei cittadini e controlla amorosamente la facciata del municipio.

Eravamo seduti a parlare quando venne un impiegato comunale con delle carte. Sembrava un po’ emozionato. Fra l’altro disse: «In piazza sono passate due ragazze straniere con la minigonna... avevano le cosce quasi nude!». Il sindaco che aveva fin’allora parlato dell’educazione civica ennese, si tolse gli occhiali e fissò con accorato rimprovero il suo dipendente. Poi cominciò a guardare quelle carte, ma distrattamente chiese: «E com’erano?». L’impiegato fece un cenno encomiastico e il sindaco benevolmente acconsentì. «E le Kessler?» sospirò. Sospirammo anche noi e il sindaco se ne compiacque. «L’anno scorso - continuò - le facemmo venire per due sere al castello di Lombardia. Che spettacolo! Ballarono per due ore. Gli ennesi hanno un gusto fine...». La noia! Per qualsiasi piccola città in cui metà della popolazione deve risolvere i problemi elementari dell’esistenza (il lavoro, le malattie, l’acqua nelle case) la noia è un lusso.

Per una cittadina come Enna che invece è riuscita a conservare solo quella parte sopportabile di miseria e che per il resto è umilmente soddisfatta delle sue condizioni, la noia è viceversa un amabile rovello.

La solitudine, su un picco a quasi mille metri di altitudine, provoca in quella piccola società quasi intellettuale la paura di sentirsi definitivamente esclusi, perciò l’ansia di esprimere comunque la propria validità umana, di aggrapparsi agli avvenimenti che diano gusto e tono culturale, ma che radunino anche le belle donne, ne facciano arrivare qui dalle città lontane, e rappresentino comunque un’occasione galante. Anche se essa poi resterà solo un’emozione da custodire per il resto dell’anno, per l’inverno lungo e terribile, con i venti che arrivano da tutti gli angoli dell’isola, si accapigliano gelidi sulla cima della montagna e spopolano le strade.

L’estate ennese è un incredibile susseguirsi di manifestazioni che potrebbero essere onorevolmente ospitate anche da una capitale: una stagione lirica, un festival della musica leggera con cantanti di fama europea, un premio letterario di poesia, una parata di giovani pianisti e cantanti di tutte le nazioni europee, un festival dell’operetta, i campionati di sci nautico nel lago di Pergusa, il gran premio automobilistico.

C’è un night club, con un’orchestra un po’ brutale e una cantante docile e bellina che fa morbidamente la mossa dello yéyé: le coppie vi ballano con educata compostezza, mangiano la pizza ed a mezzanotte vanno a dormire. C’è un bocciodromo alla luce dei riflettori, persino una discoteca perfettamente organizzata alla quale ogni cittadino può liberamente accedere, chiedere i dischi che gli interessano e ascoltarli finché vuole: è frequentata soprattutto da giovani ai quali è stata tuttavia imposta una singolare regola affinché si educhino all’amore per la buona musica: ogni tre dischi di Celentano o Mina dovranno ascoltare una sinfonia di Beethoven o una rapsodia di Liszt.

Anche gli stessi tentativi dei giovani sono patetici, ma continui; hanno creato un «club della cultura» nel quale si ponevano in discussione drammatici temi della civiltà contemporanea, ma molti ragazzi venivano per conoscere le ragazze, non gliene importava molto del «cinema d’essai» o di Quasimodo, ed alla fine il club si è sfasciato. Il suo presidente, avvocato Bruno Grimaldi, non se ne rammarica, il suo sogno è di metter sù una compagnia teatrale con la quale vorrebbe poi andare in tournée in tutta la Sicilia.

Anch’egli rassomiglia molto alla società in cui vive ed alle piccole ribellioni che vi covano dentro: quando la legge Merlin entrò in vigore, fece affiggere su tutti i muri della città un grande manifesto listato a nero in cui esprimeva le condoglianze dei maschi di tutto il paese.

Rischiò un processo in Assise per vilipendio al Parlamento; ora fa il penalista e non appare molto pentito di quel manifesto, ne vorrebbe fare un altro commemorativo; parla sul serio, si muove sempre mentre parla, si agita, fa continuamente progetti, sospira, recrimina, si entusiasma, dentro gli fermentano davvero tutte le piccole ribellioni di una società borghese che si sente ingiustamente esclusa dal mondo: la collera per le maldicenze della provincia, la noia delle lunghe giornate inutili, la speranza, il desiderio delle donne, le ragazze con la minigonna che vadano a ballare fino alle tre del mattino, e il teatro, ma proprio un teatro di cose strepitose da mozzare il fiato alla gente.

Probabilmente comincerà a fare politica come suo padre che è già senatore, come cento altri che hanno la sua età e il suo titolo di studio, poiché in una città nella quale il sessanta per cento della popolazione è fatta di borghesi che posseggono un titolo di studio e tutto il loro tempo a disposizione, la politica diventa una maniera di spezzare l’assedio, di esercitare le vocazioni segrete, di tentare finalmente un’evasione, anzi una conquista che in altre direzioni è impossibile. Così nella piccola sala consiliare del comune di Enna, cosiddetta Sala d’Euno, un minuscolo gioiello di architettura ottocentesca, con i banchi di noce scolpita, i seggi di velluto rosso, gli affreschi, le aquile, le tende, in questa sala coreografica ed allusiva come un palcoscenico, siedono ben cinque parlamentari.

Sono il deputato nazionale Giovanni Grimaldi, indipendente del PCI, il senatore Gino Grimaldi del Movimento sociale, l’on.le Giuseppe D’Angelo ex presidente della Regione, l’on.le Pompeo Colajanni, ex vicepresidente dell’assemblea regionale, l’on.le Michele Russo del Psi e l’on.le Paolo Lo Manto.

C’è una gentile transenna, in fondo alla sala, come le vecchie ringhiere nei saloon del Far West, e il pubblico siede là, composto e attento come a teatro, a guardarsi lo spettacolo dei suoi amministratori, con la stessa attenzione e serietà con cui ascolta un concerto sinfonico al Castello di Lombardia, o assiste alle gare di sci d’acqua sulle acque del lago. Il lago! Il mare! La domenica gli ennesi vanno giù a Pergusa, mangiano sui prati, suonano la fisarmonica, ballano fra loro, fanno la gita in barca; i giovani si spogliano e si tuffano come pietre, nuotano vorticosamente per sei o sette metri e tornano ad aggrapparsi esausti alla banchina. C’è un odore di montagna, di stoppie, zanzare grandi e innocue come passeri, che ronzano nell’aria a centinaia, saettano sul pelo dell’acqua, si fermano di colpo in aria e fanno all’amore, immobili come elicotteri.

Il mare è lontanissimo, è una fantasia azzurra che comincia dopo quelle vallate gialle; l’acqua del lago è gelida e liscia, ma gli ennesi credono all’illusione che quello sia mare, e quelle zanzare gabbiani, e quell’odore di paglia sia come l’odore delle alghe. Poiché questo è importante ed ammirevole: essi credono nelle piccole cose che hanno, la loro piccola città pulita, quell’aula comunale severa e preziosa come un parlamento, il loro minuscolo lago, il night club con la cantante yéyé, due ore di spettacolo delle Kessler, la fiducia che un giorno l’autostrada Catania Palermo arriverà alle pendici della loro montagna, e gli stabilimenti industriali, il benessere, l’università, l’odore di catrame del porto saliranno fin quassù. Ma l’autostrada è ancora lontanissima, nemmeno ai margini di quella vallata gialla, deserta e tetra come il Sahara

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