Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie si focalizza sulla relazione della Commissione parlamentare antimafia della XV° legislatura con presidente Francesco Forgione che per la prima volta ha dedicato un'inchiesta interamente sulla ndrangheta, tra le mafie più temute al mondo, per capirne la nascita, lo sviluppo e la struttura.

Alle tradizionali forme di arricchimento e di accumulazione dei profitti la ‘ndrangheta coniuga da sempre il proprio primato nella gestione dei grandi flussi di denaro pubblico. Le modalità di accaparramento sono varie (appalti pubblici, contributi, frodi comunitarie, truffe in danni di enti etc.) ma hanno come dato comune il condizionamento degli amministratori locali e l’inquinamento della pubblica amministrazione.

Le mani delle cosche sulle attività di carattere pubblico rappresentano così un dato costante che spesso assume le forme di una gestione parallela dell’amministrazione della res pubblica, attraverso l’elezione diretta di sindaci ed amministratori locali o il controllo degli apparati amministrativi, dai Comuni alle Asl, dalle Asi alle società miste per la gestione dei servizi.

Fondamentale, per la natura stessa della ‘ndrangheta, è il controllo delle istituzioni al livello più immediato del rapporto tra rappresentanti e rappresentati. Ancora il dott. Scuderi, nella relazione inviata alla Commissione, illustra la costituzione di società “miste” caratterizzate dalla partecipazione dell’amministrazione pubblica e di imprese private a diretta copertura mafiosa, creando una vera e propria compenetrazione delle istituzioni locali con il potere criminale egemone sul territorio. È il caso di molti Comuni.

Un esempio emblematico è rappresentato dal Comune di San Gregorio d’Ippona. Nell’operazione “Rima” sono stati arrestati tre consiglieri comunali di opposizione, tra i quali l’ex sindaco. L’inchiesta ha evidenziato la capacità della cosca “Fiarè”, satellite dei Mancuso, di penetrare nella pubblica amministrazione.

La vicenda di Seminara

Ancora più inquietante è la vicenda del Comune di Seminara, situato tra la piana di Gioia Tauro e le falde dell’Aspromonte. Alla vigilia delle elezioni amministrative del 27 maggio 2007 si tiene un incontro tra Rocco Gioffrè, capo della ‘ndrina di Seminara e Antonio Pasquale Marafioti, Sindaco uscente del paese e dubbioso sulla sua ricandidatura: “tu ti devi candidare – dice Gioffrè – perché qui decido io e la tua elezione è sicura. Possiamo contare su mille e cinquanta voti e sono più che sufficienti per vincere”.

La previsione si rivela esatta con una precisione da fare invidia alle migliori società di sondaggi: la lista del sindaco Marafioti, una lista civica di centro-destra, vince con mille e cinquantotto voti. I due non sanno che la conversazione è intercettata dai carabinieri e questo dialogo insieme a tanti altri elementi investigativi, il 17 novembre del 2007 porterà in carcere i due interlocutori e il vice sindaco, Mariano Battaglia, l’ex sindaco al tempo del primo scioglimento del comune nel 1991, Carmelo Buggè e l’assessore Adriano Gioffrè, nipote del boss.

L’inchiesta coordinata dalla D.D.A. di Reggio Calabria ha svelato il controllo completo da parte della cosca Gioffrè sul comune: dalle attività economiche gestite a livello locale alle concessioni comunali, dagli appalti ai progetti di finanziamento con fondi regionali ed europei. Come se non bastasse il “sistema” si estende oltre i confini del comune. Il sindaco Marafioti è anche il Presidente del Pit 19 della Calabria (Consorzio di 10 comuni tutti più grandi di Seminara, amministrati dai più diversi schieramenti politici, dal centro-destra al centro-sinistra) e dispone di fondi per 20 milioni di euro.

Il vice sindaco Battaglia, invece, è il Presidente del Consorzio intercomunale “Impegno giovani” che avrebbe il compito della diffusione della cultura della legalità nelle scuole, con un fondo di 850 mila euro tratti dal Pon – Sicurezza del Ministero dell’Interno.

I clan, secondo i magistrati, non possono perdere occasioni così ghiotte per ingrossare le proprie tasche: alle elezioni del 2007 avvicinano uno ad uno gli elettori, pagano il viaggio degli emigrati per il voto, scelgono il Segretario della I° Sezione elettorale che ha il compito del riepilogo delle preferenze.

E che dire del Comune di Filandari dove il controllo del territorio arriva “al punto da imporre le tasse sui mezzi di trasporto che ne attraversano le strade”. Sono solo alcuni esempi di una situazione molto più diffusa, di quanto si possa immaginare e di quanto gli stessi media non raccontino.

Il caso Piromalli

Ma in Calabria si arriva anche al paradosso. Il rampollo della famiglia mafiosa più importante della Piana, (sentenza del Tribunale civile di Palmi, del 4 luglio 2007) Gioacchino Piromalli, di 38 anni, è condannato al risarcimento di 10 milioni di euro a favore delle amministrazioni comunali di Gioia Tauro, Rosarno e San Ferdinando di Rosarno.

È una sentenza storica frutto della costituzione di parte civile di queste amministrazioni al momento di avvio del processo “Porto”.

Dopo la condanna Piromalli, che è avvocato, dichiara di essere nulla tenente e di poter procedere al risarcimento solo attraverso prestazioni professionali.

Il tribunale di sorveglianza, come se nulla fosse e come se non conoscesse la reale identità del soggetto, gira la richiesta alle amministrazioni comunali interessate che concordano di accettare il risarcimento come proposto dal Piromalli, rimettendo comunque ogni decisione al tribunale.

La vicenda è ora al vaglio della Procura di Reggio Calabria che ha inquisito i tre sindaci e il vice sindaco di Gioia Tauro per associazione mafiosa “per aver compiuto un atto non di loro competenza per un tipo di risarcimento non previsto dalla legge”.

Al di là delle responsabilità penali resta da chiedere come sia stato possibile che tutti i soggetti, Tribunale di sorveglianza e amministrazioni comunali, abbiano considerato tutto ciò normale, rendendosi protagonisti di una vicenda che ha piegato le istituzioni all’arroganza della ‘ndrangheta.

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