Eccoci di nuovo insieme, Europa!
Siamo alla trentacinquesima edizione dello European Focus!
Sono Francesca De Benedetti, la caporedattrice di questa settimana, e scrivo da Roma.

Come sai, ogni mercoledì ci riuniamo (virtualmente) da tutta Europa e decidiamo il tema dell'edizione ventura. Raramente ho visto così tanto entusiasmo come nello scorso editorial meeting europeo, quando qualche collega ha infilato il tema delle biciclette tra le proposte.
Per alcuni fra noi andare in bici è ancora una specie di sogno proibito. Io ho persino dimenticato come si sogna: Roma per i ciclisti è una giungla. E il sogno green può trasformarsi in un batter d'occhio in un incubo, quando una città non si predispone per essere attraversata agevolmente in bicicletta.
In poche parole, fronteggiare il traffico può trasformarsi in una lotta per la sopravvivenza, e non tutti abbiamo il coraggio del nostro collega Holger, che a Tallinn questa lotta la affronta tutti i giorni pur di portare i bimbi a scuola con una cargo bike.

A Budapest, Viktoria ha rivendicato il suo diritto alla bicicletta all'età di 40 anni: è allora che ha imparato a pedalare; erano i tempi della pandemia e le strade erano insolitamente sgombre. Ma nel giro di pochi mesi la mia collega ungherese è ripiombata nel vecchio mondo, dove la lotta tra bici e auto ha raggiunto dimensioni... politiche.
L'entusiasmo dei miei colleghi per la bici mi ha riportata al sogno di città europee bike-friendly. E dopotutto, in alcuni casi questa è già una realtà. Ad Amsterdam, per esempio. In questa edizione ci siamo fatti anche spiegare da una giornalista olandese come e perché in Olanda la "via ciclabile" funziona.
Buona lettura e... buona pedalata!
Francesca De Benedetti, caporedattrice di questa settimana


PORTO I BIMBI ALL' ASILO ED EDUCO GLI AUTOMOBILISTI

Il nostro collega estone Holger mentre affronta la giunga urbana per portare i bimbi all'asilo in cargo bike. Courtesy of H. Roonemaa

TALLINN - È l’ora di punta della sera ed è arrivato il momento di andare a prendere i miei bambini all’asilo. Quindi salgo sulla cargo bike che abbiamo comprato insieme a mia moglie l’autunno scorso.
Tallinn non è mai stata una città bike-friendly, cioè a misura di biciclette e di ciclisti, e in più c’è il fatto che qui da noi il concetto della cargo bike a tre ruote è completamente nuovo. Probabilmente, di queste biciclette non ce n’era più di una dozzina, nella capitale estone, quando io e mia moglie ci siamo uniti a questo gruppetto di ciclisti.
Per rientrare a casa dobbiamo fare un percorso che ci porta lungo delle strade dove le corsie dedicate alle biciclette e alle auto non sono fisicamente separate. Quotidianamente mi rendo conto di come gli automobilisti non si accorgano affatto di noi per strada.
Le situazioni che ci ritroviamo ad affrontare sono le più svariate, dai camion e dai furgoni che si fermano sulla pista ciclabile per consegnare la merce nei negozi e nei bar vicini, alle auto in coda nel traffico che tendono a muoversi sul lato destro della strada, dove rubano spazio al ciclisti.
Mentre le normali biciclette e i piccoli scooter elettrici possono passare con facilità, una bici più grande come la nostra deve fermarsi e aspettare.
A tutto ciò si aggiunge il fatto che gli automobilisti non hanno proprio l’abitudine di guardare nello specchietto laterale per vedere se è in arrivo una bici.
Ed è qui che per noi la questione diventa pericolosa.
Sulle strette piste ciclabili ho sviluppato una sorta di personale reazione passivo-aggressiva per aiutare gli automobilisti a imparare e ad abituarsi a fare attenzione a noi. A volte busso al loro finestrino mentre gli passo vicino. Poi, lancio un lungo sguardo freddo direttamente negli occhi del conducente. Chiedo persino ai bambini di salutare l’autista.
Non è colpa degli automobilisti se non sono abituati a condividere la strada con dei veicoli come il nostro. Il vero problema è il comune che non ha realizzato delle piste ciclabili adeguate. Ma lottare per il cambiamento lo considero un mio piccolo compito personale. Un giorno alla volta. Un passo alla volta. Alla fine, gli automobilisti ci accetteranno come parte naturale del traffico.
Holger Roonemaa dirige il team di inchiesta di Delfi


COSÌ LA POLITICA SALVA I CICLISTI DAGLI AUTISTI…

PARIGI - Questo video dura meno di trenta secondi, ma ha fatto il giro dei social. Domenica 11 giugno, mentre si stava recando al mercato, a Parigi la deputata dei Verdi francesi Sandrine Rousseau non ha esitato a intervenire in una rissa tra un ciclista e un tassista.
Scontri di questo tipo sono diventati di gran lunga troppo frequenti nella capitale francese, dove il numero di viaggi in bicicletta è aumentato del 79 per cento tra il 2019 e il 2022.
Si è impennato anche il numero di piste ciclabili, ma non allo stesso ritmo, e molti automobilisti hanno ancora difficoltà a condividere la strada con i ciclisti, che a volte per strada rischiano la vita.
Il numero di ciclisti coinvolti negli incidenti ha raggiunto i 1611 nel 2022, rispetto ai 676 di tre anni prima.
Se non altro, nel giro di un paio di mesi le vie parigine dovrebbero essere meno sovraffollate. In un referendum locale che si è tenuto a inizio di aprile, gli abitanti si sono espressi in favore dello stop ai monopattini a noleggio, che erano stati pesantemente criticati dai parigini fin dalla loro introduzione nel 2018 e che da settembre non saranno più in circolazione.
Léa Masseguin fa parte della redazione Esteri di Libération


UNA CITTÀ PER BICI È POSSIBILE. LA VIA OLANDESE

La cultura ciclistica è profondamente radicata nella vita quotidiana olandese. Foto Imane Rachidi

AMSTERDAM - L’utilizzo della bicicletta è profondamente radicato nella cultura olandese, con oltre 23 milioni di biciclette per una popolazione di 17 milioni e mezzo. Il fenomeno si è evoluto nel corso dei decenni a partire dagli anni ‘90 dell’Ottocento, quando il terreno pianeggiante e le aree urbane compatte hanno fatto della bicicletta una modalità di trasporto appropriata. Dopo la seconda guerra mondiale, i Paesi Bassi hanno dato la priorità alle reti di piste ciclabili per collegare le città, i paesi e le zone rurali.
Negli anni ‘70 del ventesimo secolo sono comparsi vari gruppi a sostegno del ciclismo, e il governo ha risposto con investimenti significativi nelle infrastrutture ciclabili, concentrandosi sul “traffico lento”. Le città e i paesi sono stati progettati con piste ciclabili separate dal traffico automobilistico, incroci a misura di bicicletta e soluzioni di moderazione del traffico.
Nelle grandi città olandesi le zone car-free cioè interdette alle auto, e più in generale le aree pedonali, sono sempre più diffuse. Amsterdam ha limitato il numero di auto al centro della città senza incorrere in particolari opposizioni. Di solito alla gente del posto piace così: alla fine del secolo scorso, quando le auto minacciavano di prendere il sopravvento, migliaia di persone hanno protestato per non concedere altro spazio alle quattro ruote.
Oggi tutte le stazioni ferroviarie sono dotate di enormi parcheggi per chi arriva in bici a prendere il treno. I programmi di bike sharing diffusi in tutte le città olandesi consentono anche facile accesso alle biciclette per uso a breve termine. Puoi agevolmente noleggiare una bici in stazione, usarla per raggiungere la tua destinazione, e lasciarla lì. Il noleggio costa circa 4 euro e mezzo per 24 ore, e il costo di solito è rimborsato dai datori di lavoro.
Le aziende olandesi spesso offrono ai propri dipendenti degli incentivi per permetter loro di spostarsi in bici o coi mezzi pubblici: c’è chi offre agevolazioni fiscali, chi rimborsa le spese per la bici o finanzia gli abbonamenti per i mezzi pubblici. Inoltre l’educazione all’utilizzo della bicicletta è integrata nel curriculum scolastico, ponendo l’accento sulla sicurezza e le competenze ciclistiche sin dalla tenera età.
Gli olandesi percorrono in bicicletta oltre 15 miliardi di chilometri all’anno, e gli urbanisti si assicurano che i servizi essenziali – supermercati, zone commerciali e ricreative, ospedali, scuole e stazioni – si trovino in un raggio raggiungibile in bicicletta. E non basta alla segretaria di stato alle Infrastrutture: Vivianne Heijnen sottolinea la necessità di continuare gli sforzi visto che quasi la metà dei viaggi in auto si svolge su una distanza inferiore ai 7,5 chilometri, facilmente percorribile in bici.
Imane Rachidi è una giornalista freelance che scrive dall’Olanda


A BUDAPEST LO SCONTRO TRA BICI E AUTO È POLITICO

Il sindaco di Budapest: salire sul sellino diventa un gesto politico. Foto Gergely Karácsony / Facebook

BUDAPEST - Il capo di gabinetto di Viktor Orbán si chiama Gergely Gulyás e pronuncia frasi come questa: "C’è una caccia all’auto a Budapest. L’amministrazione cittadina considera criminali coloro che osano salire in macchina”. Vi chiederete come mai il fedelissimo del premier ungherese parli di "caccia all'auto". Suonerebbe bene anche come titolo per un film ambientato in Ungheria, con Gergely Karácsony - il sindaco liberale di Budapest - come protagonista.
A dire il vero, la capitale ungherese non è mai stata a misura di bicicletta. Qui le auto sono uno status symbol, e la città ha sempre favorito gli automobilisti. Così, quando Karácsony è stato eletto nel 2019, ha dovuto affrontare molte polemiche per le sue azioni volte a trasformare la città.
Ad ogni modo gli attacchi più feroci non sono arrivati dagli abitanti, bensì dal governo populista di destra, che ha tentato così di conquistare elettori e rendere difficile la vita al sindaco dell’opposizione.
Quando Karácsony è andato al lavoro in bicicletta, i politici lo hanno attaccato perché non guidava. Quando ha inaugurato una pista ciclabile o quando ha voluto riformare le modalità di parcheggio, è stato definito “nemico delle auto” insieme a tutti i ciclisti della città.
Proprio così, Budapest è diventata un esempio di come la politica può diventare nemica di chi si sposta in bicicletta, mentre gli abitanti ne subiscono le conseguenze.
Viktória Serdült è una giornalista di HVG


UNA BICI DONATA A KIEV IN GUERRA FA LA DIFFERENZA

I medici della città di Lozova, nella regione di Kharkiv, ora si muovono in bicicletta grazie alle donazioni dall’estero per la campagna #BikesForUkraine. Foto fornita dagli operatori sanitari

KIEV - Dopo che la guerra su vasta scala in Ucraina ha avuto inizio, sei organizzazioni ciclistiche in Ucraina hanno lanciato la campagna internazionale #BikesForUkraine. Ora stanno raccogliendo donazioni dall’estero per fornire aiuto nella consegna di biciclette alle comunità dilaniate dalla guerra. Ce ne parla la partecipante all’iniziativa Maryna Bludsha.
Perché l’Ucraina ha bisogno di più biciclette?
In tempo di guerra le reti stradali e il sistema di trasporto pubblico vanno in rovina: alcuni autobus prendono fuoco o vengono rubati dagli invasori, come a Kherson. Inoltre, spesso manca il carburante. Così la bicicletta diventa l’unico mezzo di trasporto affidabile. Subito dopo l’invasione russa, abbiamo iniziato a ricevere richieste di bici. Le persone ne hanno tuttora bisogno di più di quanto riusciamo a fornire: fino all’11 giugno avevamo consegnato 1.391 biciclette alle comunità locali in Ucraina, ma ce ne sono state richieste 2.974.
Spesso diamo le biciclette ai volontari che distribuiscono medicine, beni e cibo. Inoltre, ad avere bisogno di bici sono medici, assistenti sociali e autorità locali. Parliamo anzitutto di regioni dilaniate dalla guerra, ma il nostro aiuto va anche ad altre comunità in cui ci sono molti sfollati interni e che hanno bisogno di fornire maggiori servizi.
Chi fa le donazioni?
Gran parte dell’aiuto arriva da paesi Ue, dai quali provengono 40 dei nostri 50 principali sostenitori; in particolare Germania, Paesi Bassi e Lituania. Le persone o organizzazioni aiutano fornendo denaro, che ci permette di acquistare biciclette nuove in Ucraina, oppure raccolgono bici tra gli abitanti della propria zona. Spesso riparano anche le bici prima di mandarle in Ucraina. I nostri partner berlinesi, Changing Cities, hanno organizzato incontri per riparare le biciclette, permettendo alle persone di aiutare l’Ucraina in questo modo.
Nei primi giorni dell’invasione russa su vasta scala, i ciclisti di Kiev hanno organizzato un servizio di volontariato per fornire aiuto urgente. Ci fa altri esempi di come le bici possano essere utili in guerra?
A Kiev abbiamo una società di corrieri in bicicletta chiamata CargoCult, che consegna anche merci a persone e organizzazioni che ne hanno bisogno. Il traffico in città era bloccato per via dei posti di blocco e delle code, e le biciclette si sono rivelate il mezzo più veloce per gli spostamenti.
Anton Semyzhenko dirige la sezione in lingua inglese di Babel.ua


La mia collega ungherese mi ha raccontato che c'è una speciale pista ciclabile paneuropea che attraversa Budapest. Tu ne eri al corrente? Non so a te, ma a me è venuta una gran voglia di cercare una mappa delle piste ciclabili. E soprattutto, di riprendere la bicicletta!
Qual è la tua impressione su questo tema? Ci piacerebbe riceverla, alla mail collettiva info@europeanfocus.eu se vuoi mandarcela in inglese, oppure a francesca.debenedetti@editorialedomani.it
Alla prossima edizione! Francesca De Benedetti


(Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Marco Valenti)

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