L’ultima invenzione è la versione piccante dell’Amaro del Capo, da bere rispettando il vangelo dell’azienda: «Spettacolare ghiacciato». Tutto il mondo conosce l’Amaro del Capo, il liquore distillato nel piccolo paese di Limbadi, tremila abitanti nell’entroterra della provincia calabrese di Vibo Valentia.

Regno della distilleria Caffo che lo produce e feudo della ‘ndrangheta versione terzo millennio più potente oggi, riunita sotto la cosca che reca il nome della famiglia Mancuso. Mondi distanti, uno fatto di lavoro duro e ricerca, l’altro di violenza e affari sporchi.

Eppure c’è una documento ottenuto da Domani che questi due mondi li salda e li mescola, li racconta come l’uno volto presentabile dell’altro. Giuseppe Caffo e il figlio Sebastiano, i due eredi della distilleria che produce l’amaro italiano più noto nel pianeta, risultano indagati per complicità con l’associazione mafiosa calabrese (la ‘ndrangheta) e riciclaggio.

Giuseppe Caffo (LaPresse - Francesco Mazzitello)
06/03/2020 Limbadi, Sebastiano Caffo, CEO gruppo Caffo

Ipotesi di reato contestate in un’iscrizione sul registro degli indagati che risale al marzo 2021 e depositata in un fascicolo di un’altra inchiesta sugli affari della famiglia Mancuso nel traffico di carburante e petrolio. Ambedue le indagini sono coordinate dalla procura antimafia di Catanzaro guidata dal magistrato Nicola Gratteri e condotte dal Raggruppamento operativo speciale (Ros) dei carabinieri.

Non sappiamo se da marzo a oggi siano state prorogate le indagini nei confronti dei proprietari dell’Amaro del Capo o sia stata chiesta l’archiviazione. La procura non commenta, gli investigatori hanno le bocche cucite. «A me non è arrivato niente, noi facciamo tutto in regola. Se qualcuno mi vuole sentire io sono disponibile», dice Giuseppe Caffo, il presidente del gruppo.

Di certo c’è la documentazione raccolta finora da chi ha indagato. Intercettazioni, dichiarazioni dei pentiti, informative dei carabinieri, schemi societari in cui si incrociare due storie: quella degli eredi della dinastia Caffo, con una storia imprenditoriale iniziata nel 1915, e quella della cosca Mancuso, al vertice della ‘ndrangheta internazionale, autorevole a tal punto da poter interloquire direttamente con i broker dei narcos colombiani e con professionisti del riciclaggio che hanno sparso i loro milioni in giro per l’Italia e per l’Europa. Mancuso, però, vuol dire pure violenza, armi, intimidazioni.

Anche le frequentazioni in certi ambienti hanno rilevanza. Specie se documentano la presenza di Caffo senior in occasioni importanti per la famiglia di mafia dei Mancuso. Tasselli che incastrati tra loro offrono una panoramica dei rapporti e delle relazioni tra gli industriali più importanti della regione, anzi di Italia nel settore dei liquori, e la mafia più ricca d’Europa.

Il secolo amaro

Neppure il fondatore e primo mastro distillatore poteva immaginare che la sua distilleria avviata nel 1915 potesse conquistare i mercati internazionali: dall’Europa all’America fino all’Australia. Risultato? Nel 2018 ha venduto oltre 8 milioni di bottiglie, ha realizzato la più grande fabbrica di liquori del sud Italia, ha filiali nel New Jersey per controllare la distribuzione in quella parte di globo, ha acquisito marchi storici del settore, come Borsci, e comprato da una multinazionale il celebre amaro olandese Petrus Bonekamp, il più antico del mondo.

Petrus era di proprietà di Diageo, colosso mondiale cui fanno capo brand molto amati dagli appassionati del genere: dalla birra irlandese Guinnes al Baileys fino alla vodka Smirnof e al whisky Johnnie Walker. I costi dell’operazione non sono mai stati resi noti, nel bilancio 2020 è stato inserito un costo per l’acquisizione di circa 6,3 milioni di euro. Quell’anno il fatturato dall’impresa dei Caffo aveva toccato quota 80 milioni. Nel bilancio l’azienda dichiara di occupare una quota di mercato degli amari pari al 37 per cento. Numeri straordinari nella regione più povera del paese, con un tasso di disoccupazione del 20 per cento (dati Eurostat 2020) e con un mercato industriale paragonabile al deserto per la scarsità di stabilimenti operativi, talmente sparuti da somigliare a oasi nel mezzo del Sahara.

Il documento: indagati

«Visto il contenuto della nota informativa del Ros dei carabinieri... dispone l’inserimento nel registro degli indagati di Giuseppe Giovanni Caffo detto Pippo e di Sebastiano Giovanni Caffo detto Nuccio per i reati di concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio». Poche righe firmate dai due pm di punta della procura antimafia di Catanzaro e dal procuratore Gratteri. Sebastiano Caffo è stato fino al 2013 a capo dei giovani imprenditori di Confindustria, poi presidente della Camera di commercio di Vibo Valentia e ora commissario del medesimo ente. Il padre è invece anche presidente della Vibonese calcio, squadra che milita in serie C.

La tesi degli investigatori sul clan Mancuso è in sintesi questa: esistono «fattivi e concreti interessamenti dei predetti verso l'attività di imprenditoria della “Distilleria Caffo”, diretti a promuovere ed estendere la vendita del prodotto liquoroso “Vecchio Amaro del Capo” nel nord Italia e all’estero». Tradotto: i vertici della cosca brigano per potenziare la distribuzione dei liquori Caffo. L’anomalia, scrivono gli investigatori, è che i boss progettavano «attività promozionali» pur non avendo ruoli ufficiali nell’azienda. Perché, si chiedono gli inquirenti, questo interesse nella promozione del brand Caffo se nessuno di loro è azionista o ha ruoli ufficiali nell’impresa? «In azienda non è mai venuto nessuno per dirmi “portiamo l’amaro fuori”. Non c’è una mia parola di intercettazioni con questi signori», dice Caffo.

Una cosa è certa: il più anziano dei Caffo ha rapporti e frequentazioni con uomini della cerchia stretta del boss Mancuso, tra questi anche imprenditori attualmente imputati nel maxi processo che vede alla sbarra oltre 300 imputati, conosciuto con il nome di “Rinascita Scott”. Se questa promiscuità nasconda altro e quindi abbia rilevanza penale saranno i magistrati a dirlo. Caffo riduce il tutto a un banalissimo rapporto di conoscenza. I Mancuso e la ‘ndrangheta? «Non ho niente da rimproverare a nessuno», dice l’industriale dell’Amaro del capo. (1- continua).

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