La relatrice Onu ha condannato l’irruzione fatta da un gruppo di manifestanti alla sede del quotidiano La Stampa a Torino, criticando però il ruolo dei mezzi di informazione. Parole che la premier non ha tardato a condannare. Non era accaduto lo stesso con i commenti di La Russa sull’aggressione del cronista del quotidiano da parte di Casapound. In quel caso aveva scelto il silenzio
L’aggressione subita dal quotidiano La Stampa da parte di un gruppo di manifestanti a Torino venerdì 28 novembre, durante lo sciopero nazionale dei giornalisti, ha riaperto il tema della tutela della stampa e della responsabilità delle istituzioni.
Anche Francesca Albanese, relatrice speciale Onu per i Territori palestinesi occupati, ha condannato l’assalto, ma ha aggiunto che quanto accaduto dovrebbe essere un «monito alla stampa per tornare a fare il proprio lavoro, per riportare i fatti al centro del nuovo lavoro e, se riuscissero a permetterselo, anche un minimo di analisi e contestualizzazione». (Parole gravi perché formulate all’indomani di un atto di violenza contro una redazione).
La premier Giorgia Meloni è intervenuta con forza, definendo «grave» il tentativo – a suo dire – di spostare la responsabilità dall’aggressione ai contenuti pubblicati dal quotidiano: «Chiunque cerchi di riscrivere la realtà per attenuare la gravità di quanto accaduto compie un errore pericoloso», ha detto Meloni, affermando che «la libertà di stampa è un pilastro della nostra democrazia e va difesa sempre, senza ambiguità».
Doppio standard?
Questo principio, però, non sembra stato sempre applicato dalla premier. Il 23 luglio 2024, all’indomani dell’aggressione al cronista Andrea Joly da parte di militanti di CasaPound, l’allora presidente del Senato Ignazio La Russa dichiarò di condannare la violenza, ma aggiunse che il giornalista non si era qualificato come tale e che questo avrebbe potuto evitare l’episodio. Una frase che, di fatto, spostava la responsabilità sulla vittima dell’aggressione. Le dichiarazioni di La Russa sono state condannate dai giornali, dai sindacati di categoria e dalle opposizioni.
Ma non dal governo, che non prese le distanze. Nessun comunicato, nessuna nota, nessun chiarimento e nessun intervento da parte della presidente del Consiglio.
Perché la premier quando si tratta di critiche alla stampa da parte di un’esponente delle Nazioni Unite reagisce in modo netto e immediato, mentre quando un alto rappresentante delle istituzioni minimizza la gravità di un’aggressione da parte di un gruppo estrema destra sceglie il silenzio?
Non si tratta di stabilire equivalenze politiche o morali tra contesti differenti. Né di assolvere Albanese, che ha utilizzato parole che stridono con il ruolo istituzionale che ricopre. Ma il principio richiamato – la difesa della libertà di stampa, senza condizioni o attenuanti – dovrebbe valere sempre, indipendentemente da chi compie l’aggressione o da quale area politica sia coinvolta.
Quando il principio viene applicato in modo selettivo, ciò che viene indebolito è la tutela dell’informazione. È una questione di metodo: difendere i giornalisti quando sono sotto attacco non può diventare un atto a geometria variabile. Se l’obiettivo è ribadire che nessuna critica alla stampa può accompagnare o seguire episodi di violenza, allora questo standard deve valere per tutti. Anche per gli alleati.
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