Eccoci di nuovo insieme, Europa!
Siamo alla trentaduesima edizione dello European Focus!
Sono Herman Kelomees, il caporedattore di questa settimana, e scrivo da Tallinn.
Il razzismo deve sparire, è quindi arrivato il momento di scegliere.
Il calcio è principalmente uno sport, ma è anche politica. Lo stesso vale anche per altri sport seguiti a livello globale, come il tennis o il basket. In teoria non dovrebbe essere così, ma non appena un tifoso urla un insulto razzista dalle tribune, il resto della comunità sportiva non ha altra scelta che fare una scelta.
Anche non dire o fare nulla è una scelta. Anche se è passivo, un gesto ha una valenza politica.
Se pensate che basti non far nulla - tra gli spalti di uno stadio o in generale - allora non avete ancora realizzato che le mezze misure non bastano, per combattere il pregiudizio. Io l'ho capito anche dal confronto coi miei colleghi, e probabilmente arriverete alla stessa conclusione. Cosa vogliamo davvero fare?
Herman Kelomees, caporedattore di questa settimana


IL CRYSTAL PALACE VIETA L’INGRESSO AL RAZZISTA

Manifestazione antirazzista a Manchester. Foto Dunk via Flickr (CC BY 2.0).

LONDRA - Il razzismo nel mondo del calcio britannico potrebbe non sembrare così diffuso come lo è in Italia o in Spagna, ma questo non vuol dire che certi pregiudizi contro i calciatori appartengano al passato del paese.Gli attacchi rivolti ai giocatori inglesi Marcus Rashford, Jadon Sancho e Bukayo Saka dopo la sconfitta della loro nazionale durante la finale degli europei del 2020 erano solo la punta dell’iceberg.
Di recente, durante una partita contro il Crystal Palace, l’attaccante del Tottenham e capitano della nazionale della Corea del Sud, Son Heung-Min, è stato vittima di un gesto razzista da parte di un tifoso del Palace.
Certo, una notevole differenza tra l’Inghilterra e Italia o Spagna c’è: nel caso inglese entrambe le squadre hanno condannato l’insulto, con il Crystal Palace che ha vietato al tifoso l’accesso alle future manifestazioni sportive, mentre la polizia ha dato il via a un’indagine. La Federazione calcistica inglese e le squadre di calcio del Regno Unito si esprimono attivamente nel condannare e svolgere indagini sugli abusi razziali, a differenza di molti altri paesi europei.
In una semifinale di Coppa Italia tra Inter e Juventus dello scorso aprile, l’attaccante del Milan Romelu Lukaku è stato attaccato con dei cori razzisti da una parte dei tifosi della Juventus, e ha risposto intimando con un gesto alla folla di tacere; in risposta, l’arbitro lo ha mandato via, mentre la federazione ha sospeso il calciatore belga, decisione in seguito annullata.
La Spagna ci racconta una storia ugualmente spiacevole. L’ala del Real Madrid, Vinícius Júnior, durante uno scontro nel mese scorso ha subìto degli abusi da parte dei tifosi del Valencia, squadra avversaria nella Liga, e ha minacciato di abbandonare il campo. Un problema generale nei due paesi del sud Europa è la mancanza di una condanna organizzata del razzismo, che rimane ancora isolato e praticato da una minoranza di tifosi.
Una condanna piena va oltre le singole azioni delle autorità, che mettono in pratica leggi contro la discriminazione razziale nei social media e nella cultura sportiva, all’istruzione, a media consapevoli e a un cambiamento di mentalità, con organizzazioni come Kick it Out e Show Racism the Red Card che monitorano e condannano gli abusi nel Regno Unito. Il razzismo non è sparito dal calcio inglese, ma il paese può insegnare una lezione che altre federazioni europee potrebbero seguire.
Angelo Boccato è un giornalista freelance di stanza a Londra, ha scritto per CJR e The Independent


IL NUMERO DELLA SETTIMANA: 30MILA

BUDAPEST - L’estate scorsa 30mila ambini hanno assistito allo scontro di Uefa Nations League tra Ungheria e Inghilterra alla Puskás Arena di Budapest.
L’evento si sarebbe dovuto svolgere a porte chiuse come punizione impartita alla nazionale ungherese per i cori razzisti dei suoi tifosi, ma la Uefa ha consentito l’accesso ai bambini sotto i 14 anni, molti dei quali hanno fischiato la squadra inglese che si è inginocchiata prima della partita.
Per gli ungheresi questo gesto contro il razzismo è controverso. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha persino definito una "provocazione” lo spingere gli atleti a inginocchiarsi.
Ma pochi mesi dopo Orbán ha fatto infuriare la Romania e l’Ucraina durante una partita di calcio tra Ungheria e Grecia, indossando una sciarpa con una mappa della “Grande Ungheria” in cui erano inclusi i territori ceduti dall'allora Impero dopo la prima guerra mondiale.
Il primo ministro ha giustificato le proprie azioni dicendo che il calcio non è politica. Tranne, ovviamente, quando l’Ungheria viene provocata.
Viktória Serdült è una giornalista di HVG


GLI ATTACCHI A VINÍCIUS JÚNIOR CI DICONO CHI SIAMO

Manifestazione contro il razzismo. Foto EFE

MADRID - Se non vivete in Spagna, probabilmente non sapete che una delle principali caratteristiche degli spagnoli è che ci odiamo a vicenda. Mentre i francesi hanno il loro sciovinismo e il Regno Unito ha ancora nostalgia per il bottino del suo vecchio impero, gli spagnoli continuano a flagellarsi. Ma è in corso una tendenza revisionista che prova in qualche modo a scuotere questo auto-sabotaggio spirituale. È in questo contesto che giunge l’insulto razzista contro l’ala del Real Madrid, Vinícius Júnior.
Un rapido riassunto: il 21 maggio, durante una partita della Liga contro il Valencia, Vinícius Júnior è stato vittima di insulti razzisti da parte dei tifosi del Valencia. Questo incidente ha scatenato una discussione più ampia sul razzismo all’interno della Liga.
In Spagna ci sono stati molti – seppur sporadici – attacchi razzisti contro i calciatori neri. Ma il caso di Vinícius Júnior, per via della sua popolarità e di quella del Real Madrid, ha raggiunto la stampa straniera. È stato allora che sono iniziati i problemi.
La Spagna deve riflettere sui propri atteggiamenti razzisti. È un dato di fatto. Il suo razzismo non è necessariamente rivolto contro i neri – che costituiscono il 2,4 per cento della popolazione – ma soprattutto contro altre minoranze, come gli arabi, i rom o gli autoctoni latinoamericani.
Gli spagnoli non si considerano razzisti, ma le prove dimostrano il contrario.
Quando abbiamo sentito dalla stampa britannica che la candidatura della Spagna a ospitare i mondiali (con il Portogallo e l’Ucraina) potrebbe essere in pericolo per via di quell’episodio, la reazione è stata clamorosa. Siamo stati messi davanti allo specchio, e questo non ci è piaciuto. I britannici, quelli che hanno sterminato gli indigeni nordamericani, quelli che hanno ucciso migliaia di persone in India... si permettono di dirci che siamo razzisti?
Ci siamo concentrati sul “come” la Spagna fosse stata rimproverata senza analizzare il “perché”.
Capisco che non vogliamo che gli altri ci dicano cosa dobbiamo fare, ma la domanda sussiste: c’è posto per il razzismo nella società spagnola? Dovremmo prestare ascolto alle nostre comunità spagnole di neri, di rom e di arabi, e forse resteremo sorpresi.
Alicia Alamillos scrive di Esteri per El Confidencial


COSÌ PICCOLI E GIÀ COSÌ ARRABBIATI

TALLINN - “I genitori della squadra di basket maschile di 12 anni sono preoccupati perché le nuove uniformi ordinate da poco non sono ancora arrivate”, ha scritto Lugejakiri, un sito estone di notizie satiriche. L’articolo era accompagnato da una foto delle presunte nuove uniformi: le famigerate tuniche bianche del Ku Klux Klan.
Come è ovvio, i genitori non avevano ordinato uniformi del genere. La notizia fittizia è stata scritta come reazione a un evento imbarazzante in cui una squadra giovanile finlandese di basket si è ritirata dal torneo per via degli insulti razzisti indirizzati dai loro avversari estoni contro i loro giocatori neri e asiatici.
L’incidente ha attirato l’attenzione dei media in entrambi i paesi e ha scatenato un dibattito molto più profondo. Come insegnare la tolleranza a bambini così piccoli? In un paese in cui molti membri della generazione più anziana utilizzano liberamente quella parola che inizia per N, e dove fino a pochi anni fa il dizionario diceva espressamente che quella parola non è dispregiativa, non è così semplice portare avanti un approccio tollerante.
Holger Roonemaa è a capo del team investigativo di Delfi


LA TENNISTA SABALENKA HA AFFERRATO TUTTO

Aryna Sabalenka ai Roland Garros. Foto AP

KIEV - Domenica scorsa, all’Open di Francia Roland Garros, è scoppiato uno scandalo. Il pubblico ha fischiato la tennista ucraina Marta Kostyuk dopo che quest’ultima aveva rifiutato di stringere la mano alla sua avversaria, la bielorussa Aryna Sabalenka. La folla sugli spalti lo ha percepito come un segno di mancanza di rispetto. Ma non è di questo che si trattava.
Nei tempi moderni, lo sport è sempre stato il simbolo di un punto d’incontro, di fair play, rispetto delle regole e ambizione, al di là dei confini degli stati. Le competizioni internazionali sottolineano la visione dell’umanità come un’unica grande famiglia. Ciò è stato particolarmente evidente nei tornei post-Urss, dove le nazioni che vi prendevano parte avevano un passato e una lingua in comune che tutti capivano, dei metodi di allenamento comuni, il che aveva creato un’atmosfera calda e accogliente.
Ma cosa succede quando uno di quei paesi cerca di eliminarne un altro?
Da quando è iniziata l’aggressione russa contro l’Ucraina nel 2014, l’approccio secondo il quale “lo sport è al di fuori della politica” è diventato molto popolare tra gli ucraini. Questo è successo per due motivi: in primo luogo, c’era ancora un senso di comunità tra gli sportivi. Secondo, nella prosperosa Mosca tutto era citius, altius, fortior, ossia più veloce, più alto, più forte. La prospettiva di guadagni più elevati e di una carriera migliore aveva spinto molti professionisti ucraini a vedere nella Russia un luogo adatto al proprio allenamento e alla propria formazione. Ma qualsiasi vittoria degli ucraini sui russi veniva considerata alla stregua di un successo militare: la nazione era in trionfo.
Dall’anno scorso, quando l’intenzione della Russia di annientare l’Ucraina è diventata perfettamente chiara, l’idea che i due paesi possano collaborare nello sport, nell’arte o, in realtà, in qualsiasi disciplina, è diventata improponibile per la maggior parte degli ucraini.
Tuttavia, molte federazioni sportive non hanno escluso russi o bielorussi, dal momento che Minsk è l’alleato ufficiale della Russia in questa guerra. E così, gli ucraini devono tuttora affrontarli come avversari, perché abbandonare i tornei mondiali metterebbe effettivamente fine alla loro carriera. Ma non ci sono abbracci, sorrisi né strette di mano.
Kostyuk ha detto che prima della partita stava seguendo le notizie da Kiev, dove vive suo padre. La capitale ucraina ha recentemente subito l’attacco con i droni russi più critico finora. Aryna Sabalenka ha dichiarato che, all’inizio, aveva creduto che i fischi della folla di Parigi fossero rivolti a lei. Ha compreso tutto.
Anton Semyzhenko è caporedattore della sezione anglofona di Babel.ua


Qual è la tua impressione su questo tema? Ci piacerebbe riceverla, alla mail collettiva info@europeanfocus.eu se vuoi mandarcela in inglese, oppure a francesca.debenedetti@editorialedomani.it

Alla prossima edizione! 


(Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Marco Valenti)

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