La parola N e le sue diverse sfumature. Il caso del presunto insulto razzista rivolto da Francesco Acerbi a Juan Jesus nel corso della partita fra Inter e Napoli della scorsa domenica si fa sempre più complesso.

Il trascorrere dei giorni compone un quadro che lascia poche certezze ma intanto ha già determinato conseguenze, come l’allontanamento del difensore interista dal raduno della nazionale e un’indagine della Procura federale (con audizioni che dovrebbero tenersi tra giovedì e venerdì) guidata da Giuseppe Chiné. Che dal canto suo si muove con cautela perché stavolta i fatti hanno portata diversa: se episodio di razzismo c’è stato, è avvenuto in campo e coinvolgerebbe un calciatore come attore del gesto razzista. Dunque siamo su un piano diverso (e più grave) rispetto ai casi di odiose intemperanze di un settore da stadio che usa il colore della pelle di un avversario per scatenare odio e frustrazione.

Stavolta si tratta di una “cosa di campo”. Che come tutte le cose di campo presenta almeno due elementi di complessità molto difficili da governare: la contrapposizione fra la parola e la credibilità dei due protagonisti e il pregiudizio (assolutamente inaccettabile) che quanto succede nella bolla della partita debba rimanere sigillato lì anziché essere trasformato in un caso di polemica pubblica.

Cosa ho detto, cosa ho udito

La sola cosa certa è che alla fine della partita Acerbi ha chiesto scusa a Juan Jesus. Lo riferiscono entrambi i protagonisti e lo testimoniano le immagini.

Da lì in poi tutto quanto rimane difficile da dimostrare e soltanto i diretti interessati possono sapere la verità. Ma poiché si tratta di mettere a confronto la parola dell’uno contro la parola dell’altro, ecco che si ritorna allo stallo di partenza. Né il fatto che il difensore dell’Inter abbia sentito il dovere di scusarsi col difensore del Napoli è di per sé una dimostrazione che egli abbia pronunciato la frase nella versione più grave, cioè quella resa pubblica da Juan Jesus.

Sicché rimane da prendere entrambe le versioni e introdurle come elementi di discussione. Juan Jesus ha deciso di dare visibilità alla questione tramite un post di Instagram, ormai diventato il canale di espressione più battuto dai protagonisti dello sport, specie da quelli che devono districarsi fra i divieti opposti dagli uffici stampa dei club. In quella versione si sostiene che Acerbi gli avrebbe detto “negro di m...”. Cosa che, se fosse vera, meriterebbe una punizione esemplare.

Dal canto suo Acerbi, come Chiara Ferragni, sostiene di essere stato frainteso e che la frase da lui pronunciata sarebbe stata: “Ti faccio nero”. Che davvero è parecchio demodé, da cinepanettone fuori tempo massimo. Ma ciò non basta a escludere che possa essere stata pronunciata, e se davvero fosse questa sarebbe cosa innocua. Dunque come se ne viene a capo?

Le cose da campo

L’interrogativo sarà difficile da sciogliere per la Procura federale, che elementi di prova non ne ha. Tutto quanto rimane sigillato in campo e proprio questo è un altro aspetto della storia, quello che mette più in imbarazzo.

Un certo imbarazzo deve averlo provato il commissario tecnico della nazionale azzurra, Luciano Spalletti. Che fino a pochi mesi fa allenava Juan Jesus e adesso si trova a gestire Acerbi. Conosce entrambi i giocatori e dunque un’idea se la sarà fatta. Ma se ha scelto di rimandare a casa Acerbi, dopo averlo convocato per le gare amichevoli programmate questa settimana, è stato solo per una ragione di opportunità. Più che condivisibile.

Molto meno condivisibili le parole di chi ha dato una valutazione diversa del concetto di opportunità, legandolo proprio alla dimensione di campo. Come ha fatto l’ex calciatore Giuseppe Incocciati (che ha giocato anche nel Napoli), secondo cui Juan Jesus ha esagerato portando la vicenda fuori dal terreno di gioco.

Il solito riflesso condizionato di chi pensa che il campo da gioco debba essere mantenuto come uno spazio impermeabile, dove ogni bruttura gode di indulgenza automatica. E già che c’era è intervenuto pure Fabrizio Corona, per dire a Juan Jesus che «non si fa il piangina sui social». Proprio vero che ormai un’opinione non si nega a nessuno.

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