“Sarà romantico”, c’è scritto con vernice rossa sul muro di cinta dell’U-Power Stadium, già Brianteo, alle spalle degli ultras del Monza. Che poi è lo slogan scelto da Adriano Galliani per l’ultima tentazione sua e di Silvio Berlusconi, tornare in serie A (missione compiuta in quattro anni, il Monza ne ha impiegati centodieci), sorvolare il calciomercato come un condor e quindi buttarsi sul centrosinistra della classifica, insomma dal decimo posto in su («Speriamo di salvarci», dice per il momento abbassando l’asticella delle sue ambizioni, ma sa di bluff).

L’inizio non è stato quello sperato, partire a razzo, accendere l’estate della Brianza, rivivere le emozioni di un passato glorioso: «Non è in politica che si vede il vero Berlusconi, il Berlusconi genuino non è quello che si trucca per la tv e che si muove nel palazzo dove ci sono regole che non ha mai compreso appieno. Il Berlusconi autentico si vede nel calcio», ha raccontato Fedele Confalonieri. Ma sabato sera, nell’anticipo della prima giornata di campionato, partita brutta e sconfitta del Monza per 2 a 1 contro il Torino del suo ex assistente Urbano Cairo, l’imprenditore che da anni insegue Berlusconi tra campo, tv e giornali ma che gli stessi tifosi granata detestano accusandolo di tirchieria.

Anche durante la partita dalla curva torinista sono partiti cori di insulti. Berlusconi dice di non essersi divertito e spiega che la partita ha ammosciato anche i suoi tifosi ma al passo da debuttante, si sa, tremano le gambe e per il Monza ci sarà tempo per rifarsi: il campionato è lungo e Berlusconi e Galliani hanno puntato su una squadra con molti italiani. Non andranno al mondiale, previsto tra novembre e dicembre in Qatar rompendo la stagione, e quindi avranno meno problemi di condizione.

Berlusconi per adesso si accontenta: gli è bastato esserci, ha spezzato le ferie di Ferragosto e lasciato la Sardegna dove la sera prima aveva visto Salvini e si è presentato puntuale in tribuna, mano nella mano della compagna-deputata Marta Antonia Fascina («guardate che bella ragazza che ho, su levati la mascherina», mentre parla con i giornalisti ma lei sorride d’imbarazzo e non la toglie).

Poi si è seduto vicino a Galliani, senatore uscente che non si ricandiderà, che è tifoso del Monza da quando aveva cinque anni, in curva da ragazzo gli è capitato di fare a botte ed era già stato dirigente del Monza tra il 1975 e il 1985, cioè fino a un anno prima che Berlusconi comprasse il Milan per vincere tutto: «Prima di parlare con me provi a vincere due Coppe Campioni», disse al professor Luigi Spaventa, illustre economista, ministro del Bilancio nel governo Ciampi e suo avversario diretto nel collegio di Roma 1 alle elezioni Politiche del 1994.

Il milanese Berlusconi stravinse la sfida fuori casa. In più, due mesi dopo le elezioni, da presidente del Consiglio, si prendeva anche la terza Coppa Campioni: vittoria 4-0 sul Barcellona di Cruijff, simbolo del calcio total-socialista olandese, mentre in Senato otteneva la fiducia.

Il rischio nostalgico

Ecco: adesso bisognerà evitare che il romanticismo diventi nostalgia e che questa primavera monzese non sia piuttosto il rifugio domenicale del vecchio presidente ottuagenario e ultra-titolato che per non andare a vedere i cantieri la domenica pomeriggio si presenta a tifare all’U-Power Stadium: «Abbiamo soltanto sedicimila posti» e gli ultras poco generosi alla prima di campionato non gli hanno dedicato nemmeno un coro né uno striscione mentre per Galliani hanno cantato “Galliani uno di noi” e nel secondo tempo hanno alzato uno striscione per l’allenatore Gigi Radice, ex Monza ed ex Torino, morto nel 2018. Il pericolo di un autunno calcistico del patriarca Berlusconi è ovviamente possibile.

Un conto è giocare in attacco con il Pallone d’oro Van Basten, un altro conto con un danese dal nome impronunciabile e l’ex Napoli Andrea Petagna, alias il bulldozer, che ha la barba incolta e il corpo pieno zeppo di tatuaggi: due cose che Berlusconi detesta, quando prese il Monza disse che voleva una squadra tutta italiana, un Athletic Bilbao brianzolo, e soprattutto fatta di giocatori di buone maniere e look sobrio, senza tatuaggi, barbe, capelloni o con le creste ma poi devono avergli spiegato che era impossibile, non esistono undici calciatori così antiglamour, uno forse è Andrea Ranocchia e lo ha comprato dall’Inter ma gli altri dieci?, e allora si è dovuto arrendere, basta che sappiano giocare bene e difendere la porta del paradiso. «Destinazione paradiso», è l’altro slogan del Monza. Berlusconi ha sempre fatto del calcio uno strumento di consenso politico, usato per rafforzare l’immagine di uomo vincente e soprattutto vincente alla velocità della luce.

Nell’agosto del 2002, quando era presidente del Consiglio e ministro degli Esteri a interim, Galliani lo convinse a comprare Nesta dalla Lazio e il Corriere della Sera pubblicò un commento che diceva così: «Il passaggio di Nesta al Milan costituisce un’apoteosi dai molteplici significati politici, assume una sorta di valore epocale, è una simbolica epica dello stato attuale del calcio, dell’orizzonte della cultura e della comunicazione, di tutto il destino del paese Italia (...) Gli manca solo lo scudetto del Milan per dare piena soddisfazione a coloro che l’hanno votato».

Ma intanto sono passati vent’anni tondi tondi, lo scudetto è una chimera, Nesta fa l’allenatore con risultati migliorabili, il Monza non sarà mai il Milan come l’U-Power Stadium non sarà mai San Siro, non è più il tempo in cui al Bunga Bunga l’olgettina dominicana Maristhell Garcia Polanco faceva il burlesque con la maglia di Ronaldinho, il professor Spaventa è morto, uomini politici in fila sugli spalti dell’U-Power Stadium non se ne vedono e contro il Torino le guest star in tribuna sono il presentatore tv Gigi Marzullo e il direttore Mediaset Mario Giordano, la gloria si è dispersa come buona parte dei voti, Berlusconi non è il leader del centrodestra, il pater con la corona su cui nel 2002 spiccava anche il diadema Rivaldo, e per ora il presidente di Forza Italia non sembra più voler utilizzare il calcio per la campagna elettorale.

Una cosa seria

«Il calcio è una cosa seria», dice nel piazzale dello stadio dopo la sconfitta con il Torino, «non mischiamolo con la politica, sono due cose diverse» e ride e fa il segno di cucirsi la bocca quando gli chiedono se sia più saldo Mattarella al Quirinale o l’allenatore Giovanni Stroppa sulla panchina del Monza.

Per quanto riguarda Mattarella ripete di esser stato frainteso. Per Stroppa invece le malelingue dicono che sullo stadio aleggi già lo spettro del suo successore, l’ex Sassuolo ed ex Shakhtar Donetsk Roberto De Zerbi. «De Zerbi ha dato consigli pure per la campagna acquisti», continuano le solite malelingue bene informate, perché il Monza ha preso in prestito dallo Shakhtar il difensore brasiliano Marlon, che è un pupillo di De Zerbi.

Insomma tutto è cambiato tranne la voglia matta di esserci, quella resta intramontabile. Ma al posto della wagneriana cavalcata delle Valchirie che risuonò sull’arena civica di Milano quando Berlusconi atterrò in elicottero per presentare la squadra nel 1986, insomma Apocalipse now sul calcio e su tutto il resto, ora in questo agosto 2022 allo stadio gira la musica degli 883 con la voce di Max Pezzali: «Gli anni del qualsiasi cosa fai, del tranquillo siam qui noi.

Stessa storia, stesso posto, stesso bar. Stan quasi chiudendo, poi me ne andrò a casa mia. Solo lei davanti a me. Cosa vuoi? Il tempo passa per tutti lo sai. Nessuno indietro lo riporterà, neppure noi».

 

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