È la «figlia del cuore» di un ex presidente francese e da ragazza all’Hotel de Ville ha forse fatto assaggiare al padre adottivo e sindaco di Parigi i piatti della tradizione vietnamita.

La vita di And Dao Taxels, ormai 68enne, può essere presa a parabola della comunità indocinese di Francia.

Era il 1968 quando Jacques Chirac, allora giovane politico, si trovava in Vietnam per un viaggio ufficiale: colpito per la situazione degli orfani vietnamiti, molti dei quali senza famiglia a causa della guerra, aveva deciso di adottare – in accordo con la moglie Bernadette – una ragazza, And Dao; la loro terza figlia si aggiunse nel 1981, dopo un avventuroso viaggio via mare nel 1979.

La storia di Chirac e della fanciulla fa solo da cornice a un quadro più ampio: la presenza vietnamita in Francia ha radici profonde, risalenti già al diciannovesimo secolo, quando il paese indocinese faceva parte dell'Impero coloniale francese.

E poi durante la Seconda guerra mondiale, quando tanti vietnamiti furono arruolati nell'esercito francese, contribuendo ulteriormente alla loro presenza nel paese.

La seconda ondata

Nella seconda metà degli anni Settanta, dopo la fine della guerra del Vietnam con l’instaurazione del regime comunista in un paese unificato, la nuova ondata di migranti, i boat people: avevano abbandonato il paese via mare stipati in imbarcazioni di fortuna, cercando asilo altrove.

Tra i paesi occidentali che li hanno accolti, dopo gli Stati Uniti, la Francia ospita a più grande comunità vietnamite in Europa, con circa tre centomila persone.

Le associazioni culturali e le organizzazioni sociali hanno svolto un ruolo cruciale nel mantenere vive le tradizioni e facilitando l’integrazione. Piccoli locali, spesso illuminati da flebili luci calde che rendono soffusa l’atmosfera; pareti rosse, tavoli laccati e neri.

Piante e fontane, separè dipinti a mano e stoviglie orientali.

Negli anni la cucina vietnamita ha guadagnato popolarità e rispetto, integrandosi alla perfezione nel tessuto sociale d’oltralpe.

Non si contano ristoranti e i food truck che offrono piatti autentici – difficile trovarne dai sapori “occidentalizzati” – a base di erbe aromatiche, spezie e ingredienti freschi.

E un equilibrio spesso labile tra dolce, salato, aspro e piccante.

A Parigi, 13esimo e 18esimo arrondissement sono diventati il riferimento per chi voglia immergersi nella cucina vietnamita, poiché vi vive la gran parte degli esponenti della comunità indocinese parigina, circa centomila persone.

Così il mercato di Belleville, attrazione immancabile per turisti.

Su boulevard Barbès, lì dove magrebini, senegalesi, venditori d’oro e intrecciatori di capelli afro attraversano il lungo viale che dalla parte bassa di Montmartre va a Pigalle, nascosto in una traversa di soli palazzi, è illuminato da due lanterne Le Sourire de Saigon.

Certezze

Fuori diluvia, il locale è piccolo, ci saranno meno di una decina di tavoli.

A stento si intravede quello che passa nei piatti, l’illuminazione è così fioca da rendere misteriosa persino la carta dei vini. Sono le donne a fluttuare tra i tavoli della locanda vietnamita, indossando l’ao dai, l’abito lungo vietnamita, standard estetico imprescindibile.

Bacchette sì, bacchette no, il dilemma di chi ancora non ha visto il menù.

Dalla porta che dà sulla cucina, si intuisce che le dimensioni della stanza di chi sta ai fornelli sono risicatissime, ma questo non impedisce di sfornare anche quattro o cinque piatti per volta.

Sulle tavole, il pho, zuppa di noodle di riso servita spesso a colazione con brodo di carne (solitamente manzo o pollo), erbe fresche e spezie.

Poi il banh mi, paninetto vietnamita.

Si tratta di una baguette farcita con carne di solitamente maiale, pollo o tufo, verdure fresche, coriandolo e una salsa a base di maionese o salsa di soia. Irrinunciabili i gỏi cuốn, gli involtini primavera freschi, fatti con carta di riso ripieni di gamberi, maiale, verdure e vermicelli di riso. Sono spesso serviti con una salsa di arachidi o salsa hoisin.

Il bún, ciotola di vermicelli di riso freddi, servita con carne grigliata, verdure fresche e una salsa di pesce. Infine il che: dessert vietnamita a base di legumi, frutta, può essere servito caldo o freddo, ed è spesso guarnito con latte di cocco.

Rispetto alle altre comunità della capitale, quella vietnamita si è dispersa tra i vari quartieri, non dando mai origine a un’enclave etnica, come invece è accaduto per nordafricani e cinesi.

C’è da dire che Parigi è stata determinante anche per la nascita dell'industria dell'intrattenimento al servizio delle comunità vietnamite all'estero. La più nota produzione straniera vietnamita, Thuy Nga, produce il popolare spettacolo di varietà in lingua vietnamita Parigi di notte.

Per quanto riguarda la periferia parigina, i comuni di Ivry-sur-Seine, Lognes, Torcy, Bussy-Saint-Georges e Les Essarts-le-Roi ospitano le più alte concentrazioni di vietnamiti in Francia, con una quota superiore al 20 per cento della popolazione di ciascun comune.

Più inusuale di un pasto consumato in un ristorante cinese, giapponese o africano, quello vietnamita riserva una certa familiarità al palato; come se, in fondo, addentando quei manicaretti usciti da una cucina di cui prima non si sapeva granché, si avesse la sensazione di conoscere quel sapore da tutta una vita.

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