Eccoci di nuovo insieme, Europa!
Siamo alla tredicesima edizione dello European Focus!

Sono Teresa Roelcke, la caporedattrice di questa settimana, e scrivo da Berlino.

Benvenuti all’ultimo numero di quest’anno, con il quale vi diamo gli auguri e vi promettiamo di ritrovarci nel 2023, come sempre il mercoledì, con l’edizione dell’11 gennaio.

Mi chiedevo: ma voi, state festeggiando qualcosa? E se sì, cosa?

Se penso alla nostra squadra paneuropea che lavora allo European Focus, posso dirvi questo: anche senza averlo chiesto esplicitamente, so già che almeno due colleghi non festeggeranno il Natale. Per gli altri pare sia il periodo più stupendo dell’anno.

È necessario che le società condividano le celebrazioni religiose? Cosa succede se alcuni membri di queste società non lo fanno?

La questione del come e del quanto le feste religiose debbano essere visibili in pubblico è stata al centro di lotte politiche negli ultimi anni. Tuttavia, si può anche immaginare una società in cui l’apertura alle cerimonie di religioni diverse può essere edificante per tutti, come ci rivela il nostro collega dal Regno Unito.

Alla fine, la domanda che potrebbe sorgere è: come facciamo a trovare un punto d’incontro nelle nostre società? Le celebrazioni religiose dovrebbero costituire una fonte di gioia, forza e felicità per coloro che vi prendono parte, ma festeggiare o non festeggiare deve essere sempre una decisione individuale.

Teresa Roelcke, caporedattrice di questa settimana


La storia del presepe francese senza Gesù bambino

Il presepe allestito presso il municipio di Beaucaire, senza Maria, Giuseppe né Gesù bambino. Foto: Mairie de Beaucaire

PARIGI – Riuscite a  immaginare un presepe senza Maria, senza Giuseppe, e addirittura senza Gesù bambino? È quello che sta succedendo nel piccolo comune di Beaucaire, perché il sindaco vuole aggirare una legge francese sulla laicità vecchia di cento anni. Vieta l’istallazione di simboli religiosi – come ad esempio un neonato in una mangiatoia – negli edifici pubblici, al fine di garantire la neutralità del servizio pubblico.

Dopo essere stato condannato in diverse occasioni, quest’anno il comune ha deciso di installare il presepe all’interno del municipio, ma senza i suoi personaggi principali. «Ci denunciano tre o quattro volte all’anno per questa bellissima manifestazione culturale. Ma che concezione delle priorità hanno queste persone?», protesta il sindaco. «Queste persone» è di fatto la prefettura; i rappresentanti dello stato francese regolarmente trascinano in tribunale il comune di Beaucaire per non aver rispettato la laicità.

Dal momento della loro elezione meno di dieci anni fa, una nuova ondata di sindaci di estrema destra ha deciso di trasformare il presepe in un campo di battaglia, installandolo nei propri municipi.

Ai loro occhi non si tratta di un simbolo religioso, bensì di una tradizione culturale.

Anche la loro visione della laicità è piuttosto flessibile.

Sono i primi a difenderne ardentemente la neutralità quando bisogna opporsi alla costruzione di una moschea, ma allo stesso tempo non esitano a violarla quando si tratta della tradizione cristiana.

Robert Ménard, il sindaco di Béziers che ha dato inizio alla tendenza di allestire il presepe nei municipi, non è stato condannato solamente per non aver rispettato la laicità. È stato anche dichiarato colpevole di incitazione all’odio nel 2017. La ragione? Aveva detto che ci sono troppi bambini musulmani nelle scuole della sua città.

Questa ossessione per i presepi non ha origine da un semplice amore per lo spirito natalizio, come alcuni sindaci di estrema destra vorrebbero farci credere. Fa parte invece di un vero e proprio programma politico xenofobo e islamofobo.

Nelly Didelot fa parte della redazione Esteri di Libération


La crociata natalizia di Meloni

ROMA – Sia chiaro: l’Unione europea non ha mai davvero provato a cancellare il Natale. Questa era semmai una interpretazione fake diffusa dalla destra italiana. Nel nome della tradizione (e della propaganda), Giorgia Meloni ha condotto una crociata contro Ursula von der Leyen.

I fatti risalgono allo scorso inverno, quando la leader di Fratelli d’Italia non era ancora premier. «Ora basta!», ha tuonato in un tweet, rivolgendosi alla presidente della Commissione europea. «La nostra storia e la nostra identità non si cancellano!».

Ma davvero la cristianodemocratica tedesca voleva profanare il Natale? No. Bruxelles non ha mai cercato di spazzar via il Natale. La Commissione europea aveva semmai abbozzato delle linee guida «per la comunicazione inclusiva» a uso interno, nelle quali indicava ai funzionari di «evitare di dare per scontato che tutti siano cristiani. Non tutti celebrano le festività cristiane. Abbiate un po’ di tatto per il fatto che la gente ha tradizioni religiose – e calendari – diversi: meglio riferirsi alle vacanze (holiday times) che al Natale (Christmas time)».

Ad ogni modo il putiferio nostrano ha avuto conseguenze europee: dopo che la destra italiana ha lanciato la sua campagna contro «il politicamente corretto», la Commissione ha ritirato quelle linee guida.

Francesca De Benedetti si occupa di Europa ed Esteri per Domani


La guerra al Natale è un diversivo dell’alt-right

Lorenz Blumenthaler

BERLINO – Lorenz Blumenthaler si occupa di comunicazione per la Fondazione Amadeu Antonio, che lotta contro l’estremismo di destra, razzismo e antisemitismo in Germania.

Negli ultimi anni, in Germania ha infuriato il dibattito sulla denominazione di alcuni mercatini che aprono durante il periodo delle feste invernali. Perché questi mercatini di Natale, che difficilmente costituiscono un simbolo religioso, hanno acceso una vivace discussione?

C’è una certa narrazione di destra che si riaccende ogni hanno, secondo la quale ci sarebbe una «guerra al Natale», condotta da una presunta «islamizzazione» dell’Occidente. Ciò si esprimerebbe nella ridenominazione, nell’abolizione o nella sostituzione di «tradizioni» comuni, e ciò a sua volta rappresenterebbe un gesto di sottomissione a quella stessa «islamizzazione».

Tuttavia, si tratta di una narrazione complottista e antislamica, utilizzata principalmente per fomentare la paura nei confronti dei musulmani in Germania.

Da dove è venuta fuori questa narrazione?

L’origine si può far risalire agli Stati Uniti. All’inizio del Ventesimo secolo Henry Ford, magnate dell’industria automobilistica, diffondeva pubblicazioni antisemite secondo le quali le tradizioni di Natale sarebbero state limitate dagli ebrei.

Il dibattito moderno è stato portato avanti principalmente dall’alt-right americana. A partire dal 2004, è stato il conduttore della Fox News Bill O’Reilly a tirare fuori la questione, mentre il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ripreso questa narrazione durante la sua campagna del 2015.

La «guerra al Natale» ha trovato terreno fertile tra la destra tedesca.

Ogni anno, in particolare, i membri di AfD (Alternative für Deutschland), partito di estrema destra, cercano di suscitare lo scandalo con la storia di presunte campagne di ridenominazione.

Ai loro occhi la Germania è ormai perduta quando i discount vendono «decorazioni invernali» invece delle «decorazioni natalizie». Se si dovesse prendere sul serio questa storia, si trarrebbe l’impressione che l’autoproclamato «Occidente giudeo-cristiano» venga difeso prioritariamente su un fronte: quello dei calendari dell’Avvento.

L’unico scopo di questi falsi fermenti è quello di fomentare gli animi contro i musulmani.

La discussione sulla presunta «guerra al Natale» non è stata rilevante quest’anno. Perché?

Inflazione, pandemia globale, guerra d’aggressione Russa, crisi energetica e profughi dall’Ucraina, a cosa ci serve la «guerra al Natale» quando abbiamo tutto questo? Probabilmente queste crisi e queste problematiche hanno offerto una base sufficiente per diffondere l’ideologia ostile e razzista.

Farangies Ghafoor si occupa di società e di data journalism per Tagesspiegel


Il numero della settimana: 80 decibel

SKOPJE – La Macedonia del Nord ha la fortuna di avere delle bellissime chiese ortodosse e moschee. Ma, a volte, in questo paese laico la religione può invadere troppo prepotentemente lo spazio pubblico.

Una croce ortodossa di 66 metri domina sulla capitale Skopje. Costruita nel 2002 per segnare il passaggio di due millenni di cristianità, in alcuni la croce instilla un senso di orgoglio, ma per altri è un chiaro esempio di megalomania, inclusi molti dei musulmani che vivono a Skopje.

Anche la seconda religione più diffusa, l’Islam, ha attirato alcune critiche. C’è chi si è lamentato del rumore che proviene dagli altoparlanti delle moschee. Le mie rilevazioni hanno raggiunto lo sconcertante valore di 80 decibel durante le preghiere pomeridiane a Čair, uno dei comuni che compongono Skopje. Il limite legale di rumore consentito è di appena 45 decibel.

Siniša-Jakov Marusic è un giornalista di Balkan Insight


Più feste per tutte le religioni nel Regno Unito

Indicazioni per una sala di preghiera per diverse religioni presso l’aeroporto di Londra-Heathrow. Foto: Jyri Engestom

LONDRA – «Ho un messaggio per Liz Truss… Noi lavoriamo duramente. Lavoriamo più a lungo di tutti in Europa», ha detto a ottobre ai suoi ascoltatori Frances O’Grady, la segretaria generale del Trade Union Congress (TUC), che è la confederazione dei sindacati. O’Grady si riferiva al commento fatto dall’ex premier del Regno Unito, secondo cui i lavoratori britannici avrebbero bisogno di lavorare «più duro»; il commento in questione era trapelato con un leak audio finito sulla pubblica piazza.

Rispetto ai loro colleghi europei, i lavoratori britannici godono di meno giorni festivi, che sono conosciuti come bank holidays poiché in origine spettavano esclusivamente agli impiegati delle banche.

O’Grady e altri dirigenti sindacali hanno chiesto ulteriori bank holidays per premiare i lavoratori britannici, il che, se combinato con i dati del censimento 2021 forniti dall’ufficio per le statistiche nazionali, lascia intravedere anche delle opportunità. I dati mostrano che per quel che riguarda etnia e religione il Regno Unito ha una grande diversità. Visto il ricco melting pot britannico, i lavoratori di tutte le fedi dovrebbero avere le stesse opportunità di celebrare con le proprie famiglie le proprie feste religiose, dal Ramadan al Diwali, dalla Chanukkà al Vaisakhi, così come i cristiani festeggiano le proprie.

Dal momento che tutti i lavoratori britannici – che siano credenti oppure no –  hanno bisogno di più giorni festivi, questi periodi potrebbero essere sfruttati per imparare di più sulle diverse comunità presenti in Gran Bretagna, come avviene durante il Mese della storia dei neri.

Un altro elemento che potrebbe consolidare uno scenario del genere è il ruolo della monarchia, dal momento che re Carlo III non solo ha ereditato la posizione della regina quale capo della Chiesa anglicana, ma, allo stesso tempo, si è proclamato “Difensore delle fedi” già nel 1994, e riconoscerà tutte le confessioni durante la sua incoronazione a maggio 2023.

In un periodo in cui le divisioni sono profonde e le tensioni sociali sono sempre più forti, concedere a tutti gli abitanti del Regno di passare del tempo con le proprie famiglie, e nel frattempo di condividere e imparare qualcosa sulle altre comunità, renderebbe omaggio al caleidoscopio di culture, religioni e tradizioni che costituiscono il Regno Unito di oggi.

Angelo Boccato è un giornalista freelance che vive a Londra, ha scritto per la Columbia journalism review e l’Independent 


(Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Marco Valenti)

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