Cinquant’anni dopo la caduta di Saigon, gli Stati Uniti sono costretti a una nuova ritirata dal Vietnam. Stavolta non ci sono bombe che piovono dal cielo, né vietcong pronti a uscire dai tunnel.

Le armi di questo nuovo conflitto sono dei semplici numeri. Il loro impatto è però devastante.

Con il 46 per cento di dazi imposti da Donald Trump sui prodotti esportati in America, il Vietnam sarebbe stato uno dei paesi più martoriati della guerra commerciale innescata dal presidente americano.

Tuttavia con Trump il condizionale è d’obbligo vista la sua inclinazione a invertire la rotta.

Ventiquattr’ore dopo aver sbeffeggiato i paesi che lo hanno chiamato per «baciarmi il culo», incluso il Vietnam, il presidente americano ha fatto marcia indietro e ha sospeso per 90 giorni l’introduzione delle tariffe – mentre è rimasto un dazio del 10 per cento su quasi tutte le importazioni.

L’entrata in vigore sarebbe stata una mazzata per chi, come il paese del sudest asiatico, con l’export a stelle e strisce costruisce il 30 per cento del proprio Pil, pari a 468 miliardi di dollari, una delle quote più alte per i partner commerciali di Washington.

Ma altrettanto pesante sarebbe stata per gli americani.

L’amministrazione Trump potrebbe infatti aver fatto male i suoi calcoli. Non solo per la formula con cui è arrivata alle percentuali punitive e per le conseguenze derivanti dalle tariffe, ma anche per l’importanza che rivestono le importazioni vietnamite. Da qui, la decisione di battere in ritirata.

L’offensiva è però ancora lì sul tavolo. Durante questi tre mesi di tempo concessi da Trump, le due parti proveranno a trovare un accordo per evitare di innescare un conflitto che farebbe male a entrambe.

L’intento è abbattere quante più barriere commerciali possibili, ma non è detto che basti. La controproposta di Hanoi non appena ha saputo dei dazi è stata l’eliminazione totale delle tariffe sulle merci americane.

A risponderli era stato Peter Navarro, consigliere per il commercio della Casa Bianca: «Quando vengono a dirci di arrivare a zero dazi, per noi non significa nulla perché è l’imbroglio extra-tariffario che conta». Evidentemente, guardando l’andamento dei mercati, anche a Washington si sono accorti che non era proprio così.

Non solo Nike, ma anche cocco e frutti di drago

I tonfi registrati in borsa dai marchi di abbigliamento come Nike o di aziende tecnologiche del calibro di Intel hanno ovviamente fatto rumore. Ma ci sono tanti altri prodotti che dalla penisola del Pacifico attraversano l’Oceano e arrivano nel mercato americano. Secondo i dati del ministero dell’Agricoltura e dello Sviluppo Rurale vietnamita, nei primi dieci mesi dello scorso anno gli Stati Uniti hanno importato beni agricoli per circa 52 miliardi di dollari, un aumento del 20 per cento rispetto allo stesso periodo del 2023.

Una conseguenza del legame che vietnamiti e americani stavano approfondendo durante il mandato di Joe Biden, quando era stato firmato l’accordo commerciale bilaterale (Bta) grazie a cui Hanoi ha visto una crescita dell’export agricolo che, nel corso di un decennio, sarebbe arrivato intorno al 15 per cento.

Nello specifico, i prodotti ittici – compresi crostacei, molluschi e invertebrati - hanno superato il miliardo di dollari. Cifra simile per le esportazioni di anacardi (871 milioni di dollari), anch’esse in crescita. Il pepe ha toccato quota 300 milioni di dollari (+96 per cento), mentre frutta e verdura i 254 milioni (+35 per cento). Tra queste figurano il mango, il longan, il litchi, il rambutan, il frutto del drago, il cocco, il pomelo e la mela stella.

Niente che gli americani possano coltivare sulla propria terra. «I dazi possono creare difficoltà, potrebbero avere un impatto sui costi alimentari negli Stati Uniti» avvertiva a febbraio Brian Sikes, ceo di Cargill, uno dei tanti a mettere in guardia Trump.

La multinazionale statunitense è stata una delle prime ad aprire in Vietnam, nel 1995, subito dopo il ripristino delle relazioni tra Washington e Hanoi. Trent’anni dopo, un’altra guerra rischia di metterle a repentaglio. Anche se almeno stavolta non scorrerà sangue.


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