Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul generale Carlo Alberto dalla Chiesa ucciso quarant’anni fa il 3 settembre del 1982.


La cassaforte è vuota. C’è solo una piccola scatola verde. Anche la scatola è vuota. È tutto quello che trovano: una scatola vuota dentro una cassaforte vuota.

Palermo ingoia i suoi segreti in una notte.

Fra le stanze buie di Villa Pajno, la residenza privata dei prefetti, scompare ogni segno della lunga estate di solitudine di un uomo ucciso lentamente fra Roma e la Sicilia. Omicidio premeditato, annunciato, dichiarato. Omicidio fortemente voluto per chiudere un conto con un generale diventato troppo ingombrante. Una leggenda per i suoi carabinieri, un mito della lotta al terrorismo degli Anni Settanta, una minaccia permanente per l’Italia che sopravvive fra patti e ricatti.

Chi è il mandante?

La «malefica tabe», dice un sindaco. «Il nostro male oscuro», dice un presidente della Regione. «Il cancro dell’isola», dice un ministro. Mafia.

Una parola che non si pronuncia mai nemmeno davanti a quel corpo proteso a difendere una giovane donna, lui e lei vicini anche nella sera di scirocco siciliano che li trascina verso la morte. Mafia.

Un alibi perfetto per seppellire e dimenticare per sempre Carlo Alberto dalla Chiesa, cinquantottesimo prefetto di Palermo dall’Unità nazionale. All’Ucciardone è festa, brindano con lo champagne. A Roma, c’è chi si asciuga la fronte imperlata di sudore per lo scampato pericolo. Un altro cadavere, il 3 settembre del 1982, riporta Palermo nella sua normalità. È il cadavere di un generale fatto a pezzi dallo Stato.

© Riproduzione riservata