Nimco è una donna di origini somale, nubile, madre di una bambina e membro di un clan minoritario. È un bersaglio ideale per la follia misogina esercitata dai terroristi integralisti del gruppo Al Shabaab, che è responsabile, tra i tanti atti efferati compiuti negli anni, del sequestro di Silvia Romano. Al Shabaab, organizzazione affiliata ad Al Qaeda, si batte per la istituzione della della Shari'a, cioè di quel complesso di regole di vita dettate da Dio per la condotta morale, religiosa e giuridica dei suoi fedeli, all’interno dello stato somalo. Così Nimco viene minacciata di morte, le viene ordinato di trasferirsi con il padre della bambina, ma al suo rifiuto le uccidono il fratello e sequestrano il padre. Ed è costretta a fuggire. Lasciando con i familiari Ayaan, la sua bambina.

Fugge, subendo le umiliazioni in Etiopia, le violenze dei trafficanti nel Sudan, i pericoli del mare in Egitto, fino al suo arrivo in Italia, paese in cui entra da fuorilegge, ma ottiene, poi, lo status di rifugiato. Nel frattempo, esposta ai pericoli, alla malnutrizione e alle malattie, la piccola Ayaan è stata portata dalla zia e dalla nonna in Etiopia, dove ha vissuto in condizioni estreme in un ghetto informale che ospitava altre migliaia di profughi somali. Nimco, la madre, invece, vive in provincia di Torino, all’interno di un centro di accoglienza (Siproimi).

Nel gennaio del 2019 della sua vicenda si interessano l’Agenzia Onu per i rifugiati - Unhcr - l’organizzazione internazionale per le migrazioni - Oim ­­- e Save the Children che cercano di battersi per localizzare la bambina, proteggerla ed eventualmente riportarla dalla madre. Da lì per la madre e la figlia comincia una nuova vera e propria odissea. Perché nonostante il test del Dna confermi la parentela tra le due donne, la procedura di ricongiungimento si arena, non essendo la bambina registrata presso l’Arra, la locale agenzia etiope per i rifugiati.

È a questo punto che Nimco decide di rivolgersi al Tribunale di Roma, chiedendo un visto di ingresso in Italia per motivi umanitari per la figlia Ayaan. E con i giudici romani che da una parte chiedono ad Addis Abeba di rilasciare il visto subito, motivando i motivi d’urgenza, e dall’altra, invece, l’ambasciata etiope che fa ostruzionismo richiedendo sempre nuovi documenti, tra cui la registrazione all’Arra e l’autorizzazione all’uscita dal Paese delle autorità locali. La storia si chiude con un lieto fine, quando un gruppo di volontari, sia italiani che etiopi, intervengono sciogliendo i nodi relativi agli adempimenti burocratici richiesti dall’Ambasciata di Addis Abeba, e così il 31 gennaio del 2020, tre mesi dopo il decreto emesso dal Tribunale di Roma, Ayaan e sua madre Nimco potranno abbracciarsi e ricongiungersi.

Questa è una vicenda emblematica di come in tutto il mondo venga oggi violato il diritto d’asilo, ed è stata raccontata dall’avvocato Maurizio Veglio all’interno delle 400 pagine del rapporto “Il Diritto d’Asilo. Report 2020”, sottotitolo “Costretti a fuggire… ancora respinti”, redatto dalla Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana. «Con l’augurio che possa aiutarci tutti a costruire un sapere più fondato rispetto a chi è in fuga e arriva a chiedere protezione nel nostro continente e nel nostro Paese», ha sottolineato don Giovanni De Robertis, direttore generale della Fondazione Migrantes.  

Il dossier prende le mosse da alcune riflessioni di Papa Francesco contenute nel Messaggio annuale per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2020, e in cui si propone la condivisione come chiave per lo sviluppo umano, ritenendo che «non sia coerente con il disegno di Dio impedire l’accesso ai beni essenziali alla propria sopravvivenza a chi emigra dal proprio Paese in cerca di migliori condizioni di vita».

È la denuncia contenuta nel rapporto: «Tra il 2019 e il 2020 si sono visti tutti gli effetti delle politiche poco solidali verso questi movimenti di persone, migranti, richiedenti asilo e rifugiati, sia nell’Unione Europea che nel nostro Paese». E ancora: «Quest’anno la pandemia di Covid-19 ha indotto a serrare ancora di più le frontiere e ha frapposto, se possibile, ostacoli e difficoltà ancora maggiori a chi si trovava comunque nella situazione di dover lasciare la propria casa e la propria terra».

Più bisognosi, ancor più esclusi  

Secondo i dati più recenti pubblicati dall’Unhcr sugli sfollati e i rifugiati in tutto il mondo, il loro numero non è mai stato così alto dalla Seconda guerra mondiale, infatti, secondo l’agenzia dell’Onu, quasi 80 milioni di persone, a giugno, si trovavano in una situazione di sradicamento forzato, e tra di essi quasi 46 milioni erano gli sfollati interni. Di più: la restante parte, i richiedenti asilo, continuavano a trovarsi nei pressi delle stesse zone di conflitto o all’interno dei paesi dalle cui tensioni erano fuggiti.

Eppure, considerando soltanto l’Italia, che nel rapporto di Migrantes viene definita “Fortezza”, si scopre che: «Le persone respinte ai valichi di frontiera italiani nel 2019 sono state 9.943, 8.138 alle frontiere aeree e 1.805 alle marittime». Che nel 2020, dati considerati fino a luglio, i respinti erano già oltre 6.000. Più o meno lo stesso numero delle persone che sono state rimpatriate forzatamente, nel 2019, dall’Italia verso la Tunisia, il Pakistan, la Nigeria, la Georgia, il Gambia e l’Egitto. Non solo. A queste cifre si devono aggiungere i 9000 richiedenti asilo intercettati e riportati in Libia dalla Guardia costiera “nazionale”, «con l’Italia che continua ad essere corresponsabile delle condizioni degradanti e delle violenze a cui vanno incontro», denuncia ancora la fondazione della Conferenza Episcopale Italiana.

La vergogna balcanica, la complicità italiana

Sotto accusa è finito anche il ruolo dell’Italia all’interno della rotta balcanica, la via di fuga dei richiedenti asilo che giungono in Europa da aree del mondo ad alta instabilità e caratterizzate da conflitti bellici pluridecennali. Secondo quanto affermato dal giurista Gianfranco Schiavone: «il Governo italiano finge di ignorare che i migranti riammessi dall’Italia verso la Slovenia e poi dalla Slovenia verso la Croazia vengono successivamente trasferiti coattivamente in Serbia o in Bosnia-Erzegovina e che tali operazioni avvengono in modo sistematico, impedendo l’accesso alla procedura di asilo». E poi ancora, ha riferito Schiavone: «né il Governo può ignorare l’esistenza di violenze gravi e sistematiche che si verificano tra Slovenia, Croazia e Bosnia, né può ignorare le condizioni inumani e degradanti nelle quali si trovano i migranti in Bosnia e l’assenza di fatto in quel paese di un sistema di protezione adeguata dei rifugiati».

Frontex sotto accusa

E nelle ultime ore sotto la scure, ma dei parlamentari europei, e sempre per i respingimenti dei migranti e il diritto d’asilo che viene loro negato, è finita l’agenzia europea Frontex, a cui dal 2005 è stato affidato il compito di coordinare l’attività di controllo delle frontiere comuni svolta dalle diverse forze di sicurezza nazionali. In particolare, il gruppo dei Verdi all’interno del Parlamento europeo ha chiesto ieri l’istituzione di una commissione d'inchiesta che faccia luce sui respingimenti illegali di richiedenti asilo nel Mediterraneo, in cui avrebbe svolto un ruolo anche Frontex.

E lo ha chiesto dopo che l’eurodeputato verde Damien Careme (Verdi), membro della commissione Libe del Parlamento, ha ascoltato in una audizione il direttore di Frontex, Fabrice Leggeri, osservando che «mentre si accumulano le prove nei confronti di Frontex, le risposte del suo direttore non mi soddisfano». Per questo anche il gruppo dei Socialisti e Democratici ha chiesto ieri le dimissioni di Leggeri, motivandole con il fatto che ci sono fin troppe domande che restano senza risposte sul coinvolgimento di Frontex in pratiche illegali, che privano i rifugiati del diritto d’asilo e mettono a rischio le loro vite».

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