Tra le vie colorate e rumorose del quartiere Albergheria, a pochi passi dallo storico mercato di Ballarò, dove accenti e lingue diverse s'incontrano in un mix di culture che caratterizza la città di Palermo, nasce il primo bar-gelateria in Italia gestito interamente da migranti il cui nome è un gioco di parole.

BarConi è la nuova sfida che l'impresa sociale Moltivolti - nata nel 2014 da un gruppo di persone provenienti da otto paesi diversi per offrire dignità, cittadinanza e valore a partire dalla diversità - vuole vincere delineando un nuovo spazio di rigenerazione urbana e sociale.

Un progetto di inclusione socio-lavorativa che ha lo scopo di integrare all'interno della comunità economica del mercato giovani palermitani insieme a donne e uomini migranti provenienti dall'Africa centrale e dal Maghreb.

Estetica moderna che punta tutto sul contrasto cromatico essenziale, pareti nere e bancone gelateria bianco e giallo, il locale è una realtà ancora molto piccola, un punto vendita nel quale non è possibile sedersi all'interno ma dotato di tavolini esterni colorati nella splendida piazza Mediterraneo recuperata al degrado e ricolma di murales che raccontano il valore della diversità e dell'integrazione.

La clientela

La clientela è trasversale composta più che altro da molti turisti provenienti da varie parti del mondo incuriositi dal mercato Ballarò e dai fedelissimi avventori del progetto Moltivolti.

Il pezzo forte della gelateria è il gusto caramello salato e bacio di dama. A frequentare il bar gelateria è anche una piccola clientela affezionata ma la sfida è fare diventare BarConi un punto di riferimento per tutto il quartiere, palermitani compresi, che negli ultimi anni ha negativamente risentito del massiccio spaccio di crack del quale Domani si è occupato.

La gestione

Foto di Moltivolti

A gestire il locale sono tre ragazzi africani Malick, Leslie e Christine e la pasticcera Mara Gorgone. Alagie Malick Ceesay, 22 anni, proveniente in Sicilia dal Gambia dopo un viaggio lungo segnato da atroci sofferenze, culminato nella traversata del Mediterraneo proprio in uno di quei barconi, gestisce la gelateria insieme ad altre due ragazze africane, Leslie e Christine. «La cosa più bella che mi sia potuta accadere e che mi rende felice».

Lo troviamo in cucina mentre definisce gli ultimi preparativi in vista della riapertura stagionale del locale. Profondi occhi neri, capelli ricci e un sorriso che non va via neanche quando Malick ripercorre la sua drammatica storia.

«Sono arrivato in Italia sei anni fa su un barcone con oltre 500 persone. Sono partito da solo, ho perso i miei genitori quando ancora ero ragazzino. Le mie condizioni di vita erano terribili. Ho pensato: se la mia vita è così difficile devo fare di tutto per cambiarla anche al costo di morire. Quando si affronta la traversata la morte è una compagna di viaggio ma non avevo nulla da perdere».

Una nuova vita

Dal Gambia Malick ha attraversato, prima di arrivare in Libia, molti paesi africani. Ha vissuto otto mesi in Senegal dove ha lavorato nei campi per poter pagare il viaggio, poi Mali, Burkina Faso e infine la Libia. «Un luogo terribile. Ogni giorno, in una grande stanza dove c'erano tantissime persone, venivo picchiato. In quel luogo non si poteva fare nulla, non si poteva parlare, urlare, chiedere acqua o cibo». Dalla Libia Malick è salito su un barcone. «Il viaggio è durato cinque mesi fino a quando siamo arrivati a Pozzallo».

Un giorno indimenticabile. «Era il 30 marzo 2017. Una nave tedesca ci ha salvati dal mare e ci ha portato in Sicilia. Ne morirono tantissimi, quando misi piede a Pozzallo ringraziai Dio. Stavo malissimo, chiesi una medicina ma invece mi diedero un panino dicendomi che non avrei potuto assumere farmaci senza mangiare qualcosa». Da Pozzallo a Palermo e l'inizio di una nuova vita.

«Ho conosciuto Moltivolti nel 2018 attraverso il progetto “Attraverso i miei occhi” che promuove il turismo responsabile. I migranti raccontano ai turisti la Palermo che vivono ogni giorno. Nel 2021 ho lavorato nell'omonimo ristorante dell'impresa sociale e l'anno scorso, quando ha aperto BarConi, ho iniziato a lavorare, dopo un periodo di formazione, insieme ad altri ragazzi provenienti da paesi diversi».

Il capoluogo siciliano per Malick è un punto di riferimento: «A Palermo mi sono sentito a casa sin da subito anche per la bontà del cibo e per i sapori molto simili a quelli della mia terra. In Italia ho preso il diploma e sto pensando di iscrivermi all'università. Ora sono felice. Gestire BarConi è entusiasmante e vorrei che questo locale aprisse in molte parti del mondo e perché no anche nel mio paese d'origine. Mi piacerebbe che BarConi diventasse una realtà consolidata per dare una mano ai tanti ragazzi e ragazze che come me arrivano e hanno paura di un mondo nuovo. Vorrei essere d'esempio per tanti, vorrei trasmettere loro il mio coraggio e la mia testardaggine», dice Malick.

Ma come nasce BarConi? «Durante un viaggio in Senegal. Ho visto una di quelle barche molto colorate tipiche del continente africano e pensai che la parola barconi, che purtroppo ha un'accezione negativa, contenesse in realtà due belle parole. Così è nato il progetto. La disperazione che diventa speranza e la speranza che diventa realtà positiva», spiega uno dei fondatori e responsabili Giovanni Zinna.

«L’obiettivo - continua - non è semplicemente aiutare il migrante, ma valorizzarlo, integrarlo. Siamo davanti ad un processo irreversibile e inevitabile. Parlare oggi di blocco navale, chiusura di porti o ancor peggio criminalizzare i migranti significa non capire la portata del fenomeno e fare solo spot elettorali. Qui vogliamo creare competenze e soprattutto autonomia. Abbiamo già una piccola clientela affezionata ma la nostra sfida è fare diventare BarConi un punto di riferimento per tutto il quartiere».

Un disperato bisogno

Ed effettivamente di immigrati l'economia siciliana ha un disperato bisogno. All'impresa dell'isola per colmare la carenza dell'offerta in settori fondamentali quali l'agroalimentare, l'alberghiero, i trasporti e la ristorazione, secondo le stime di datori di lavoro e associazioni di categoria, servono almeno 10 mila persone.

«In Italia, purtroppo, chi arriva con i barconi viene considerato un peso, persone senza valore e certa politica ce lo dimostra ogni giorno», racconta amaro Malick. «C'è un pregiudizio difficile da scardinare. Quando penso alla politica migratoria italiana - aggiunge - mi dico subito dopo che è meglio non pensarci altrimenti mi assalgono paure e ansie. Ho un permesso di soggiorno che scade tra due anni e ogni due anni dovrò rinnovarlo. Perché? E poi verrà sempre rinnovato? Se dovesse accadere qualcosa di diverso? Non voglio vivere con questa paura, con questa ansia e faccio di tutto per non pensarci».

Malick non nasconde la sua preoccupazione: «Temo che l'Italia con questa nuova classe politica possa fare ulteriori passi indietro nella gestione del fenomeno ma come ho detto non voglio pensarci troppo».

Il giovane gambiano è concentrato sul presente ma soprattutto sul suo futuro: «Ci è stata data l'opportunità di contribuire allo sviluppo sociale, di creare qualcosa di nostro. Ora mi sento al centro del progetto ed è ora che inizia la mia nuova vita. Ho imparato a servire il gelato, a gestire la cassa e molto altro. Essere responsabile significa prestare attenzione alle esigenze di tutti, cercare di soddisfare ogni dovere, imparare a mettersi nei panni degli altri. È bellissimo essere liberi di fare quello che si vuole della propria vita».

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