Non di solo pane vive l’uomo» è la massima idealmente scolpita sul portale della chiesa di Saint-Jean Baptiste au Béguinage, a Bruxelles, dove attorno al corpo di Cristo sull’altare gravitano i corpi stanchi di 400 sans papiers in sciopero della fame e della sete. Sono i cosiddetti migranti irregolari, che per l’europeissimo governo belga non esistono perché sprovvisti di un pezzo di carta che ne attesti la cittadinanza. Come se anni di lavoro illegale non bastassero ancora a tradurre in diritto basilare quello che per molti rifugiati resta l’estrema alternativa alla disperazione del paese natale.

L’assenza di politiche di regolarizzazione per chi in Belgio vive da decenni ha ingenerato, così, un esercito di invisibili, che solo nella penombra della cattedrale barocca ha trovato un luogo per rendersi visibile. Il 23 maggio scorso, in centinaia si sono riversati nelle porte aperte da don Daniel Alliët e, da allora, con le bocche disidratate e le pance vuote, chiedono di essere regolarizzati, mentre il budget dell’agenzia europea per le frontiere Frontex tocca la cifra di un miliardo di euro solo quest’anno e a Roma viene rinnovato il Decreto missioni a supporto della Guardia costiera libica.

Gli scarti d’Europa

Ahmed ha 37 anni ed è arrivato dall’Algeria nel 2009. Ha partecipato a diversi scioperi della fame. Oggi coordina, dalle navate della chiesa, l’Union pour la régularisation des sans-papiers (Uspr), l’unico ente che porta avanti le istanze dei sans papiers nel silenzio della politica: «Abbiamo ricominciato a mangiare solo pochi giorni fa, perché la nostra situazione era diventata seria» spiega al telefono, dando voce a quegli uomini, in gran parte madri e padri di famiglia che rischiano di rendere orfani i loro figli: «Dopo trenta giorni di sciopero, con due arresti cardiaci, un tentativo di suicidio e svariati disturbi, da quelli psichici a quelli renali e respiratori, la Croce rossa internazionale ci ha invitato a interrompere lo sciopero della fame e della sete».

Un grosso stand bianco della Cri campeggia, infatti, sulla facciata barocca, mentre all’interno dell’edificio la protesta silenziosa dei 400 continua. Sammy Mahdi, segretario di stato per la migrazione e l’asilo, del partito cristiano-democratico Cd&V, ha annunciato la creazione di una zona neutra per ascoltare le loro richieste. Ha poi specificato: «Ci sono 150mila migranti senza documenti nel nostro paese e non sarebbe giusto trattare diversamente 400 persone». I sans papiers contestano le sue parole e quelle non dette della politica.

Solo il 15 luglio scorso i socialisti e i verdi rappresentati da Anne Lambelin e Rajae Maouane hanno fatto appello a una soluzione per le «donne e gli uomini in totale disperazione e pericolo di morte». Ahmed ricorda che la loro lotta non è un capriccio di poche, sparute persone. Secondo il Pew Research Center, sono oltre quattro milioni le persone prive di documenti dentro l’Unione europea. Di queste, nel 2015 il Centro per l’assistenza sanitaria del Belgio ne registrava fra le 85 e 106mila: una stima significativa, corrispondente all’uno per cento della popolazione.

il portale Samenlevingsopbouw Brussels si tratta, comunque, di una stima al ribasso: basandosi sui dati relativi agli arresti degli irregolari in suolo belga nel 2017, l’ammontare tocca quota 31mila. «L’Ufficio immigrazione è solo uno degli ingranaggi di questa politica di non regolarizzazione. Alla base c’è una politica razzista, con un governo che non ha mai optato per l’uguaglianza. In un paese razzista come il Belgio, chiedere l’accorciamento delle procedure di regolarizzazione non è la soluzione: mancano i corridoi umanitari e il diritto d’asilo è stato smantellato» ammette Ahmed.

Religione di stato

Questa condizione di irregolarità favorisce uno squilibrio sociale. Non avendo tutele, i sans papiers sono costretti a lavorare in nero, esponendosi a situazioni di ricatto lavorativo, poiché quasi sempre sottopagati. Se lo stato chiude le porte, negli ultimi anni solo la chiesa le ha aperte. Chi li sostiene fermamente è don Daniel Alliët, parroco della chiesa di Saint Jean-Baptiste: «La nostra parrocchia ha una lunga tradizione di lotta per la cittadinanza e la giustizia sociale.

Vogliamo dare voce a chi non ce l’ha, negli ultimi 25 anni ne abbiamo passati sette in occupazione, facendo quattro scioperi della fame in questa stessa chiesa» rammenta. Alle sue spalle il settecentesco pulpito della Verità mostra il peso attuale delle parole, anche quando proferite da gole secche. L’ultimo sciopero della fame, del 2009, ha portato al tracollo fisico diversi sans papiers rimasti a digiuno per 79 giorni. Ahmed era appena arrivato a Bruxelles, ma ricorda gli èsili sforzi della politica di allora: «Le campagne di regolarizzazione del 2000 e del 2009 non hanno mai stabilito una visione dell’uguaglianza.

Piuttosto, hanno imposto una divisione ulteriore tra chi può lavorare alla luce del sole e chi deve farlo sottoterra». Don Daniel è parroco da 35 anni. Passando in rassegna i decenni, ammette una sconfitta dell’Europa: «In questa capitale del potere, c’è ancora molta esclusione e tanti non hanno diritti. A livello europeo, la politica migratoria è diventata di anti-migrazione: facciamo di tutto per tenere i migranti a bada, evitiamo di accoglierli, spesso li respingiamo in Libia, dove il destino è quasi sempre crudele, piuttosto che aprire corridoi umanitari» aggiunge.

Nel tono amaro delle sue parole riecheggiano quelle, pesanti come pietre, lanciate nel 2016 da papa Francesco, appena insignito del premio Carlo Magno: «Cresce l’impressione generale di un’Europa tentata di dominare spazi più che generare processi, che si va trincerando invece di privilegiare azioni che promuovano nuovi dinamismi nella società». Esausti, i sans papiers chiedono al Belgio e all’Europa di agire: «Il dipartimento di Immigrazione federale ha chiuso le frontiere, per questo invitiamo il direttore generale, Freddy Roosemont, a ristabilire le basi di una politica che favorisca tutti i migranti privi di documenti» dice Ahmed. Ma, a livello di politica interna, la loro battaglia s’intreccia al consenso politico dei partiti, in un tempo di graduale ascesa del nazionalismo nelle Fiandre, alla quale i partiti liberali non oppongono una netta linea direttamente antitetica.

Un Sinodo per i migranti

E così, a far da sponda alle richieste dei sans papiers è rimasta solo la chiesa locale, erede delle parole di Francesco che, come scrisse Piero Schiavazzi nel 2013 su Limes, ha fatto dell’isola di Lampedusa, approdo e cimitero per tanti migranti, «il perno di un compasso planetario». «La costruzione della pace, che la chiesa e ogni istituzione civile devono sempre sentire come priorità, ha come presupposto indispensabile la giustizia (...) ostacolata dalla cultura dello scarto, che tratta le persone come fossero cose, e che genera e accresce le disuguaglianze» denunciava il papa davanti ai vescovi nell’incontro sul Mediterraneo, tenutosi a Bari nel febbraio 2020.

In Belgio la chiesa cattolica ha deciso da che parte stare: il cardinale Jozef De Kesel, arcivescovo di Mechelen, ha ribadito più volte il sostegno al dialogo tra le parti. Anche don Daniel ricorda la posizione della chiesa: «Il primo viaggio del papa è stato proprio a Lampedusa e, da quel giorno, abbiamo installato nella chiesa una bara al naufrago sconosciuto» ricorda. Lampedusa è legata a doppio filo a Bruxelles.

Oggi, Ahmed riceverà dalle mani dell’eurodeputato Pietro Bartolo, “il medico dei migranti di Lampedusa”, il Civic Pride Award del Forum civico europeo, una rete di oltre cento ong europee attive nel parlamento europeo: «Apprezziamo molto ciò che papa Francesco in questi anni sta facendo per noi e seguiamo con grande interesse la sua attenzione per un eventuale sinodo del Mediterraneo a Marsiglia» spiega Ahmed, ricordando il recente invito dell’arcivescovo Jean-Marc Aveline a fare della città francese l’ultima tappa di un cammino pontificio nel bacino mediterraneo, inaugurato a Lampedusa, in seguito tracciato a Lesbo, Bari e Napoli.

Tra i confessionali in legno di noce, le lenzuola disposte su brande e pancali fra le navate sembrano tanti puntini colorati. Su di esse i corpi ridotti a ossa sfumano e spariscono. È l’immagine drammaticamente viva di un sistema politico che, tradendo i valori europei, accetta la persistenza di donne e uomini invisibili, spesso per un tornaconto politico. Don Daniel non ci sta, e scruta tra le pieghe della Scrittura per rintracciare un pungolo culturale, un singhiozzo evangelico che possa ancora inquietare. Basterebbe, in fondo, menzionare l’insegnamento dei padri del deserto: «Coloro che vogliono compiacere agli uomini, uccidono gli uomini».

 

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