Un cambio di prospettiva particolarmente stimolante: e se guardassimo agli alcolici non solo come a dei vizi ma anche come a uno dei fattori che hanno dato un importante contributo al progresso della civiltà umana?

È questa la teoria di Edward Slingerland, professore di filosofia presso la University of British Columbia. Nel suo libro del 2021, Drunk: How We Sipped, Danced, and Stumbled Our Way to Civilization, Slingerland sostiene che l'alcol potrebbe aver avuto un ruolo centrale nel dare impulso allo sviluppo dell'agricoltura e quindi delle società cosiddette complesse, tipiche degli degli esseri umani.

Le primissime bevande alcoliche, ha scritto, «non erano semplicemente un sottoprodotto dell'invenzione dell'agricoltura ma in realtà una motivazione per essa: i primi agricoltori erano spinti dalla voglia di birra, non di pane». Sono frasi come questa che hanno portato il giornalista Troy Farah ad intervistarlo, pezzo recentemente uscito sulla testata online Salon. 

Da una parte diamo per scontato siano stati gli umani a inventare l’agricoltura, che cioè piano piano abbiamo iniziato a stabilizzarci in specifici luoghi, più fertili di altri, e che abbiamo sempre più modernizzato, ottimizzandoli, i nostri raccolti. È in questo contesto che siamo abituati a pensare alle bevande alcoliche, soprattutto alla birra: un qualcosa frutto forse di un errore, o di un caso. Il risultato di qualcosa di inaspettato, non inizialmente voluto.

Dall’altra in archeologia esiste una teoria chiamata “Beer Before Bread hypothesis” secondo cui sarebbero diverse le prove a supportare l'ipotesi che la birra possa essere stata la motivazione per coltivare cereali, e non viceversa. In una grotta in quello che oggi è lo stato di Israele un gruppo di ricerca guidato da Li Liu, professoressa di archeologia cinese a Stanford, ha trovato innovazioni nella produzione della birra che, secondo lei, precedono di diversi millenni la prima comparsa dei cereali coltivati.

È all’interno di questo panorama che Slingerland ha sviluppato la sua teoria: il desiderio di ubriacarsi ha portato direttamente alla civiltà. È ciò che ha motivato i cacciatori-raccoglitori a iniziare a coltivare i raccolti e a stabilirsi, ipotesi replicabile in tutto Medio Oriente compresa l’attuale Turchia, dove si pensa sia nata l’agricoltura.

Un tema che appare più attuale oggi che mai, con società sempre più aperte alla legalizzazione o comunque alla regolarizzazione di sostanze psicotrope come la cannabis e i suoi derivati e sempre più sospettose nei confronti dell’alcol a causa dei gravi danni sociali che il suo abuso porta con sé (aggiunge infatti Slingerland: «tradizionalmente, l'alcol veniva sempre consumato in contesti comuni, sociali, rituali, con regole precostituite sul bere (…) oggi abbiamo una possibilità di accesso privato ad alcolici anche molto potenti, i superalcolici, che non ha precedenti nella storia»). 2

È di qualche settimana fa la polemica intorno alla decisione della Commissione Europea di autorizzare la Repubblica d’Irlanda a indicare sulle etichette di tutti gli alcolici venduti all’interno dei propri confini nazionali i pericoli legati all’abuso dell’alcol. Una diatriba che si è trasformata in un surreale scontro tutto italiano tra chi sostiene che il vino abbia effetti benefici e chi si limita a far notare quelle che sono le maggiori evidenze scientifiche.

“Avvertenze terroristiche”, “un pericoloso precedente”, “un approccio ideologico” aveva tuonato Coldiretti in un comunicato stampa del 12 gennaio che annunciava battaglia relativamente alla questione irlandese. Uno scontro entusiasticamente abbracciato pochi giorni dopo da una delle più importanti associazioni del vino italiano: per il 13 e i 14 gennaio Assoenologi aveva infatti organizzato a Napoli un simposio intitolato “Vino e Salute, tra alimentazione e benessere”.

Un appuntamento che aveva visto alternarsi sul palco partenopeo personalità anche molto diverse tra loro i cui interventi erano caratterizzati da un comune denominatore: nel vino c’è sempre qualcosa che può fare più o meno bene. Le prove che abbiamo a disposizione indicano tuttavia che un consumo moderato di alcol, e quindi anche di vino, aumenta il rischio di cancro.

Per questo sarebbe più responsabile da parte di alcuni dei più importanti esponenti del mondo del vino insistere sul basso rischio, sul consumo frazionato in occasione dei pasti e sulle quantità da non superare nell’arco della giornata. Non solo, dalla loro anche questa storia così avvincente legata alla storia di tutti noi. 

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