Eccoci di nuovo insieme, Europa!
Siamo alla dodicesima edizione dello European Focus!

Sono Herman Kelomees, il caporedattore di questa settimana, e scrivo da Tallinn.

Il mio paese, l’Estonia, non ha mai preso parte ai Mondiali né vinto un’importante competizione sportiva, ma per diversi mesi abbiamo dominato la classifica dell’inflazione in Ue (22,5 per cento).

L’aumento dei costi potrebbe costringere i malati e gli anziani a rinunciare alla casa di cura. Posso rammaricarmi di questa situazione, però, solo fino al momento in cui mi rendo conto di quanto le cose non possano ancora peggiorare.

In Moldavia l’inflazione è al 35 per cento, mentre gli stipendi sono circa tre volte più bassi di quelli in Estonia. Le difficoltà quotidiane dei moldavi sono aggravate dai ricatti sull’energia da parte della Russia e dai missili che colpiscono i cortili delle loro case. Mi è venuto difficile comprendere tutto ciò, soprattutto tenendo conto della situazione apparentemente disperata del mio paese.

I governi annaspano alla ricerca di una soluzione. Queste sono tutte imperfette, ma molte sono anche ingiuste ed esasperanti nei confronti della gente che ha lavorato duro per tutta la vita. L’edizione di questa settimana fornirà qualche lezione su come questo può essere evitato.

Herman Kelomees, caporedattore di questa settimana


Spese esplosive

L’insegnante di storia Andrei Luca accanto alla casa con il tetto danneggiato dall’esplosione di un missile russo

CHISINAU – Andrei Luca stava insegnando storia quando ha sentito l’esplosione del primo missile russo caduto sul territorio della Moldavia. Il suono del boato sordo era giunto da sei chilometri di distanza, da Naslavcea, il villaggio al confine settentrionale del paese con l’Ucraina. «Nel giro di mezz’ora i vicini spaventati mi hanno chiamato per dirmi che l’onda d’urto aveva rotto le loro finestre e alcune porzioni delle tegole in ceramica sul tetto di casa mia».

Sebbene quello fosse stato il primo danno diretto causato dalla guerra a riversarsi sulla Moldavia, non è stato il primo duro colpo al paese. Con la metà dell’infrastruttura energetica in Ucraina distrutta dalla guerra, Kiev si è trovata costretta a interrompere l’esportazione di energia, mentre la Moldavia ha dovuto cercare delle alternative per l’approvvigionamento di energia. Tutto ciò accade in un paese con un tasso d’inflazione al 35 per cento (il più alto in Europa dopo la Turchia) e un salario medio di appena poco più di 500 euro.

L’inflazione colpisce gli anziani ancora più duramente: la pensione statale minima è di 100 euro al mese, ma la spesa alimentare mensile ammonta a 120 euro. Questo avviene perché la regione separatista della Transnistria, supportata dal Cremlino, ha deciso di tagliare drasticamente i propri approvvigionamenti alla Moldavia. Prima forniva il 70 per cento del fabbisogno energetico della Moldavia, ora ne fornirà solamente il 27 per cento.

In seguito al bombardamento, Andrei ha dovuto spendere 270 euro di tasca propria per le bollette, soprattutto per il riscaldamento, ora alimentato grazie all’elettricità dalla Romania, che costa tre volte di più. «Questo mese passeremo alla legna e al carbone», dice.

Per assicurare il minimo indispensabile ai suoi tre bambini piccoli, Andrei tiene lezioni extra, affitta un appartamento nella capitale e lavora come pastore in due chiese evangeliche durante i weekend. «Non riusciamo a vivere esclusivamente con il nostro salario».

Liliana Botnariuc è una giornalista investigativa di RISE Moldova


Preparatevi al peggio, e subito

BUDAPEST – «Invito alla conferenza stampa del governo delle 22:30. Vi preghiamo di registrarvi entro le 22:00 di oggi». Non è affatto raro, per i giornalisti, ricevere email del genere. Ma quando le redazioni ungheresi avevano ricevuto l’invito di cui sopra, lunedì scorso, erano già le 21:46.

Concedere appena 10 minuti per registrarsi e 45 minuti per raggiungere il ministero nel bel mezzo della notte è stato una novità anche secondo gli standard del governo Orbán, per il quale è ormai diventata una consuetudine annunciare le brutte notizie all’ultimo momento.

Questa volta si è trattato della cancellazione del tetto al prezzo del carburante, ma dall’abolizione delle tasse all’aumento dei costi delle utenze domestiche, spesso, gli ungheresi hanno appena un giorno o qualche minuto per prepararsi. Non c’è da stupirsi se Gergely Gulyás, il capo dell’Ufficio del premier che indice conferenze stampa settimanali, è oggetto di numerose beffe.

Gli ungheresi lo sanno che la risata è la miglior medicina, ma stavolta si chiedono: fra quanto tempo questo scherzo smetterà di far ridere?

Viktória Serdült è una giornalista di HVG 


Scuola e sanità sotto pressione

(Un'insegnante che protesta a novembre nella catena umana a Budapest. Foto Francesca De Benedetti)

ROMA - A novembre ero a Budapest durante una catena umana di insegnanti. Erano lì per impedire gli attacchi all’istruzione che il governo Orbán porta avanti in modo subdolo. Gli stipendi sono tenuti a livelli molto bassi. Un docente giovane in Ungheria può guadagnare persino meno di 500 euro al mese, mentre l’inflazione nel paese a novembre è arrivata al 22,5 per cento.

Nel Regno Unito un insegnante può guadagnare anche sei volte il suo collega ungherese, eppure il ritornello è incredibilmente somigliante: pure quando ero a Edimburgo, erano in corso scioperi. Gli insegnanti britannici hanno rifiutato un aumento del 5 per cento dei loro stipendi: visto che nel frattempo l’inflazione era all’11 per cento, quell’aumento in realtà sarebbe stato «un taglio», ha detto il loro sindacato. Ed è proprio questo il punto. Mentre il costo della vita aumenta, nel frattempo i governi abbandonano la scuola e la sanità, che sono il nostro bene comune e un investimento per la collettività.

Già durante la crisi finanziaria, il welfare è finito sotto attacco. Poi c’è stata la pandemia, e il mio paese era l’epicentro. Eppure non abbiamo imparato la lezione: la sanità pubblica continua a essere bistrattata. Quando Giorgia Meloni ha annunciato la manovra, i dottori hanno dato l’allerta: i fondi assegnati risultano ancor più inadeguati, se si pensa che su due miliardi di euro, ben 1,4 finirà bruciato per coprire gli aumenti dei costi dell’energia nelle strutture sanitarie. I dottori arrivano a prevedere che un terzo di loro abbandonerà il sistema sanitario pubblico.

Davvero vogliamo che i dottori, che ci salvano la vita, e gli insegnanti, che si dedicano con passione al loro mestiere, siano umiliati in questo modo? O persino che si vedano costretti a lasciare il lavoro? Io no, e voglio dar loro voce con il nostro Focus: le loro storie ci riguardano, a noi come europei. Anche con questa crisi si ripeterà il solito schema? I governi scaricheranno i costi sui più deboli e lasceranno che sia il welfare, che sia la collettività, a pagarli?

Come la poeta Audre Lorde scriveva, «quando parliamo temiamo che nessuno ascolti la nostra voce, o che le nostre parole non siano ben accolte; ma se stiamo zitti, restiamo in balìa della paura. Dunque, io dico: meglio parlare».

Francesca De Benedetti, redazione Europa ed Esteri di Domani


Il numero della settimana: 22,5%

TALLINN – È stato del 22,5 per cento il tasso d’inflazione in Estonia in ottobre. Si tratta del valore più alto nell’eurozona, dove nel complesso dell’area euro ha raggiunto il 10,6 per cento.

Benché sia possibile tagliare alcuni costi, ci sono delle spese che le persone devono accettare. Le case di riposo stanno aumentando i propri prezzi. «Io non posso pagare 300 euro in più», ha detto Kristel al quotidiano Eesti Päevaleht.

Le amministrazioni locali estoni inizieranno ad ammortizzare alcune spese sanitarie, ma non prima di luglio.

Dal momento che le pensioni coprono solamente una parte di questi costi, le persone con dei parenti nelle case di riposo potrebbero dover ricorrere a dei prestiti o a un secondo lavoro per far fronte alle spese.

Greete Palgi, giornalista di Delfi e Eesti Päevaleht


E se imparassimo dal modello belga?

Protesta del movimento Trop is te Veel (Troppo è Troppo) contro il costo della vita e l’aumento dei prezzi dell’energia. Valeria Mongelli / Hans Lucas

PARIGI - Mentre il potere d’acquisto precipita in tutta Europa, gli stipendi in Belgio continuano a salire. Ciò avviene perché gli stipendi degli impiegati statali e dei lavoratori del settore privato sono indicizzati in funzione del tasso d’inflazione. Lo stesso vale per le pensioni e l’assistenza sociale. Ogni primo gennaio, oppure quattro o cinque volte all’anno, a seconda dell’industria o del settore, i salari aumentano in base al cosiddetto “indice di salute rettificato”. Quest’ultimo si calcola in maniera leggermente differente dall’inflazione, poiché esso non tiene conto del prezzo dell’alcol, del tabacco o della benzina.

L’indicizzazione degli stipendi in funzione del tasso d’inflazione è stata introdotta gradualmente all’inizio del ventesimo secolo. È sopravvissuta ai cambiamenti nel mercato del lavoro, alla globalizzazione e alle crisi energetiche che hanno portato i vicini del Belgio ad abbandonare sistemi simili.

Il Belgio è l’unico paese in Europa, insieme al Lussemburgo, a fare uso di un regime del genere. Durante ogni crisi economica torna a galla sempre lo stesso dibattito: questo meccanismo dovrebbe essere modificato? I datori di lavori in Belgio chiedono sistematicamente un congelamento dell’indicizzazione automatica, sostenendo che tale procedimento li penalizzerebbe rispetto ai loro colleghi dei paesi vicini.

Ad oggi, con un’inflazione che supera il 12 per cento, ovvero con il tasso più alto dal 1975, le organizzazioni imprenditoriali vogliono istituire un tetto massimo di guadagno, oltre il quale l’indicizzazione verrebbe ridotta o abolita. D’altro canto, il 73 per cento del belgi è convinto che tale meccanismo sia insufficiente a causa dell’esplosione dei costi dell’energia, come si evince da un sondaggio del quotidiano belga Le Soir.

Tuttavia, i risultati del sistema belga sono sotto gli occhi di tutti. Secondo le previsioni della Banca del Belgio, il potere d’acquisto dei belgi dovrebbe crescere dello 0,3 per cento nel 2022. In confronto, quello dei vicini Paesi Bassi crollerà del 6,8 per cento.

Nelly Didelot fa parte della redazione Esteri di Libération


(Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Marco Valenti)

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