Eccoci di nuovo insieme, Europa!
Siamo alla ventiquattresima edizione dello European Focus!
Sono Holger Roonemaa, caporedattore di questa settimana, e scrivo da Tallinn.
I giornalisti non sono soliti parlare di sé, o della propria professione. Ma le circostanze ci impongono di farlo.
A inizio marzo fa la polizia ha fatto visita alla redazione di Domani, partner italiano dello European Focus. Lo scopo di questa mossa sembra essere stato quello di intimidire i reporter e convincerli a rinunciare alle indagini su alcuni argomenti scomodi per il governo.

Ciò fa parte di uno schema. La libertà di stampa e la sicurezza dei giornalisti si trovano spesso sotto attacco, anche in paesi che hanno una democrazia funzionante. Basti pensare al caso della BBC che ha tentato di zittire Gary Lineker.
Ma nessuna democrazia può funzionare senza dei mezzi di comunicazione veramente liberi.
Persino qui in Estonia, che nel 2022 si è ritrovata al quarto posto nella classifica dell’indice della liberà di stampa, i giornalisti sono vittime di abusi. L’anno scorso la procura ha tentato di multare i giornalisti, a meno che questi non avessero ricevuto dai procuratori il permesso di scrivere di alcuni fatti in particolare.
Spero che la nostra proposta di contenuti contemperi bene i problemi ma anche le responsabilità della stampa.
Holger Roonemaa, caporedattore di questa settimana


Le idee sotto sequestro

Claudio Durigon. Foto LaPresse

ROMA - Il 3 marzo i carabinieri sono entrati in redazione per fare qualcosa di davvero inusuale: sequestrare un articolo. Nello specifico, un articolo che faceva riferimento al sottosegretario Claudio Durigon.
Gli autori - Giovanni Tizian e Nello Trocchia - sono stimati reporter che indagano le collusioni tra politica e crimine organizzato. Entrambi sono sotto protezione. Ed è questo che ci si aspetta quindi dalle autorità italiane: che tuteli il loro lavoro. Invece lo hanno sequestrato. “Un’esperienza surreale” per Mattia Ferraresi, caporedattore di Domani. Il fatto è che Durigon ci ha querelati per quell’articolo che non ha neppure provveduto ad allegare alla sua querela. Il pezzo era pubblico, era online.
“Non c’era alcuna necessità che venissero i carabinieri, la natura di questa operazione è intimidatoria”, dice il segretario generale della Federazione europea dei giornalisti (Efj) Ricardo Gutiérrez.
Questa sul caso Durigon è già la seconda allerta in pochi mesi che Gutiérrez si ritrova a stilare in relazione a Domani: lo scorso autunno si è trattato di denunciare l’attacco legale di Giorgia Meloni in persona nei confronti di direttore e vicedirettore del giornale.
Sono “Slapp” governative, querele temerarie per silenziare i giornalisti. “Ogni volta che scriviamo di Durigon, ci querela”, dice Trocchia. “Lo ha già fatto otto volte”.
Quando i carabinieri sono venuti, quel 3 marzo, Tizian era sulla strada per la redazione. Trocchia gli ha telefonato: “Vieni, ci sono le forze dell’ordine”. E il primo pensiero di Tizian è stato quello di proteggere le fonti: “Non fargli prendere i computer!”.
Dopo quell’episodio, una coalizione di organizzazioni per la libertà dei media ha lanciato un’allerta su scala europea. I gruppi progressisti dell’Europarlamento (S&D, verdi, sinistra, Renew) hanno espresso il loro supporto, e l’eurodeputata Sophie in’t Veld ha fatto un’interrogazione sul caso per sollecitare la Commissione Ue.
Il 15 marzo, il procuratore di Roma ha dichiarato che il sequestro dell’articolo è un atto improprio e non valido. Il che mi ha fatto proprio pensare a quanto è stata importante la mobilitazione europea per condannarlo.
Francesca De Benedetti scrive di Europa ed Esteri a Domani


711 giorni di cattura

Il giornalista Olivier Dubois il 21 marzo, giorno della sua liberazione. Foto Denis Allard/Libération

PARIGI - Il giornalista francese Olivier Dubois, che lavora per il mio stesso quotidiano, Libération, è stato liberato il 20 marzo dopo 711 lunghi giorni di prigionia.
711 giorni dopo il suo rapimento da parte del Gruppo d’Appoggio all’Islam e i Musulmani (Jnim, in arabo) durante un suo reportage da Gao, nel nord del Mali.
711 giorni in cui è stato tenuto in ostaggio da qualche parte nella regione del Sahel.
711 giorni durante i quali è stato l’unico ostaggio francese noto del mondo.
711 giorni durante i quali questo padre di due figli ha sentito la mancanza della propria famiglia, dei propri amici e dei propri colleghi.
711 giorni durante i quali il giornalismo ha sentito la sua mancanza.
711 giorni di silenzio, di paura e di speranza.
711 giorni di troppo.
Léa Masseguin fa parte della redazione Esteri di Libération

Qual è la tua impressione su questo tema? Ci piacerebbe riceverla, alla mail collettiva info@europeanfocus.eu se vuoi mandarcela in inglese, oppure a francesca.debenedetti@editorialedomani.it
Al prossimo mercoledì! Francesca De Benedetti


Quanto è privato il dolore in guerra?

Alina Mykhailova davanti alla tomba del suo fidanzato, il soldato Dmytro Kotsyubailo (questa foto è stata condivisa da Alina online, il che significa che non è contraria al suo utilizzo pubblico). Foto: Chiesa greco-cattolica ucraina.

KIEV – Un momento dopo lo scatto di questa foto, la donna stretta in un abbraccio al centro dell’immagine è scoppiata in lacrime. Le sue gambe hanno ceduto ed è crollata a terra, travolta dal dolore.

Lei è Alina Mykhailova, fidanzata del militare ucraino Dmytro Kotsyubailo. Conosciuto con il nome di battaglia Da Vinci, era uno dei giovani ufficiali più talentuosi e rispettati dell’esercito. È stato recentemente ucciso in una battaglia nei pressi di Bakhmut. Durante il suo funerale, il 10 marzo, il presidente dell’Ucraina, il comandante in capo, il ministro della Difesa e migliaia di altri ucraini si sono inginocchiati in segno del loro massimo rispetto.

I fotografi hanno immortalato a lungo la scena, e le immagini della donna dal cuore spezzato sono diventate virali. Questo fatto ha dato vita a una discussione nella società ucraina: quanto è etica la diffusione al pubblico dei momenti psicologicamente ed emotivamente difficili di una persona che si trovi nella posizione di Alina? Alcuni dicono che Alina è una vittima e il suo diritto alla privacy è sacro. Altri, tra cui spesso ci sono i giornalisti, insistono sul fatto che questa è una guerra e che simili espressioni di dolore ne costituiscono un lato significativo. Mostrarlo al mondo è giusto e addirittura necessario.

«Guardo queste immagini, e dentro di me sento che gli ucraini esistono e io faccio parte di loro. La donna nella foto trasforma tutti noi in un corpo sociale, vivo e pulsante», ha scritto la curatrice d’arte Olena Chervonyk in un articolo molto letto. «È possibile alimentare la propria ucrainità in altri modi. Una persona ha diritto alla vita e alla morte, diritto che deve essere essere rispettato persino in circostanze del genere», ha risposto l’avvocatessa Larysa Denysenko. «Questo non è il mio dolore, non è il mio trauma, non è il mio spazio privato».

Alina Mykhailova è anche una politica e una soldatessa, e probabilmente ha il proprio punto di vista sulla questione. Ma non l’ha ancora condiviso, dal momento che ha passato lunghe ore ogni giorno davanti alla tomba di Dmytro.

Anton Semyzhenko è il redattore della sezione in lingua inglese di Babel.ua 


La solita messa di Orbán

BUDAPEST - Cosa può fare un giornalista se negli ultimi 13 anni il premier non ha rilasciato interviste alla stampa indipendente? Può tentare di avvicinarlo quando esce dalla messa.
E cosa dice un primo ministro quando vede tale reporter che gli si avvicina? «Ehi, ma non vedi che sto uscendo dalla chiesa?».
Proprio questa è la risposta che Viktor Orbán ha dato a un noto giornalista. Ed è diventata immediatamente un meme, che ormai serve a ironizzare su qualsiasi cosa, dalla corruzione nel paese agli attacchi alla libertà di stampa.
«Ehi, ma non vedi che sto uscendo dalla chiesa?».
Avvicinare qualcuno dopo la messa può sembrare sgarbato, ma il punto è che i giornalisti ungheresi indipendenti non hanno altra scelta. Per i reporter che non sono allineati con il partito al governo, l’orbaniano Fidesz, la realtà di tutti giorni è questa: non siamo invitati alle conferenze stampa; non riceviamo risposte alle nostre domande.
Alcuni di questi giornalisti indipendenti sono pure stati bersagliati con il software di sorveglianza Pegasus. Se vi state chiedendo come si possa giustificare una cosa simile, allora ecco come l’ha argomentata il direttore politico della presidenza del Consiglio: «Chi controlla i media controlla il paese».
Bè, posso dire che c’è almeno una cosa che il governo Orbán non è riuscito a imbrigliare: quel meme, l’umorismo, e il nostro diritto di satira.
Viktória Serdült fa parte della redazione di HVG


Cosa sono davvero i media di stato

BERLINO – I giornalisti tedeschi sono regolarmente bersaglio di insulti, e ad attaccarli sono principalmente gli attivisti di destra: accusano i reporter in Germania di rappresentare «i media di stato».

Ma la verità è che nel mio paese la maggior parte delle persone non ha la più pallida idea di come funzionino veramente dei media di stato.

Tre anni fa mi trovavo a Roma dove ho speso due mesi a lavorare in campo giornalistico per un esempio autentico di una stampa di questo tipo: Vatican News. Si tratta di un portale online di proprietà del Vaticano che diffonde in tutto il mondo informazioni sulle attività del papa, sul Vaticano e sugli insegnamenti cattolici.

Quando ero una studentessa alla ricerca di un tirocinio, credevo che Vatican News sarebbe stato un luogo interessante dove poter imparare il mestiere che avevo scelto.

E devo dire che interessante lo è stato di sicuro. Tuttavia, non ho imparato molto sulle tecniche giornalistiche, quanto piuttosto sui limiti che un giornalista può trovarsi a dover affrontare.

Non c’è da sorprendersi se il mio reportage sul funzionamento della Congregazione per la dottrina della fede non è arrivato molto lontano. Si tratta dell’organo che è succeduto all’Inquisizione, e che ha la responsabilità di mantenere la purezza della dottrina cattolica.

Una discussione dietro le quinte con uno dei preti che lavorano per la Congregazione c’era stata, ma mi ha fornito ben poche informazioni utili.

Quando, in seguito, ho inoltrato una domanda su un’indagine in corso relativa alla verifica di un’apparizione della Madonna, ho ricevuto un’ammonizione, che più o meno stava a significare che io, una tirocinante di uno dei media del Vaticano, avrei dovuto sapere dai miei colleghi che non dovevo occuparmi di questioni così controverse.

Ciò che mi sembrava sorprendente era il fatto che c’erano interessi diplomatici tangibili della Santa Sede che dovevamo prendere in considerazione nella nostra attività giornalistica. Violazione dei diritti civili in Cina? Questione complessa.

Il papa ha tentato di negoziare con la Cina per ottenere una migliore protezione dei cattolici in Cina, riconosciuti come membri di una sorta di Chiesa “ufficiale” da parte dello stato cinese. Per non compromettere l’esito di questi negoziati, i capi della stampa ci avevano detto di evitare la critica nei confronti della Cina.

Ciò mi era sembrato dovuto a una valutazione piuttosto mondana.

Di ritorno in Germania, mi sono sentita sollevata dal fatto che, finalmente, mi era permesso di dedicarmi di nuovo al sacro obiettivo del giornalismo critico.

Teresa Roelcke reporter di Tagesspiegel


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Al prossimo mercoledì! Francesca De Benedetti


(Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Marco Valenti)

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